domenica 6 novembre 2016

Il ricordo di Dino Buzzati

Il ricordo di Dino Buzzati

Dopo la morte di Ettore Zapparoli, il suo amico Dino Buzzati, pubblicò sulle pagine del Corriere della Sera questo commovente addio.

Benché io non sia mai stato là, lo vedo uscire dal rifugio Marinelli alla luce della luna e allontanarsi attraverso le rocce e poi sulla fosforescente neve, tric tric si ode il suono ritmico della sua piccozza sulle pietre, tric tric sempre più lontano e poi silenzio, soltanto la sua sottile sagoma tra i ghiacciai, dritta, viva, fin troppo romantica, con la eleganza rigorosa di chi parte per l'eternità. (...)BR Cosi lo vedo farsi via via più piccolo e vago nel pallore della notte. Ma a questo punto,per quanto io sforzi l'immaginazione, non riesco a vederlo scomparire. E' sempre là che manovra con la picca e, un passo dopo l'altro, si addentra nello sterminato labirinto con attaccata la sua sottile ombra sghemba rovesciata in giù lungo lo sdrucciolo. E' separato ormai senza remissione da noi, dalle calde stanze, dagli amici seduti in circolo la sera, dalle lampadine accese sui leggii dei principeschi pianoforti neri. (...)BR Eppure, per quanto egli si allontani spaventosamente, io continuo a vederlo là, solo, che lotta in mezzo ai ruderi fantomatici delle sue vitree cattedrali. E benché io non ci sia stato, vedo pure la grande parete est del Monte Rosa, (...) congegnata in un disordine selvaggio, scena sconvolta di sfatte rupi, tragiche macerie di ghiacci scaraventate giù, canali fradici che si intersecano tra massi pencolanti, disgregazione delle cose, dove egli tuttavia scorgeva le architetture della sua poesia, navate, cripte, pilastri, moloc (...) scalee, veneri bianche addormentate. Ma dovrebbe esserci qui lui a spiegarcelo, con i suoi stupefacenti paragoni. Un uomo di ormai cinquanta anni se ne va incontro alla sorte, senza compagni, senza che nessuno lo sappia, come un ragazzo che fugga da casa. (...)BR L'artista sfortunato e stanco torna all'unica creatura che, dopo il padre e la madre, sia stata buona con lui. (...)BR Sebbene a dirlo sembri infame, io mi domando se la grande parete non sia stata buona veramente. «Zapparoli, Zapparoli!» noi gridiamo, facendo portavoce nelle mani, ai ghiacciai che non rispondono; «Zapparoli, perché non torni?» Ma in fondo, non siamo degli ipocriti? Che avremmo da offrirgli se tornasse? Cosi invece egli è rimasto intatto, preservato nella sua sagoma di arcangelo, tratto via in una specie di trionfo, mentre il vento, le pietre, le nevi, le acque, i ghiacci suonano le sinfonie ch'egli avrebbe voluto scrivere. E io lo vedo ancora là, che manovra con la picca, tremendamente sprovveduto e solo, piccolissimo, un bambino, nell'immensità misteriosa del santuario.

I Falliti (Gian Piero Motti - 1972)

