lunedì 22 luglio 2013

Il Ribelle di Massimo Fini

Ribelle (II) Il_Ribelle è un uomo che dice no. A che cosa? Al­l'ordine costituito, a credenze ,valori ,pinioni ,regole, comportamenti , comuni alla società nella quale vive, in cui non si iden­tifica e non si riconosce! È nato in un luogo in un tempo non suoi è uno spostato, unBorderline. Ma non vuole farsi norma­lizzare, omologare, inglobare. Per questo dice no. Anzi lo grida in modo che tutti possano sentirlo. Non si nasconde. Ed è pronto ad assumersi le responsabilità e le conseguenze del suo rifiuto, addebitandole solo ed esclusivamente a se stesso. Il Ri­belle paga di persona. Detesta le mezze misure, le morali a me­tà, le vie. traverse, le mediazioni. Ama lo scontro frontale. È un combattente.a viso aperto.
Non ha quindi nulla a che vedere col cospiratore, che, per ro­vesciare l'ordine costituito, agisce in segreto e nell'ombra, dispo­sto a tutto, alla frode, all'agguato, all'assassinio e si compiace del proprio cinismo considerandolo la forma suprema dell'intelligen­za ed è invece uno sprovveduto, ma pericoloso, narciso che si ri­mira allo specchio, rabbrividendo di piacere dall'alluce all'ombe­lico, scambiando il proprio delirio di onnipotenza con la realtà (il che non alleggerisce ma aggrava la sua posizione perché rende i suoi delitti particolarmente gratuiti)12.IL ribelle va confuso nemmeno con il rivoluzionario che a un cordine costituito ne vuole sostituire un altro1 e che, al fon­do, è a sua volta un uomo d'ordine e un conformista che ha so­lo cambiato di segno, perché non esìste se non all'interno di una communis  opinio o, se si preferisce, dì un'ideologìa condi­visa.
Il Ribelle è invece un «chevalier seul». Non si propone
obiettivi politici. Vuole solo rimanere se stesso, fedele a una ,sorta di inconscia promessa che si è fatta da ragazzo. «Difende ciò che egli stesso è», come scrive Albert Camus neL'uomo in rivolta". Il suo ordine morale è del tutto intcriore. È la sua per-sonalissima tavola dei valori, il suo nucleo costitutivo al quale non è disposto a rinunciare a nessun costo di fronte alle aggres­sioni o alle lusinghe dell'ordine costituito, pronto a difenderlo fino alle estreme conseguenze. 11 Ribelle è quindi un uomo che dice no. Ma è anche un uomo che dice «'. A se stesso.
Nella sua solitària e dolorosa lucidità il Ribelle però sa che, nell'assenza di un Assoluto da cui far discendere una gerarchla fra ciò che è Bene e ciò che è Male (vedi Valori), i valori tutti individuali in cui crede e si sforza di onorare, la lealtà, il rispet­to della parola data, lo spendersi generosamente, il coraggio, fi­sico e morale, la dignità, non sono in sé superiori a quelli che disprezza. Come Ivan Karamazov sa, disperatamente sa, che, nel silenzio sideralè di Dio, «tutto è assurdo e quindi tutto è
permesso».
Tuttavia, nonostante ciò non abbia in realtà alcun senso, il Ribelle, per l'orgogliosa percezione che ha di sé, non vuole ar­rendersi a questo «tutto è permesso». E si comporta quindi co­me se esìstesse un Tribunale superiore che lo giudica. Il suo. Testardamente, cocciutamente, non vuole tradire l'immagine che, a torto o a ragione, si è fatta di sé. Più che etica la sua è una coerenza e una rivolta estetica.
Catilina, Aristocratico romano, discendente da una delle più nobili famiglie quirite, atletico, bèllissìrriò, ricco, avrebbe' tutto per godere tranquillamente dei privilegi della sua classe. Ma si sente completamente fuori posto e fuori tempo nella cinica e disincantata Roma del i secolo a.C. (cosi simile, per molti aspetti, corruzione compresa, alla società di oggi) dove impera la «doppia morale», una pubblica, professata e imposta dalle classi dirigenti, buona per tenere a bada la plebe, e una nasco­sta, del tutto opposta, praticata sottobanco da quelle stesse classi.

