lunedì 29 gennaio 2018

Le sette vite di Tomek-Agostino Da Polenza-Montagna.tv

Era la sua settima volta al Nanga Parbat d’inverno e “ci ha lasciato lo zampino”. Come i gatti randagi, lui era così, ed Elisabeth se n’è innamorata, non di Tomek, ma del gatto randagio.
Anu, la moglie, è stata con Tomek fino alla fine e dopo. Lo piange ed è felice per Elisabeth. Anu è stata anche con noi, in un gruppo whatsapp che il manager di Elisabeth, Ludovic, ha attivato insieme a Daniele Nardi, che con Elisabeth aveva condiviso un Nanga in inverno e il sogno ancor più impossibile di salirne lo sperone Mummery. Anu, annunciata dal trillo di whatsapp, ha con gentilezza chiesto di ora in ora di ricordarsi di Tomek, che anche lui era lì, poco più su. Anu è stata la sua anima, il suo cuore e la sua voce per tutti noi, per 48 ore: decisa, implorante, perentoria ci ha ricordato il “gatto selvatico”, i suoi figli e l’imperativo morale di non girare lo sguardo verso la soluzione meno disperata.
Tomek lascia il suo nome inciso longitudinalmente sulla montagna dei suoi sogni e della sua ossessione, lungo la via che prima si chiamava nobilmente con il nome dei suoi ideatori Messner e Eisendle e che ora è la via Marckievicsz e Revol, i primi che l’hanno salita fino in vetta.
Ma lo ricordate alla sua sesta vita, nell’inverno di due anni fa? Lui ed Elisabeth erano rimasti, come quest’anno, insieme sulla montagna fermi come gatti per ore e giorni, in attesa che il vento mollasse per sgusciare ancora qualche centinaio di metri più avanti, portandosi fin là la tenda. Loro sì senza mezzi di comunicazione. Poi un giorno Elisabeth all’alba fuggì in Francia, erano finite le vacanze, disse, doveva tornare al lavoro. Lui rimase a vagare lungo la valle Diamir, dalle rive dell’Indo che scorre giù in basso fin su ai pascoli alti e innevati, dopo le foreste di bambu prima e poi di betulle giganti e infine di conifere. Chiese aiuto, cibo e una corda a cui legarsi per andare in vetta, ma fu scacciato come un gatto con la rogna che miagola e infastidisce fuori casa.
Elisabeth aveva perso un moschettone di cristallo il mattino che se n’era andata e lui lo ha raccolto e, passata qualche stagione, l’ha cercata per renderglielo; quando l’ha incontrata ha fatto le fusa arruffando il pelo rosso e selvatico e lei, la dura e imperturbabile regina delle montagne, ha ceduto alle lusinghe e se l’è riportato sul Nanga, questa volta fin sulla vetta, dimenticando per la gioia che questa era la sua settima vita, l’ultima.
Nessuno ha potuto e voluto salvare quel gatto ormai domato, accucciato nella neve del gran catino sotto l’argenteo trapezio sommitale della vetta del Nanga Parbat: non i polacchi nerboruti, determinati e super efficienti, non le chiacchiere eteree sui satelliti o le parole compite delle cancellerie. Nemmeno la mano lieve e miracolosa di Elisabeth questa volta lo ha salvato. Anu ha ringraziato tutti, per aver salvato Elisabeth e con un filo di voce ha ripetuto: “Non dimenticate di Tomek”.