" I giorni del tempo passato accorreranno a noi tutti insieme quando li chiameremo e si lasceranno esaminare e trattenere a tuo arbitrio.... È proprio di una mente sicura di sé e quieta l'andar di qua e di là per tutte le parti della sua vita, mentre gli animi delle persone indaffarate non possano ne rivoltarsi ne guardare indietro, quasi si trovassero sotto il giogo ... " La lettura di questo sereno pensiero di Seneca in un momento per me particolarmente positiva e felice, mi ha condotto a trarre alcune considerazioni che a tutta prima sembreranno interessare solo il mio modo di vivere, ma che invece investono quello di molti che come me praticano assiduamente l'alpinismo. Dieci anni, e non sono pochi, dieci anni durante i quali ho avuto modo di vivere sensazioni diverse per qualità e intensità, giornate e attimi incancellabili, altri più cupi e ombrosi che vorrei dimenticare. Dieci anni durante i quali ho potuto avvicinare un gran numero di alpinisti di diversa estrazione sociale e di differente sensibilità. Oggi da questi contatti umani esco un po' deluso. Ebbene si, ho conosciuto molti alpinisti anche forti, grossi nomi internazionali, altri meno forti, altri ancora allievi delle scuole d'alpinismo: vivi era chi alla montagna era giunto attraverso l'amore per la natura e proprio per questo pensava all'alpinismo come a un'avventura più intensa e completa, venuta a poco a poco in una logica successione di sensazioni e di entusiasmi. Vi era chi vedeva nell'alpinismo un'affermazione reale e concreta della propria personalità, affermazione cercata forse proprio in seguito a una frustrazione o a un fallimento nella vita di ogni giorno. Sovente ho sentito dire frasi come queste: "Per me la montagna é tutto", "Ho dato tutto me stesso all'alpinismo", "Se non dovessi più arrampicare sarei un fallito". Sul momento non ho fatto molto caso a simili affermazioni perché anch'io ho rischiato molto da vicino di divenire un fallito, in seguito a circostanze che avrò modo di chiarire in seguito, mi sono lasciato tentare dall'antico detto "Eritis sicut dii". Si, anch'io avrei dovuto dedicare tutto me stesso all'alpinismo tralasciando gli altri interessi. Dimenticare l'amore per il bello, per la musica e la poesia, l'amore per l'arte in senso lato, l'affermazione di se stessi nella vita di ogni giorno, le amicizie profonde estranee all'ambiente alpinistico, con cui condurre discussioni Interminabili su tutto e su tutti. L'importante è allenarsi, sempre e di continuo, non perdere una giornata, avere il culto del proprio fisico e della propria forma, soffrire se non si riesce a mantenere questo splendido stato di cose. E se sopraggiunge una malattia o anche solo un malessere leggero, allora è la crisi, la nevrosi. Perche ciò che conta è arrampicare sempre al limite delle possibilità, ciò che vale è la difficoltà pura, il tecnicismo, la ricerca esasperata del "sempre più difficile". Trascinato da questo delirio, non ti accorgi che I tuoi occhi non vedono più, non percepisci più il mutare delle stagioni, che non senti più le cose come un tempo. Sei null'altro che un professionista; per te l'alpinismo è un lavoro. E così non ti accorgi che a uno a uno stai perdendo tutti gli amici, quelli che ti conoscono bene a fondo, che a volte hanno cercato di farti capire che stai sbagliando, e forse anche tu lo hai capito e lo sai bene, ma consciamente o inconsciamente ti rifiuti di accettare il peso di una realtà faticosa. E così sono giunto a scrivere quelle "Riflessioni" che sono la testimonianza diretta di un uomo che sta naufragando sempre più, di un uomo che sta sospeso in bilico su un abisso immane, ma che prima di precipitare ha ancora la forza di ritirarsi un attimo e di pensare in quale stato si sia ridotto. Esaltato, nevrotico, indifferente quando non assente, ostinato e caparbio nell'inseguire una meta sbagliata eppure cosciente dell'errore. Andavo ad arrampicare tutti i giorni o quasi, preoccupatissimo di ogni leggero calo di forma. Ma non mi accorsi nemmeno che stava divenendo primavera, non vidi neanche che qualcosa di diverso succedeva nella terra e nel cielo e chi ben mi conosce sa che ciò equivale a una grave malattia. Arrampicare, arrampicare sempre e null'altro che arrampicare, chiudermi sempre di più in me stesso, leggere quasi con frenesia tutto ciò che riguarda l'alpinismo e dimenticare, triste realtà, le letture che sempre hanno saputo dirmi qualcosa di vero e che con I'alpinismo non hanno nulla da spartire. Ma qualcosa comincia a non funzionare: ritornando a casa la sera mi sento svuotato e deluso, mi sento soprattutto inutile a me stesso e agli altri, mi sembra anzi, e ne ho la netta sensazione, che il mio intimo si stia ribellando a poco a poco a questo stato di cose, che il mio cervello non tolleri questo modo di vivere. Ed ecco che giunge la crisi, terribile e cupa. Ogni volta che vado ad arrampicare è un tormento, non sono più io, non ho più equilibrio, le mani mi tremano, non ho più coordinazione nel movimenti, ma soprattutto non "vedo" più nulla. E questo, chi lo ha provato lo sa, è veramente terribile. Tutto ti passa davanti e tu te ne stai indifferente, passivo, non vedi e non senti, ma invece, e ciò ti distrugge, vorresti sentire e vedere come e più di prima perché il passato rivive cristallino e limpido e si oppone con forza al buio in cui sei precipitato E allora ti dici finito, ti senti esaurito, svuotato: hai chiuso. Ma cosa hai chiuso? Ma non ti accorgi, non ti rendi conto che ti sei creato l'infedeltà con le tue stesse mani, che hai tradito la tua essenza, che presuntuosamente ti sei isolato inseguendo fantasie morbose e cercando sensazioni sempre più esasperate? Hai sempre condannato chi si droga e non ti rendi conto che anche tu sei un drogato, perché la roccia è la tua droga. Ti sei ridotto veramente male, eppure un giorno non eri cosi, eri molto diverso. Andavi ad arrampicare quando lo desideravi, quando dentro di te sentivi il sangue fremere e friggere, quando avevi desiderio di sole e di vento, di cielo e di libertà. Eri allegro e spensierato, avevi un sacco di amici e di amiche e soffrivi da morire quando le sensazioni che provavi erano solo tutte per te e non vi era nessuno con cui spartirle. Cosi cercavi con la fotografia di rendere anche gli altri partecipi della tua gioia, oppure li trascinavi in lunghe e interminabili gite o li legavi a una corda e li portavi ad arrampicare sui sassi perché volevi che anche loro provassero le stesse gioie e le stesse sensazioni. E se tu eri solo a provarle, ne soffrivi, anche fisicamente, ti sembrava di sentire qualcosa dentro che cresceva a dismisura e sembrava voler scoppiare. Ma soprattutto eri sereno, sereno nel tuoi pensieri e nel tuoi gesti, sempre superbo e ambizioso come sei, ma ognuno ha difetti più o meno grandi. Ora invece sei solo da morire, barricato nella tua torre d'avorio; con il tuo sterile solipsismo hai distrutto le cose più belle che avevi. Però non hai chiuso. L'estate sarà triste, la più triste della tua vita. Ma un mattino, a seguito di lunghe giornate appiattite e monotone, giornate in cui anche una densa foschia di calore avvolge le creste dei monti rendendole ovattate e lontane, estranee e distanti, un mattino ti sveglierai sotto un cielo scuro e gravido di nubi, e un vento freddo e tagliente andrà a dividere i tuoi capelli mentre cammini da solo per quella strada che ben conosci. Ma fra le nubi, a un tratto scoprirai un angolo piccolo piccolo di azzurro, che il vento nella sua gran corsa avrà liberato a poco a poco, e da quella densa nuvolaglia filtrerà un raggio di sole che come una spada scenderà diritto a illuminare una cresta tormentata, che solo ieri non avresti neppure notato. E così oggi i contorni sono chiari e definiti, oggi le creste si stagliano scarne e scheletritesotto il cielo d'inchiostro, oggi il verde è più verde, oggi il bosco ha una vita e un profumo, oggi vedi le cascate e la luce del torrente, oggi ... ... Da quattro ore Alberto Re e io siamo seduti su un minuscolo terrazzino, immersi ciascuno nel propri pensieri, silenziosi e forse un po' gravi. Siamo sulla Nord delle Grandes Jorasses: è una salita che tutti e due abbiamo sognato e inseguito a lungo, e ora la montagna ci prova duramente. E pensare che siamo andati all'attacco ridendo e scherzando, pensare che al rifugio ho dormito tutta la notte, un sonno tranquillo e profondo: ho persino sognato. Il primo giorno un sasso ha colpito Alberto, le pessime condizioni hanno rallentato molto la nostra andatura e abbiamo dovuto bivaccare sopra le placche nere: E poi la notte è stata un inferno, cinquanta centimetri di grandine, concerto di tuoni e fulmini. Oggi nella "Cheminée rouge" ho vissuto i momenti più duri e difficili della mia vita, siamo stati fulminati, abbiamo dovuto uscire alla disperata da questo orrendo camino che ci vomitava addosso cascate scroscianti di grandine e sassi, assordati dal frastuono del tuono e della folgore. Ora è pomeriggio e siamo qui su questo terrazzino a soli duecento metri dalla meta, e attendiamo in silenzio che la natura si plachi. Siamo preoccupati, abbiamo paura di morire? Non lo so. Io personalmente vedo ben da vicino il rischio che ho corso e che sto correndo, ma non ho paura, sono solo molto triste. E' la fine di luglio, e immagino un bel pomeriggio di sole lassù in Val Grande, e davanti ai miei occhi le immagini si susseguono con chiarezza: cosa avrei fatto oggi? Forse avrei giocato a pallone, o forse avremmo fatto una passeggiata tutti insieme nel prati della Stura, e seduti sul solito pietro ne avremmo iniziato interminabili discussioni sulla religione, sulla politica o sulla vita.. O forse ancora sarei andato con la ragazza in un prato e dopo l'amore mi sarei soffermato a lungo a dividerle i capelli a uno a uno, o a stuzzicarle il viso con un filo d'erba, o a osservare la luce del suoi occhi illuminati dal sole. O, ancora da solo, sdraiato in un grandissimo prato, avrei affondato lo sguardo