Catilina dirà no a questo inganno, che pure lo favorisce non meno degli altri aristocratici, e prenderà su di sé, come scrive in una lettera-testamento, «la causa .generale dei. disgraziati»15, dei vilipesi, degli umiliati e offesi, dei frodati, dei derisi, delle vitti­me di sempre.
Sbaglierebbe tuttavia chi, alla luce della storia recente, in­terpretasse Catilina come un precursore della lotta di classe. Catilina non guarda, né può, verso un futuro lontano diciotto secoli e per lui inconcepibile - e infatti i marxisti, a parte Gramsci, lo hanno sempre ignorato preferendogli Spartaco che ha una mentalità da schiavo"' - ma dietro di sé, verso quel­la Roma delle origini dove i valori che contavano erano quelli virili della forza, del coraggio, dell'onore, della lealtà, del ri­spetto della parola data, dello spendersi senza risparmio, della difesa dei più deboli, cioè i suoi valori, scalzati dalle virtù bor­ghesi della doppiezza, della sottigliezza17, dell'ambiguità, del­l'intrigo, della slealtà, dell'inganno, della frode, della grettezza, le virtù volgari che Cicerone incarnerà così esemplarmente, ag­giungendovi di suo una viltà che era sconosciuta al mondo ro­mano di allora.
La rivolta di Catilina è solo in parte e in apparenza politica -ridare dignità, onore e una vita un po' meno indecente alla ple­be diseredata e ai piccoli proprietari agricoli ridotti in miseria dai grandi latifondisti aristocratici - in realtà è personale, senti­mentale, ideale e romantica. Proteggere i deboli non è tanto un obiettivo politico (come sarà per i socialisti ottocenteschi) quanto un dovere dell'animo nobile.
Catilina non è un rivoluzionario, piuttosto un reazionario. Nello stesso tempo non ha nulla a che spartire col plumbeo moralismo bacchettone e conservatore di un Catone. Per Cati­lina, una volta onorata la fede pubblica e i doveri di lealtà che richiede (fra cui c'è anche quello di proclamare apertamente la propria rivolta: Catilina non «congiura» affatto, si ribella a viso aperto al potere), l'uomo è libero di fare di se stesso ciò che crede. È un libertino nel senzo_settecentesco del termine, non riconosce sopra di sé né dei, né morali eterodirette, né pubbliche opinioni che pretendono di insinuarsi, come delle vecchie zie, nella sfera privata dell'individuo18. In questo sen­so Catilina è modernissimo, non molto lontano dalle posizioni individualiste e libertarie dello Stuart Mili del Saggio sulla li­bertà19.
O meglio lo sarebbe, modernissimo, se la tendenza della so­cietà contemporanea non andasse in direzione opposta a quella liberale: limiti di ogni genere, legali e sociali, e con i più vari pretesti, alle libertà individuali20 con la sola eccezione di quella economica, dove, al contrario, si concede il più ampio spazio ai comportamenti che frodano la fede pubblica; intrusioni sem­pre più pesanti, attraverso i mass media e dietro il paravento della libertà di informazione, nelle pieghe più intime e inviola­bili della vita privata della persona.

Fedele all’immagine virile  che ha di sé.-Catiliana andrà fino in fondo alla sua storia. Potrebbe salvarsi mille volte, perché gli avversari aristocratici, che lo temono senza capirlo, gli offrono vie d'uscita che egli rifiuterà ritenendole disonorevoli. Per se­guire il suo destino rinuncerà anche all'amore della sposa, la bellissima e appassionata Orestilla, e alla possibilità di avere fi­gli ed eredi, andando incontro con spavalda consapevolezza al­la morte in battaglia.
«Catilina venne trovato lungi dai suoi fra i cadaveri dei ne­mici; respirava ancora un poco ma gli si leggeva sul volto la stessa espressione di indomita fierezza che aveva da vivo»21. Un uomo. Finalmente.
(RjJ>elJé_{Il) (m) II Ribelle è un uomo solo. La sua è innanzi­tutto una solitudine metafisica. Ha rinunciato a Dio e alle con­solazioni delle fedi collettive, religiose o laiche. Di fronte al mi­stero e all'angoscia dell'esistere non ha altro compagno.,che se stesso.
In seconda battuta la sua è una solitudine sociale. Dentro la propria comunità vive da straniero. È un deraciné.
Allalunga la solitudine  del Ribelle diventa anche esistenziale e una sorta di coatta misoginia. Il Ribelle è un uomo che inse­gue Sogni. Le donne possono amare un uomo che insegue So­gni - anzi, in genere, lo amano appassionatamente, soprattutto quando sono giovani e giovane è colui che sogna - ma non amano i Sogni (se non quelli di celluloide, romanzati o comun­que virtuali che non le implicano veramente, semplicemente le distraggono - il romanticismo della donna è un'invenzione del­l'Ottocento tedesco, come la «donna angelicata» è una creazio­ne letteraria dell'«amor cortese» medievale) La donna è un essere troppo concreto e_vitale per inseguire Sogni. Insegue figli. Oggi, a quanto pare, nemmeno quelli, ma mai, in ogni caso, chimere. E alla lunga il rapporto fra l'uomo che insegue Sogni e la donna che pretende concretezza si spezza. E il Ribelle resta solo. Totalmente e definitivamente solo. Ma non può farci nul­la. E la sua storia. È nato così