nell'azzurro del cielo con l'intento di scoprirvi lontane fantasie o avrei inseguito i giochi delle nubi con il sole cercando forme strane e fantastiche nel loro biancore pulito. O ancora avrei camminato lentamente, nell'erba, mentre il vento la piega disegnando le onde del mare e ne trae un profumo forte e pungente di fiori e di fieno. E vedo a mezzogiorno tutti i miei cari seduti intorno al grande tavolo e ancora mi pare di sentire le loro e le nostre vivaci discussioni, perché le idee sono molto diverse. Invece sono qui, dove non vi è nulla di umano, ma proprio per questo so che devo arrivare in vetta, perché so che quando ritorno mi aspetta la vita. Per uno strano caso la commozione mi colse su quella vetta delle Grandes Jorasses, alle nove di sera di un giorno di luglio, sotto un ciclo nero e cupo, illuminato da bagliori violetti verso le cime del Gran Paradiso. Certi momenti non si dimenticano, restano, segnano per sempre un'amicizia. E se ripenso alle sensazioni che provai quando ritornai, mi sembra di rivivere ancora uno dei periodi più pieni e felici della mia vita. Scoprivo ogni cosa come nuova e diversa, i colori, gli amici, mi sembrava di voler bene a tutti e a tutto. Per un mese non andai più ad arrampicare o almeno non feci più salite importanti. Ma in quel mese ebbi modo di effettuare meravigliose gite con gli amici, trascorsi intere giornate alla ricerca di paesaggi e di fiori per l'obiettivo della mia macchina fotografica, mi divertii a giocare come un ragazzino. E non pensai neppure al mio stato di forma, la cosa non mi interessava, perché ero ugualmente soddisfatto e felice anche se non compivo delle grandi salite. Tant'é vero che quando sentii ancora il desiderio di una grande e bella avventura, quando mi prese ancora la voglia di avere roccia sotto le dita, sempre con Alberto andai a fare la via Brandler-Hasse sulla Nord della Cima Grande di Lavaredo. E mi trovai benissimo. Oggi se perdo una domenica intristisco, divento irascibile, nervoso, se ogni volta che arrampico non vado a fare una via estrema, non mi sento soddisfatto. Eppure non mi sembra di essere più in forma di allora. Non si può andare avanti così. In primavera ho occasione di leggere un libro che reputo uno dei più intelligenti e interessanti della letteratura alpina. Si tratta di Les royaumes du monde di Jean Mohn, un romanzo apparso in Francia negli anni Cinquanta. Vi si narra la storia di un uomo che quasi inconsapevolmente viene assorbito e trascinato dalla passione delirante per l'alpinismo: un uomo però dubbioso e sensibile, tormentato sempre dal sospetto di avere sbagliato, ma nello stesso tempo magneticamente attratto dall'azione anche esasperata. Gli è compagno un altro uomo che invece vede solo l'alpinismo e che cerca di convincere l'amico a dare definitivamente tutto il meglio di se stesso alla causa. Così il nostro a poco a poco si isola sempre di più, l'alpinismo diviene una triste droga, quasi un'espiazione da subire In silenzio. A uno a uno perde gli amici, la ragazza, e si ritrova di fronte al suo fallimento in un' età in cui il bilancio di se stessi è ancora più duro. Ormai l'uomo ha capito ed è cosciente del suo errore: la conferma, triste e dolorosa, gli viene dalla tragica morte dell'amico sulla parete nord del Bans, attaccata in pessime condizioni di tempo. Solo, di notte, in un rifugio, Jean si trova di fronte al nulla a cui è approdato, comprende di aver rinunciato a molto, a troppo pour une lutte sans issue. La lettura del romanzo mi ha fatto oltremodo riflettere e ho cominciato a percepire che qualcosa andava incrinandosi. Ma non accettavo ancora la realtà, anzi, mi ribellavo prepotentemente. Poi, quasi per caso, mi capitò di leggere le stupende parole scritte da Dino Buzzati molti anni or sono per la morte di Zapparoli, forse la cosa più bella e più vera apparsa sulle pagine della nostra rivista. No io non dovevo finire così, mi sentivo ancora (Dio mio, 25 anni!) vivo, pieno di interessi, avevo ancora troppe cose da dire, da vedere, da conoscere. Buzzati fu duro, ma giusto, in fin dei conti Zapparoli era un fallito. Ma ancora non bastava. Bisognava toccare il fondo. Vuoi per un certo crepuscolarismo di balorda qualità, che ogni tanto affiora nel miei giorni peggiori, vuoi per una certa voluptas dolendi che ogni tanto esercita il suo fascino, assunsi la parte dell'uomo deluso e finito e cominciò una recita piuttosto grottesca. Per giustificazione o per meglio mascherare il mio fallimento agli occhi degli altri mi atteggiai a ribelle nel confronti della società, cercai di entrare nella parte dell'anarchico che disprezza i comuni mortali che odia la normalità, dell'uomo finito a vent'anni, dalle idee tenebrose e cupe, dai lunghi silenzi. E anche nei vestire cercai di adeguarmi al soggetto proposto: barba, capelli lunghi, abiti logori e sdruciti, atteggiamenti molto posati. Con il risultato che il mio cervello non tollerò più oltre e mi assestò il colpo definitivo. Esaurimento nervoso di grossa portata, con perdita completa del sonno e un sacco di disturbi fastidiosissimi. Smisi naturalmente di andare in montagna in tutti i sensi, anche su quella facile, e non feci che aggravare le cose. ...Oggi, oggi invece, seppure da un piccolo spiraglio comincio a rivedere le cose. Ho capito l'errore; troppo a lungo ho vissuto in una piccola stanza dove ho chiuso ermeticamente le finestre e le porte, e lì, da solo, nel buio, mi sono illuso che il mondo fosse tutto racchiuso fra quattro pareti. Poi una finestra si é leggermente dischiusa e un filo di luce vi è penetrato. Seguirà un autunno incerto, un ritorno alla montagna timoroso, ma con un animo diverso. Però non ancora tutto era chiarito, anche se cominciavo a star bene, qualcosa ancora nella mia testaccia non funzionava. Incontrerò una sera d'inverno Guido Rossa, il quale fissandomi a lungo, con quei suoi occhi che ti scavano e ti bruciano l'anima, con quella sua voce calma e posata, mi dirà delle cose che avranno un valore definitivo. Mi dirà che l'errore più grande è quello di vedere nella vita solo l'alpinismo, che bisogna invece nutrire altri Interessi, molto più nobili e positivi, utili non solo a noi stessi ma anche agli altri uomini. Non rinunciare alla montagna. E perché? No. Ma andare in montagna per divertirsi, per cercare l'avventura e per stare in allegria assieme agli amici. Io lo so e l'ho sempre saputo, ma dovevo sentirmelo dire da un uomo che mi ha sempre affascinato per la sua intelligenza e per la sensibilità artistica che scopri nel suo sguardo. E poi ci saranno altre persone, tutti gli amici che stupidamente avevo perduto e che ritroverò a uno a uno e che mi aiuteranno moltissimo a ritornare quello di prima. E siamo finalmente nella realtà di questa primavera 1972. Ho trovato un lavoro che mi soddisfa e mi lascia molta libertà, libertà non solo di andare in montagna, ma anche di dedicarmi alle mille cose che ogni giorno mi attirano. Quest'inverno sono andato pochissimo ad arrampicare, ma sono ugualmente felice e soddisfatto, anzi sicuramente l'anno prossimo dedicherò tutta la stagione invernale allo sci e cercherò finalmente di praticare con sicurezza questo magnifico sport. Quest'estate ho in mente sì di effettuare qualche bella salita; ma voglio anche dedicarmi ai viaggi che da tempo ho abbandonato e che, invece, sempre sono stati per me fonte di esperienze e sensazioni meravigliose. Un amico di ritorno dalla Grecia mi ha detto: "Vai di sera verso il tramonto, quando non vi è quasi più nessuno, di fronte al Partenone ad Atene. Fra quelle pietre calcinate, in quella sassaia arida e deserta, assordato dal frinire delle cicale, vedrai tremare nel calore del pomeriggio quelle enormi colonne e ti sembrerà veramente che II tempo non sia trascorso". E veramente, come disse Seneca, posso rivedere serenamente i giorni del passato. E rivedo tanti volti, tanti nomi, per i quali oggi non posso provare che una profonda tristezza. Perché ho conosciuto molti ragazzi e molti uomini che avevano trovato nell'alpinismo il compenso al loro fallimento nella vita di ogni .giorno. Uomini che si erano dati e che si danno caparbiamente alla montagna con l'illusione di trovare un'affermazione che li ripaghi di tutte le frustrazioni, le delusioni e le amarezze della vita. Alcuni si illudono di essere qualcuno, credono di essere importanti, solo perché nell'alpinismo hanno raggiunto i vertici. Ma se tu trasporti gli stessi individui in un altro ambiente, se li inserisci in un differente contesto sociale allora li vedi incapaci di sostenere un dialogo qualsiasi, spauriti e intimiditi, incapaci di intrecciare relazioni umane. Ed eccoli allora portare a giustificazione del loro fallimento l'incomprensione altrui, la banalità e il qualunquismo della gente, la superiorità di chi pratica l'alpinismo, la diversa sensibilità di chi ama la montagna. In realtà vi sono uomini sensibilissimi e amanti della natura anche al di fuori del territorio alpinistico, vi sono uomini che cercano e trovano altrove l'avventura e che sanno comprendere; ma, purtroppo, nell'alpinismo troppi sono i falliti e troppi i condizionati. Non sempre, per fortuna, é così. Sovente ho incontrato ragazzi sereni ed equilibrati, ma molto più sovente l'uomo alpinista mi ha profondamente deluso per la sua ristretta visione delle cose, per la sua voluta ignoranza e per il disprezzo dei comuni mortali. Chi invece la pensa diversamente, chi ha il complesso da prima donna e a tutti i costi si arrabatta per essere il primo, chi vive per la grande impresa e la difficoltà, forse farà per un po' grandi cose, ma poi giungerà alla triste conclusione di chi a trent'anni, svuotato ed esaurito, ha dovuto dire addio. Ogni volta che incontro Francesco Ravelli, penso a quest'uomo più che ottantenne che ancora oggi percorre i sentieri della montagna e che quando giunge la primavera mi parla con gli occhi che brillano degli alberi verdi e dei fiori. pubblicato sulla "Rivista mensile del CAI" - settembre 1972

mercoledì 19 ottobre 2016

Hadrian's Wall

La storia ha digerito anche il muro di Adriano che fine faremo noi...

mercoledì 29 giugno 2016

Antonio Pennacchi- IL FASCIOCOMUNISTA Vita Scriteriata di Acciaio Benassi

Non solo del geometri, ma proprio dell’istituzione, dei professori e della gente in genere:”Non bisogna mai fidarsi di nessuno e soprattutto mai abbassarsi: quando t’abbassi è finita è il momento che s’approfittano”. Era pure socialdemocratica la bastarda.
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E’ grazie a questa roba che l’uomo costruisce, e costruisce in modo che la roba poi non caschi. Solo dopo tanti anni ho capito perché mi piaceva: la statica e la scienza delle costruzioni non riguardano solo le casee i ponti riguardano tutto.  Pure le dinamiche sociali, i rapporti d’amore, i testi poetici.  Non pui caricare un copro con un peso superiore a quello che può reggere. Si rompe. E non si rompe all’improvviso prima si snerva. Se lo guardi bene te ne accorgi. Si snerva solo una volta, due volte, tre volte. Poi si spacca. E nemmeno puoi costruire un corpo con dimensioni spropositate rispetto al peso che deve reggere. Una montagna che regge un topo non ha senso è uno spreco.
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“Ah sì? Mo gli operai hanno bisogno di loro? Questi sono dei disgraziati che fanno chiudere le fabbriche, no aiutare gli oeprai” “ Sono andati ad aiutare gli operai!” Ha deciso mia madre e lui- l’unico operaio vero lì in mezzo –ha preso la bicicletta ed è andato a lavorare.
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Le raccontavo che il mondo non mi piaceva, che era brutto, c’era solo ingiustizia, la bomba atomica, si nasce solo per morire “ la vita è sofferenza, per un solo attimo di felicità come questo con te, ce ne sono una montagna di dolore: tutto il prima e tutto il dopo. Meglio non nascere” e le dicevo che non avrei avuto figli, mai avrei commesso la colpa di condannare mio figlio alla vita. E lei si mise a piangere.
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Ogni tanto rimediavo qualcuna. Mo’ non era più come prima che le ragazze dicevano sempre di no, mo’ ci stavano- come si suole dire- ma sembravano che ci stessero perché dovevano starci, mica perché gli andasse per davvero. Pure per me era una cosa meccanica, senza soddisfazione proprio come gli atti impuri di una volta. Senza affetto, senza cuore. E ogni volta, verso la fine proprio sul più bello mi veniva in mente Jean e come ridevo quando lo facevo con lei. Allora mi si stringeva il cuore e la ragazza di turno chiedeva: “ Che hai?” E io “ niente” e le facevo un sorriso. Ma dentro di me pensavo” Ma questa chi è?Chi ti conosce a te?” non mi innamoravo più. Dentro la testa e nel cuore a me rifrullava ancora Francesca, molto più di Joan, Poi dice la forza del dolore.
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“hai fatto metà del tuo dovere”

giovedì 16 giugno 2016

Cara Ex

Il tempo passa il ricordo si sbiadisce. Non rimane che un fantasma che sibila nella notte. Una presenza inquieta in un quadro di Bosch. Rimane la cicatrice nel cuore, l'incapacità di credere in qualcosa di bello; il ricordo del fortissimo dolore dell'abbandono, una montagna che nasconde ogni orizzonte. Con pazienza la si scava cercando la sua fine, in qualche tratto si crede sia finita ma non è mai così. Ad un certo punto ci si ferma e si inizia a scalarla e si vede di nuovo l'orizzonte; ma siamo in una stanza. L'ingombro di quel dolore passato non può essere spostato, ed il rischio di provarne di nuovo in una stanza così piccola fa rimanere fermi. Soppravviviamo a tutto ma il cuore a volte diventa sempre più stretto.

Guerra

Le guerre non finiranno mai perchè certe anime hanno pace solo in guerra

lunedì 6 giugno 2016

Charles Bukowski PULP

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In un certo senso mi persi, cominciai a fissarle le gambe. Ero sempre stato il classico tipo da gambe. Erano la prima cosa che avevo visto quando era nato.  Ma allora stavo cercando di uscire. Da quel momento in poi avevo sempre cercato di darmi da fare nella direzione opposta, con scarsi risultati.
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Ero in gamba, sono in gamba. A volte mi guardo le mani e capivo che avrei potuto essere un grande pianista, o qualcosa del genere. Ma in definitiva cosa hanno fatto questi mani? Mi hanno grattato le palle, compilato assegni, allacciato scarpe, tirato sciacquoni eccetera. Ho sprecato le mie mani. E la mia mente.
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Avevo la carta oro della Visa. Ero vivo. Forse cominciavano perfino a sentirmi Nicky Belnae. Canticchia un pezzo di Eric Coates. L’inferno te lo costruivi da solo.
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O magari aveva trovato un  sistema per fregare il processo di invecchiamento. Guardate i divi del cinema. Prendono la pelle del culo e se la fanno mettere in faccia. La pelle del culo è l’ultima a raggrinzarsi. Passano gli ultimi ad andarsene in giro con facce da culo.
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Riagganciai. Porca puttana, un uomo nasceva per lottare per ogni centimetro di campo conquistato. Nato per lottare, nato per morire.
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La mosca stava ancora zampettando sulla scrivania. Arrotolai il “giornale delle corse” le diedi un colpo,  ma la mancai. Non era la mia giornata. La mia settimana. Il mio mese. Il mio anno. La mia vita. Maledizione.
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Poi la porta si spalancò. Ed entrò una donna. Ora tutto quello che posso dirvi è che ci sono miliardi di donne sulla faccia della terra giusto? Alcune non sono malaccio. Quasi tutte sono piuttosto carucce. Ma ogni tanto la natura tira un brutto scherzo, mette insieme una donna speciale, una donna incredibile. Voglio dire , la vedi e non puoi credere ai tuoi occhi. Il tutto è accarezzato da un perfetto movimento ondulatorio, argento vivo, come un serpente, vedi una caviglia, vedi un gomito, vedi un seno, vedi un ginocchio, si fonde tutto in un colossale, beffardo insieme, con occhi così belli che sorridono, la bocca un poco imbronciata, le labbra che si mostrano come se stessero per scoppiare in una risata per la tua impotenza. E questi tipi sanno bene come vestirsi e i loro lunghi capelli bruciano l’aria. Quando è troppo è troppo, cazzo.
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Poi mi voltai presi lo spazzolino, premetti il tubetto. Ne uscì troppo. Cadde stancamente sullo spazzolino e finì nel lavabo. Era verde. Sembrava un verme verde. Ci infilai un dito, né misi un po’ sullo spazzolino e cominciai a lavarmi. Denti. Che cazzo di cose erano. Dovevamo mangiare. E mangiare e mangiare ancora. Eravamo tutti essere disgustosi, destinati ai nostri miseri compitini.Mangiare, scoreggiare, grattarsi, sorridere e festeggiare ricorrenze.
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Per quanto disgustoso fossi, era sempre meglio che essere qualcun altro, chiunque altro, tutti quelli che sono là fuori che tirano avanti con i loro penosi trucchetti e salti mortali. Tirai su le coperte fino al collo e aspettai.
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Aspettammo e aspettammo. Tutti. Ma lo strizzacervelli non sapeva che una delle cose che fa ammattire la gente è l’attesa? La gente aspettava tutta la vita. Aspettava di vivere, aspettava di morire. Aspettava in coda per comprare la carta igienica. Aspettava in coda per i soldi. E se non aveva quattrini aspettava in code più lunghe. Si aspettava di andare a letto e si aspettava di svegliarsi. Si aspettava la pioggia e si aspettava che spiovesse. Si aspettava per mangiare e poi si aspettava per mangiare di nuovo. Si aspettava nello studio dello strizzacervelli con una manica di psicopatici e ci si chiedeva se non si era uno di loro.
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-"Cominciai a pensare alle soluzioni nella vita. La gente che risolveva le cose solitamente aveva molta tenacia e una buona dose di fortuna. Se tenevi duro a sufficienza di solito arrivava anche un pó di fortuna. Peró la maggior parte delle persone non riusciva ad aspettare la fortuna, quindi rinunciava. Non Belane. Non era un senzapalle, lui. Era roba di prima qualità. Un ardito. Un tantino fannullone, forse. Ma furbo" 
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Eravamo tutti fregati. Non c’erano vincitori. C’erano solo vincitori apparenti. Stavamo tutti dando la caccia a un mare di niente. Giorno dopo giorno. La sopravvivenza sembrava l’unica necessità. Il che non sembrava abbastanza. Non con la signora morte in attesa. Quando ci pensavo mi faceva impazzire.
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Un altro matto. Non si riusciva ad evitarli. Erano quasi tutti pazzi a questo mondo. E quelli che non erano pazzi erano arrabbiati. E quelli che non erano pazzi o arrabbiati erano semplicemente stupidi. Non avevo scampo.
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Di sera non dormivo per la strada. Naturalmente c’erano un sacco di persone buone che dormivano per la strada. Non erano scemi, ma semplicemente non rientravano nell’ingranaggio del momento. E quell’ingranaggio cambiava continuamente. Era uno scenario sinistro e se ti ritrovavi a dormire nel tuo letto alla sera era già una bella vittoria contro queste forze. Ero stato fortunato anche se qualche mia mossa non l’avevo decisa  cuor leggero. Ma, alla fine, era un mondo piuttosto orribile e spesso mi sentivo triste per quasi tutta la gente che lo popolava.
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Entrò. Ora, voglio dire, era sleale. Il vestito le era così stretto che le cucitrice scoppiavano.  Troppe cioccolate al malto. E portava tacchi così alti da sembrare trampoli. Camminava come una storpia ubriaca, barcollava per la stanza. Gloriosa vertigine di carni- “ Si, sieda signora” dissi. Appoggiò il sedere sulla sedia e accavallò le gambe, per poco non mi fece schizzare gli occhi dalle orbite. “E’ un piacere vederla, signora” dissi. (la morte)
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Poi mentre lo fissavo, il Passero aprì lentamente il becco.  Apparve un enorme vuoto. E nel becco c’era un ampio vortice giallo, più dinamico del sole, da non credere. Non può finire così, pensai ancora. Il becco si spalancò, la testa del Passero si avvicinò il giallo sfavillante e accecante mi fu addosso e mi avvolse.