Ribelle (D) (iv)    II Ribelle sa di essere destinato alla sconfìtta. Per questo ci affascina. Ma non tutto è positivo, romantico e disinteressato in questo tipo di personalità. Il Ribelle ama la sconfitta perché non vuole assumersi la responsabilità della vit­toria. Fa quindi tutto per vincere, ma in modo tale da essere si­curo di perdere. E quand'anche, una volta, con uno sforzo tita­nico e disumano, prevalesse contro tutto e tutti, e anche contro se stesso, dilapiderebbe immediatamente, come fa il vero gioca­tore, questa sua vittoria.
Il Ribelle jion ama la vittoria perché non ama la vita o se_ne sente comunque estraneo. È un maschio integrale, un fuco ma­linconico che sente che l'archetipo profondo gli assegna una parte marginale e transeunte nel gran gioco della Vita.
Nella tradizione kabbalistica, e peraltro anche in Piatone, l'Essere primigenio è androgino. Con la Caduta si scinde in due;_ la Donna, che viene chiamata «la. Vita» o «la Vivente», e l’uomo che e è colui che «è escluso dall'Albero della Vita». La femmina (che del Ribelle è la perfetta antitesi perché non rico­nosce principio, regola, codice d'onore, lealtà, coerenza che possa aver più valore dei suoi istinti vitali) è quindi «un essdre; per-la-vita», il Ribelle, come ogni maschio, ma in modo più ra­dicale, doloroso e consapevole, è invece «un-essere-per-la-mor­te». Ma poiché non accetta di subire passivamente questa con­dizione tende in qualche modo a farla propria, come se fosse una sua scelta, suicidandosi con.un atto di orgoglio, come lo scorpione, ma lo fa attraverso un percorso lungo e tortuoso. Il Ribelle, estraneo anche a se stesso, è un suicida al dettaglio 2ì.
A meno che non decida di tagliar corto tirandosi un colpo di pistola a vent'anni, come fece il poeta francese RJgaut per di­sprezzo dei surrealisti che celebravano, in letteratura, l'annien­tamento universale, guardandosi però bene dal parteciparvi («Voi siete tutti poeti e io sono dalla parte della morte»)".
Ribelle (II) (v)    Scavando ancora si scopre che U Ribelle ha bisogno dell'Autorità. Perché, senza, la sua ribellione non
avrebbe senso. «Noi anarchici -^
disse una volta-lndro Mon-
tanelli - abbiamo bisogno dell’ordine, sennò che gusto avrem­mo a ribellarci?». Ma non sì tratta solo di una questione di con­trasto, che è necessario al Ribelle per potersi manifestare. Nel fondo del cuore del Ribelle c'è, inconscio, segreto, inconfessato e inconfessabile, il desiderio struggente di trovare un'Autorità che abbia, ai suoi occhi, la forza e il prestigio per sottometterlo. Disubbidisce nella speranza di trovare qualcuno che abbia la capacità di farlo ubbidire". Se ciò avviene il Ribelle cessa di es­sere tale e diventa un «uomo d'ordine», il più ligio di tutti gli uomini d'ordine (è la storia del libertino che si fa monaco). Nella Francia di Luigi iv le autorità arrestarono un famoso ca­pobanda, che godeva di grande prestigio presso i suoi uomini per la lealtà nel suo comportamento malavitoso, lo reinserirono nella società e, con una mossa di intelligente audacia, ne fecero il capo dì un distretto di polizia, comprendendo che, dalla par­te della legge, sarebbe stato di una lealtà inflessibile così come lo era stato quando lottava contro.
Il Ribelle quindi ha, in realtà, un profondo senso dell'ordine. Che è innanzitutto il suo ordine intcriore che lo mette in tensio­ne e in lotta con l'ordine costituito che ai suoi occhi è invece una sorta di disordine. La cosa può fermarsi qui e allora il Ribelle ri­mane tale per tutta la vita, un «puer aeternus», un eterno adole­scente. Ma ci può essere un secondo stadio in cui il Ribelle, se tro­va chi è capace di piegarlo, rientra nell'ordine e combatte con estremo rigore il disordine, cioè l'antico se stesso. Ed è possibile anche una terza fase in cui l'ex Ribelle, dismessa l'attitudine pro­meteica, finisce di lottare per il disordine o per l'ordine e di viver­si in relazione agli altri (che ci si batta a favore dell'ordine o del disordine lo si è comunque contro qualcuno o qualcosa). Questa sarebbe, a detta di alcuni, la maturità.
Si tratta comunque di un cammino lungo e faticoso. Per­ché non si può essere uomini d'ordine in partenza, a meno di non considerarsi già morti a vent'anni. Ha scritto Maurice

Sachs, che ebbe una vita molto turbolenta: «Esiste il gusto di due tipi di rivolta: quella contro l'ordine e quella contro il disordine; perché bisogna superare il primo stadio e poi il se­condo prima di diventare uomini. Ma non bisogna mettere il carro davanti ai buoi e lottare per l'ordine prima di aver lottato contro»25.

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