mercoledì 1 giugno 2016

Nella Bolla

Non lo so, penso che sia un tarlo della mente, ad un certo punto cose che ritenevi importanti, fondamentali, giuste; ad un certo precipitano e continui a farle più per inerzia che per convinzione. Come se la mente, t'avesse dato del tu e ti dice" pensavi di vincere la partita, ora mescolo le carte". Non è nulla di più che una persistente sensazione.

mercoledì 4 maggio 2016

Red light Circe...Amsterdam

Monica era stupenda una frangetta le copriva il viso, un naso piccolo gli adornava delle labbra piene e carnose e due occhi scuri come la notte compivano il mosaico della sua bellezza.  Era una perla in mezzo a un mondo fantastico di streghe e demoni, di rosso e  di vita notturna.  La prima sera mi  trovai perso, vagavo senza meta in quei vicoli, in quei viali avevo trovato in mio inferno un continuo girare in un paradiso di promesse da guardare; una innaturale incapacità di uscirne. Stessa via, stessi vicoli rifatti più volte; negli anfratti le sirene ti ammaliavano, ti chiamavano. Ulisse scendi, qui troverai il tuo mondo, la tua casa la tua Penelope; guardai i miei occhi riposa i tuoi fantasmi. Lampi di luce, attimi di vuoto e sogni sospesi fra inquietudine e voglia.  Ad un tratto un canto più forte così intenso da atterrire qualsiasi cuore; ed era lì perfetta, cristallina  di una bellezza pura. Quella bellezza che uccide qualsiasi Idea di male e di sbaglio, di giusto e sbagliato, di corrotto e ambiguo; una bellezza  che trovava il suo mondo in se stessa, un assoluto in un mare in tempesta e senza meta.  Monica chiamava ed Ulisse non torno più a casa.

lunedì 18 aprile 2016

Entrare in curva come se non ci fosse un futuro; non lo faccio, ma li ammiro. C'è quel qualcosa di coraggio, pazzia e slancio verso il momento successivo che sa di eroico

MTB



lunedì 11 aprile 2016

17 Aprile.....Referendum.

Non si riesce a comprendere il motivo perchè una concessione mineraria non debba scadere, per questo la corte costituzionale ha mandato a Referendum, la norma prevista dal governo. Poi ci possono tutti i pro e i contro del caso; ma era cosa normalissima che le concessioni scadessero e che le compagnie petrolifere ce lo sapevano. Ora non può venire fuori che se passa il referendum crolla un intero settore produttivo e allora come la interpretavano la legge prima? Cioè a logica qualcosa non torna. Normalmente se so che la concessione scade, e mi ripeto come è sempre stato, mi preparo per vincere la gara, non faccio azione di lobby per una norma che mi mantiene la concessione a vita.

sabato 9 aprile 2016

Forza Simba

"In altra parole un vero leader è uno che sa aiutarci a superare i limiti individuali di pigrizia e dell’egoismo e della debolezza e della paura, riuscendo  a farci fare cose migliori e più difficili di quelle che riusciremmo  a fare da soli."

domenica 3 aprile 2016

LA RAGAZZA DAI CAPELLI STRANI di David Foster Wallace


Julie ha detto a Faye che lei è convinta che due persone innamorate attraversino tre fasi distinte prima di arrivare a conoscersi davvero. All’inizio si raccontano aneddoti e gusti personali. Poi ciascuno dei due dice all’altro in che cosa credo. E poi ciascuno osserva la relazione che c’è fra quello in cui l’altro ha detto di credere e quello che in effetti fa.
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Faye ai accende una sigaretta nel vento “e’ solo che non mi è mai piaciuta. E’ un modo di girare intorno alle cose. Anche quando mi piace, non è altro che una maniera molto obliqua di dire l’ovvio, almeno così mi pare.” Julie sorride. Ha una fessura fra gli incisvi. “Olè” dice. “ Ma considera che pochi, pochissimi di noi sono in grado di affrontare l’ovvio”.
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“Ricordatevi signore”, dice l’assistente di Merv dalla finestra.” O siete parte della soluzione, o siete parte del precipitato”.
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Los Angeles a mezzogiorno, oggi, nel 1987, è davvero bollente. Un postino in bermuda da postino e calzettoni di lana al ginocchio sta seduto a consumare il pranzo dentro le viscere nere di una buca delle lettere aperta. L’aria scintilla sopra l’asfalto come carburante. A cavallo di ogni faccia in circolazione c’è un paio di occhiali da sole.
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Tutte lavorate insieme nello stesso settore, piccolo ma dal potere terrificante. E’ una piccola comunità, minuscola e sordida e claustrofobica, dove nessuno può sfuggire alle zappe che si è dato sui piedi. Sprofondi nella confusione.
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Stava componendo un viso accuratamente disinvolto, restringendo le opzioni dio saluto verso un “Salve” che conteneva già un riconoscimento della distanza dall’altro e una serena disponibilità a conservarla.
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"Ha manifestato l'opinione che i punk fossero bambini nati in un posticino minuscolo, senza finestre, e inoltre chiuso su ogni lato da pareti di cemento e metallo, spesso devastati da graffiti, e che da adulti stessero cercando di aprirsi un varco fra quelli pareti. Stavano cercando di muoversi rapidamente lungo l'estremità sottilissima di qualcosa, e riuscivano nell'impresa solo a patto di fregarsene se cadevano o meno oltre quell'estremità. Cacio ha dichiarato che tutti i membri della mia combriccola di punk sentivano di non avere nulla e di non poter mai avere nulla perciò trasformavano il nulla in tutto. D'altra parte Cacio ha dichiarato che io ero un Cucciolo Rabbioso che aveva già tutto, quindi avrebbe voluto domandarmi come mai avevo scambiato il mio bel tutto con un bel niente."
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"Si, be', c'era qualcosa di animalesco in Johnson, no? Per me lui in un certo senso era la conferma perfetta dell'animalità degli esseri umani. Tutto il tempo che ha passato sulla scena pubblica mi sembrava una conferma di fronte all'intero paese del fatto che gli uomini non sono altro che animali tristi ed astuti" 
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“Lyndon Baines Johnson non si spiega mai. E’ una regola personale che mi è tornata di grande utilità. Non dare mai tante spiegazioni. La gente non si fida di quelli che danno tante spiegazioni”
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“Noi gli abbiamo reso la vita troppo facile, ragazzo mio. Noi, intendo i loro papà. Uomini con cui sono cresciuto quando ero giovane. E questi giovani di oggi sono incazzati. Non hanno mai dovuto provare nessuna specie di angoscia, di dolore o di sofferenza degni di questo nome, neanche una volta in vita loro . Non conoscono la grande depressione e non conoscono la desolazione.” Mi guardò. “ Secondo te questo è un bene?”
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Vedo degli animai che hanno bisogno di soffrire, gente che ha bisogno di un po’ di sofferenza per essere americana dentro, ragazzo; e se non gliela diamo un po’ di sofferenza se la vanno a cercare da soli.
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“David, Lyndon dice sempre che per quanti sforzi faccia non riesce a capire perché le nuove generazioni come la tua vedano tutto quello che c’è di importante al mondo in termini d’amore. Come se potesse spiegare sentimenti che durano anni e anni, quella parola” Vidi l’ombra di Kunter, e di qualcun altro, passare all’ingresso alla cucina. Mi alzai. Lei disse” L’amore è soltanto una parola. Congiunge cose che sono separate. Io e Lynodon, anche se tu non sarai d’accordo, siamo d’accordo sul fatto che quello che c’è fra noi non si può chiamare propriamente amore. Perché abbiamo smesso molto tempo fa di essere abbastanza separati perché ci sia un amore a coprire una distanza. Lydon dice che non vede l’ora che arrivi il giorno in cui amore e giustizia e ingiustizia e responsabilità, il giorno in cui voi giovani d’America, dice, capirete che quelle parole non sono altro che maniere di affrontare la distanza”
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In superficie Nunn guarì, ma qualcosa dentro rimase sottosopra….”A Chuck Junior gli venne paura di se stessso”. Mai avuto paura di voi stessi? Fa parecchio male.
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Non è questione di essere schifiltosi, non c’entra niente col fatto, già notato da qualcuno,che baciare una persona significa in fondo succhiare un lungo tubo l’altra estremità del quale è piena di escrementi. Per me è una questione di stupidità. Mi sento stupido. Io e la ragazza siamo vicinissimi; il bacio ci contorce la bocca; ci vanno di mezzo i nasi, si piegano; è come se ci facessimo delle smorfie.
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Forse a questo punto potremmo semplicemente ammettere insieme che se uno usa un’altra persona soltanto come puro ricettacolo per i propri organi, fluidi ed emozioni, se uno non la considera mai qualcosa di superiore e indipendente rispetto ai sentimenti e alle qualità che è disposto a proiettare su di lei da una certa distanza, poi è sbagliato fare marcia indietro e dipendere dai suoi sentimenti per una qualunque parte significativa del proprio senso di benessere. Bruce perché non ammettere semplicemente che quello che ti tormenta tanto è che lei ha dato segni inequivocabili di possedere una vita emotiva con caratteristiche che tu ignoravi, che lei è diversa, puramente diversa da qualunque cosa in cui tu potevi aver deciso di trasformarla. In breve che lei è una persona Bruce.
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I giorni passano e i miei zii sono sempre di una gentilezza impeccabile, ma stare nel Maine diventa stare per l’ennesima volta da una parte, invece che da un’altra parte.

-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Credo, inginocchiato dietro alla cucina, con mia zia, che si accovaccia a posarmi una mano sulla spalla,che mi faccia paura assolutamente tutto ciò che esiste.

mercoledì 9 marzo 2016

lunedì 7 marzo 2016

Colonialismo 2.0- Un Futuro A Colori

La grande spartizione della Libia: un bottino da almeno 130 miliardi

dal SOLE24ORE

Quando si incontreranno martedì al palazzo Ducale di Venezia, Matteo Renzi e François Hollande guardandosi negli occhi dovrebbero farsi una domanda: per quali ragioni facciamo la guerra in Libia?
La risposta più ovvia - il Califfato - è quella di comodo. La guerra di Libia è partita nel 2011 con un intervento francese, britannico e americano che con la fine di Gheddafi è diventato conflitto tra le tribù, le milizie e dentro l’Islam, che però è sempre rimasto una guerra di interessi geopolitici ed economici. L’esito non è stato l’avvento della democrazia ma è sintetizzato in un dato: la Libia era al primo posto in Africa nell’indice Onu dello sviluppo umano, adesso è uno stato fallito.
La guerra è in realtà un regolamento di conti e una spartizione della torta tra gli attori esterni e i due poli libici principali, Tripoli e Tobruk, che hanno due canali paralleli e concorrenti per l’export di petrolio.
Qui si possono liberare alcune delle più importanti risorse dell’Africa: il 38% del petrolio del continente, l’11% dei consumi europei. È un greggio di qualità, a basso costo, che fa gola alle compagnie in tempi di magra. In questo momento a estrarre barili e gas dalla Tripolitania è soltanto l’Eni: una posizione, conquistata manovrando tra fazioni e mercenari, che agli occhi dei nostri alleati deve finire e, se possibile, con il nostro contributo militare.
Per loro, anche se l’Italia ha perso in Libia 5 miliardi di commesse, stiamo già accantonando risorse per un contingente virtuale in barili di oro nero. Non è così naturalmente, ma “deve” essere così: per questo l’ambasciatore Usa azzarda a chiederci spudoratamente 5mila uomini. La dichiarazione di John Phillips, addolcita dalla promessa di un comando militare all’Italia, sottolinea la nostra irrilevanza.
La Libia è un bottino da 130 miliardi di dollari subito e tre-quattro volte tanto nel caso che un ipotetico Stato libico, magari confederale e diviso per zone di influenza, tornasse a esportare come ai tempi di Gheddafi. Sono stime che sommano la produzione di petrolio con le riserve della Banca centrale e del Fondo sovrano libico che sta a Londra dove ha studiato per anni il prigioniero di Zintane, Seif Islam, il figlio di Gheddafi, un tempo gradito ospite di Buckingham Palace al pari di tutti gli arabi che hanno il cuore nella Mezzaluna e il portafoglio nella City. Oltre alla Bp e alla Shell in Cirenaica - dove peraltro ci sono consorzi francesi, americani tedeschi e cinesi - gli inglesi hanno da difendere l’asset finanziario dei petrodollari.
Anche i russi, estromessi nel 2011 perché contrari ai bombardamenti, vogliono dire la loro: lo faranno attraverso l’Egitto del generale Al Sisi al quale vendono armi a tutto spiano insieme alla Francia. Al Sisi considera la Cirenaica una storica provincia egiziana, alla stregua di re Faruk che la reclamava nel 1943 a Churchill: «Non mi risulta», fu allora la secca risposta del premier britannico. Ma ce n’è per tutti gli appetiti: questo è il fascino tenebroso della guerra libica.
Il bottino libico, nell’unico piano esistente, deve tornare sui mercati, accompagnato da un sistema di sicurezza regionale che, ignorando Tunisia e Algeria, farà della Francia il guardiano del Sahel nel Fezzan, della Gran Bretagna quello della Cirenaica, tenendo a bada le ambizioni dell’Egitto, e dell’Italia quello della Tripolitania. Agli americani la supervisione strategica.
Ai libici, divisi e frammentati, messi insieme in un finto governo di “non unità nazionale”, il piano non piacerà perché hanno fatto la guerra a Gheddafi e tra loro proprio per spartirsi la torta energetica senza elargire “cagnotte” agli stranieri e finire sotto tutela. E insieme ai litigi libici ci sono le trame delle potenze arabe e musulmane. Sono “i pompieri incendiari” che sponsorizzano le loro fazioni favorite: l’Egitto manovra il generale Khalifa Haftar, il Qatar seduce con dollari sonanti gli islamisti radicali a Tripoli, gli Emirati si sono comprati il precedente mediatore dell’Onu Bernardino Leòn per appoggiare Tobruk; senza contare la Turchia, che dalla Siria ha rispedito i jihadisti libici a fare la guerra santa nella Sirte.
La lotta al Califfato è solo un aspetto del conflitto, anzi l’Isis si è inserito proprio quando si infiammava la guerra per il petrolio. Ma gli interessi occidentali, mascherati da obiettivi comuni, sono divergenti dall’inizio quando il presidente francese Nicolas Sarkozy attaccò Gheddafi senza neppure farci una telefonata. Oggi sappiamo i retroscena. In una mail inviata a Hillary Clinton e datata 2 aprile 2011, il funzionario Sidney Blumenthal rivela che Gheddafi intendeva sostituire il Franco Cfa, utilizzato in 14 ex colonie, con un’altra moneta panafricana. Lo scopo era rendere l’Africa francese indipendente da Parigi: le ex colonie hanno il 65% delle riserve depositate a Parigi. Poi naturalmente c’era anche il petrolio della Cirenaica per la Total. È così che prepariamo la guerra: in compagnia di finti amici-concorrenti-rivali, esattamente come faceva la repubblica dei Dogi

mercoledì 24 febbraio 2016

domenica 21 febbraio 2016

Monte Sibilla-Sibillini Inverno 20/02/2016

Fra il cielo e la terra, ghiaccio e aria sottile

martedì 16 febbraio 2016

Di precipizi d’intorno che mi infondano molta paura.

Un paese di pianura per quanto sia bello, non lo fu mai ai miei occhi. Ho bisogno di torrenti, di rocce, di pini selvatici, di boschi neri, di montagne, di cammini dirupati ardui da salire e da discendere, di precipizi d’intorno che mi infondano molta paura.
(Jean-Jacques Rosseau)

«Non lo so, ma dobbiamo andare». »

« «Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati»
«Dove andiamo?»
«Non lo so, ma dobbiamo andare». »
(Jack Kerouac, On the Road, p. 17)

martedì 9 febbraio 2016

L'anima della montagna

C'era un vento così forte che sollevava una polvere sottile di neve; come se la neve stessa, stufa della terra, volesse riunirsi al candore delle nuvole. Certi paesaggi ti fanno credere che la montagna abbia un'anima.

domenica 7 febbraio 2016

FOREVER YOUNG (Bob Dylan)



May God bless and keep you always,
May your wishes all come true,
May you always do for others
And let others do for you.
May you build a ladder to the stars
And climb on every rung,
May you stay forever young,
Forever young, forever young,
May you stay forever young.

May you grow up to be righteous,
May you grow up to be true,
May you always know the truth
And see the lights surrounding you.
May you always be courageous,
Stand upright and be strong,
May you stay forever young,
Forever young, forever young,
May you stay forever young.

May your hands always be busy,
May your feet always be swift,
May you have a strong foundation
When the winds of changes shift.
May your heart always be joyful,
May your song always be sung,
May you stay forever young,
Forever young, forever young,
May you stay forever young.


"Ogni fallimento è sempre una vittoria".

.il fallimento nel parlare l'Italiano, la vittoria nel riscoprire il linguaggio delle espressioni. David Foster Wallace

lunedì 18 gennaio 2016

Al Fargno


giovedì 14 gennaio 2016

Il rumore della montagna -Cronaca di un incantesimo_Valanga Francia 14/01/2016

Chi scia solo per passare il tempo, non può capire il rumore che fa una pista nera ricoperta da neve fresca; è il richiamo. Puoi essere la persona più intelligente e capace del mondo ma la parte cosciente viene assordata dalla voce della montagna. Ti dice..eccomi, venite, con candido manto vi aspetto, sono innocua. Muoiono sotto le valanghe gli sciatori più capaci e gli amanti più profondi della montagna; quindi quando la cosa succede non puoi attribuire alcuna colpa all'uomo. La montagna li ha chiamati; loro , uomini, non sono riusciti a resistere. Se fossimo Greci, avremmo dato la colpa alle Sibille...ora il mondo che non comprende più nulla che sia più profondo dell'evidenza cercherà l'incosciente di turno; ma credetemi quell'uomo era sotto un incantesimo che pochi possono intuire.

lunedì 11 gennaio 2016

L'uomo è l'animale che non si è rassegnato a vivere su quattro zampe

L'uomo è l'animale che non si è rassegnato a vivere su quattro zampe; ha lasciato l'equilibrio di 4 appoggi, per andare su due. Una volta conquistato il mondo camminando; non gli è bastato, è andato oltre, ha inventato nuove gambe. E' questo slancio verso l'orizzonte che ci rende umani; questa continua mancanza di equilibrio è la base per l'evoluzione. Se il passato esiste è solo per darci le basi per andare oltre al di là di quello che fino a ieri ritenevamo il massimo. Lo sci né è un esempio, nessuno fino a 15 anni fa avrebbe immaginato i livelli a cui siamo arrivati ora; poi sono arrivati i vari Jp Auclair, Andreas Franson, hanno detto " beh, dai ragazzi, fino a qui ci siamo; ora è il momento di rischiare di cadere".

Una Vita di Massimo Fini


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Gli emigres russi quando erano al verde, cioè quasi sempre, e non avevano soldi per la vodka, si facevano versare nei bicchierini da vodka acqua ghiacciata. La cosa curiosa, come raccontava mia madre, è che finivano per ubriacarsi lo stesso.-
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Questo popolo immenso e affascinante, che è tutto e il contrario di tutto, sentimentale e crudele, generoso e avido, ospitale e infido, orgoglioso e masochista, scialacquatore, malinconico, fatalista, indolente, sognatore, melodrammatico (più dramma che melo), supremamente bugiardo, e comunque in ogni aspetto eccessivo. Ma una cosa non ha: il cinismo italico, roman-andreottiano. Che è sempre mancato anche a me.
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Politicamente il sessantotto, per prendere a prestito un’espressione di Luigi Einaiudi usata per la massoneria, fu una cosa “comica e camorristica”. Figli della borghesia che avrebbero dovuto spazzar via la borghesia. Una cosa che avrebbe fatto rivoltare nella tomba il buon Marx.
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“Noi lavoriamo per delle aziende ma siamo innanzitutto delle persone e questo non bisogna mai dimenticarlo. Vedrà che questa esperienza in Pirelli, che ora le sembra negativa, le servirà perché, col andar degli anni, ci si accorge che tutto serve nella vita e nulla è stato inutile. Sono sciuro,  e non glielo dico per dire, che lei saprà trovare la sua strada” Era il 1969. E questo era lo stile di una grande e antica azienda milanese che era rimasta in mano alla famiglia del fondatore. Lo stile dei “cummenda” e di loro collaboratori, il cui obbiettivo principale era certamente il profitto ma rimanevano degli esseri umani. Poi sarebbero arrivati i manager.
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A me interessava sempre, solo e semplicemente l’uomo. Nelle miglia glia di pagine scritte da Massimo Fini vanamente cerchereste anche un solo brano dedicato alla politica in senso stretto. Anche quando era all’Europeo mentre i suoi colleghi facevano a spallate per seguire i grandi eventi, lui preferiva raccontare storie, insolite bizzarre della cronaca italiana. Il fotografo che in Vietnam, durante la guerra, era stato il principe dei reporter, il più coraggioso, ma che tornato in Italia si trovò ad avere a che fare con un nemico molto più insidioso dei vietcong, la canea dei paparazzi romani, non resse questa concorrenza e ci impiccò in un buio e squallido scantinato.
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Penso che un pizzico di verità, se mai esiste, o comunque di umanità si trovi più facilmente nel mondo della miseria, del dolore e dell’emarginazione che nei luoghi di lusso, o più borghesemente, all’Ikea o negli outlet dove compunte famiglie vanno a consumare le loro domeniche.
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Io mi sono sempre sentito un vinto dalla vita. Anche quando l’ho avuto mi sono comunque definito un fallito di successo. C’è in me  uno spleen, una malinconia di fondo, un mal de vivre che mi accompagna da quando ho l’età della ragione e forse anche prima.
Per me la questione di fondo, irrisolta, che altri potranno giudicare puerile, è sempre stata la mancanza di senso. Il senso l’ho cercato per tutta la vita, ma non sono stato capace di trovarlo. Ho provato a riempire il vuoto con l’iperattività. Molti ricorrono alla fede. Io sono troppo razionale per aderire.
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Nel titolo la ragione aveva torto? Ho voluto conservare il punto interrogativo, com’era in origine.  Perché uno dei portati fecondi dell’illuminismo è l’esercizio sistematico del dubbio. E il dubbio si esercita innanzitutto verso se stessi. Io non pretendo di avere ragione. Pongo dei dubbi, faccio delle domande, mi chiedo e chiedo se la strada che, dopo la rivoluzione industriale abbiamo imboccato con tanta orgogliosa sicurezza possa essere ancora considerata quella giusta e, soprattutto, se non sia il caso di cogliere alcune suggestioni del passato, senza per questo tornare al medioevo né, tantomeno al buon selvaggio vagheggiato da Rousseau, che non è mai esistito. L’altro principio secondo me, irrinunciabile dell’Illuminismo è contenuto nella frase di Voltaire “ Non sono d’accordo con le tue, ma difenderò sino alla morte il tuo diritto ad esprimerle”. Ma gli eredi dell’Illuminismo sembrano aver dimenticato questi principi basilari, imponendo in modo acritico, senza ammettere obiezioni, quello che ormai non è nemmeno più un pensiero ma un meccanismo, scientifico, tecnologico, produttivo ed economico, che credono di guidare ma di cui sono solo le mosche cocchiere. Che va per conto suo e che come un treno, senza più macchinista, lanciato a una velocità crescente prima o poi, andrà fatalmente a sbattere. Insieme a tutto il suo carico.
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Sgarbi non è cattivo, è solo infantile, e che per una battuta, come Oscar Wilde sarebbe disposto a tutto, si profuse in scuse ma concluse “ comunque resto dell’idea che stronzo sia più poetico di arbusto”
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Credo che i protagonisti della cosiddetta rivoluzione italiana che abbatté la prima repubblica siano stati quattro: Di Pietro, Bossi, il Feltri dell’Indipendente e Funari con Mezzogiorno Italiano. Di Pietro è stato massacrato, Bossi inglobato, Feltri comprato, Funari emarginato.
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Considero Silvio Berlusconi deleterio nella storia del nostro paese, perché col supporto dei suoi servi liberi, ha contribuito a togliere agli italiani quel poco di senso della legalità e oserei dire anche dignità, che gli era restato.

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Una guerra del petrolio al contrario:Alberto Negri per "Il Sole 24 Ore"

Alberto Negri per "Il Sole 24 Ore"

Una guerra del petrolio al contrario: più il conflitto in Medio Oriente si fa distruttivo e complicato e più il prezzo del petrolio scende.

Un tempo bastava l’accenno di un conflitto per alzare le quotazioni e rimpinguare le casse dei Paesi produttori. Ma è un paradosso apparente. Oggi l’arma del petrolio si è rovesciata: l’Arabia Saudita ha fatto saltare l’Opec e le quote del tetto produttivo per mettere al tappeto l’Iran, la Russia e fronteggiare l’ascesa dello shale oil americano.

pozzi arabia sauditaPOZZI ARABIA SAUDITA
I sauditi hanno sbriciolato il Cartello dell’oro nero come l’Isis ha simbolicamente abbattuto con un bulldozer un altro cartello, di cartapesta, con la scritta Sykes-Picot ai confini tra Iraq e Siria, per significare l’affondamento dei confini coloniali.

Riad, forte di 700 miliardi di dollari in riserve ma pronta anche a emettere bond per finanziare le sue guerre, è disposta a giocarsi il tutto per tutto. Soltanto nella prima metà del 2015 ha perso 150 miliardi per il calo dei prezzi. La monarchia saudita, guida del fronte sunnita, è in difficoltà come non mai e ha trovato il suo Vietnam arabico in Yemen. Le cose vanno così male che si ritirano investimenti dai fondi sovrani, il sacro Graal della liquidità mondiale.
re salman abdullazizRE SALMAN ABDULLAZIZ

Gli americani pur di tenere in piedi la casa reale, divorata da lotte interne e generazionali tra i principi del sangue, hanno persino bombardato le truppe di Assad in Siria: un segnale di solidarietà a quel fronte sunnita che ha sbagliato clamorosamente i calcoli di un’altra guerra dopo quella condotta, sempre per procura, da Saddam Hussein contro l’Iran di Khomeini. Ma allora il petrolio era schizzato e gli sceicchi versarono 50 miliardi di dollari sonanti nella tasche del raìs iracheno per abbattere la repubblica islamica.
la produzione di petrolio americanoLA PRODUZIONE DI PETROLIO AMERICANO

La guerra sullo Shatt el Arab non modificò il confine di un centimetro ma ora le cose stanno diversamente: i sunniti si trovano la Russia nel Levante che tiene sotto tiro con i missili l’improvvido Tayyp Erdogan, una sorta di piazzista della jihad che buttando a mare Assad voleva mettersi in proprio come Sultano del Levante tra Aleppo, Mosul, intascando anche qualche pozzo di greggio. I prezzi bassi dell’energia aiutano anche lui, in difficoltà con il boom economico che si affloscia e ai ferri corti con Putin, il suo maggiore fornitore di gas.

Presidente Hassan RouhaniPRESIDENTE HASSAN ROUHANI
Cambiano i tempi, cambia pure la tattica. Ora si fa destabilizzazione al contrario. Pur di sgretolare l’asse sciita Teheran-Baghdad-Damasco-Hezbollah le monarchie del petrolio sono disposte a bruciare le loro ricchezze, una mossa azzardata perché è proprio con la loro potenza finanziaria che hanno pagato i gruppi radicali islamici per tenerli lontani da casa propria.

ASSAD PUTINASSAD PUTIN
Ma non riescono a digerire l’accordo sul nucleare con l’Iran e la prossima fine delle sanzioni che porterà sul mercato altri 500mila barili di petrolio al giorno, con i tank persiani che galleggiano già come cetacei nelle acque del Golfo. Non solo: i nuovi contratti petroliferi iraniani presentati dal ministro Bijan Zanganeh, più appetibili per la major di quanto non si pensasse, sono un altro motivo di acuta irritazione. Per punire il ritorno di Teheran sui mercati i sauditi hanno sgretolato il Cartello.

Per questo la guerra del petrolio alla rovescia non annuncia rosei orizzonti. Per quanto vituperata dai consumatori, con l’Opec svanisce un’altra forma di organizzazione dei mercati: il caos del greggio a basso costo si può pagare molto caro in certi Paesi. Se a questo aggiungiamo altri fattori di incertezza, valutari e finanziari, ci rendiamo conto che sta venendo meno un sistema di regolamentazione con mezzo secolo di storia.

michelle e barack obama con re salman dell arabia sauditaMICHELLE E BARACK OBAMA CON RE SALMAN DELL ARABIA SAUDITA
E non è secondario che le quotazioni in discesa ridurranno ancora utili e investimenti: forse qualche major sparirà. I sauditi e i loro fiancheggiatori arabi, gli esempi peggiori di un Islam conservatore e retrogrado, ballano sul ponte di una petroliera inclinata come il Titanic. Se non fosse per le basi Usa nel Golfo e il patto leonino che lega Riad a Washington ci sarebbe da temere davvero.

Ma è noto che gli Stati Uniti sono pronti a correre in soccorso dei prìncipi arabi più di quanto non siano disposti a fare per i traballanti leader europei: in cinque anni i sauditi hanno acquistato sistemi d’arma da Washington per 100 miliardi di dollari. Del resto gli americani ci possono chiedere: «Non volevate il petrolio a buon mercato? Eccovi serviti».

putin selfie obamaPUTIN SELFIE OBAMA
E quanto alla guerra nel Levante, alle sue centinaia di migliaia di morti, ai milioni di profughi e al terrorismo, il punto di svolta potrebbe essere economico. Se gli Usa e l’Europa firmeranno il Trattato transatlantico su commercio e investimenti (Ttip), gli americani torneranno ad avere un forte interesse per il mercato europeo e forse decideranno di sistemare i conflitti intorno all’Unione e con la Russia. Così quando la polvere si depositerà sui campi di battaglia si conteranno gli utili in bilancio, non i morti