lunedì 18 gennaio 2016

Al Fargno


giovedì 14 gennaio 2016

Il rumore della montagna -Cronaca di un incantesimo_Valanga Francia 14/01/2016

Chi scia solo per passare il tempo, non può capire il rumore che fa una pista nera ricoperta da neve fresca; è il richiamo. Puoi essere la persona più intelligente e capace del mondo ma la parte cosciente viene assordata dalla voce della montagna. Ti dice..eccomi, venite, con candido manto vi aspetto, sono innocua. Muoiono sotto le valanghe gli sciatori più capaci e gli amanti più profondi della montagna; quindi quando la cosa succede non puoi attribuire alcuna colpa all'uomo. La montagna li ha chiamati; loro , uomini, non sono riusciti a resistere. Se fossimo Greci, avremmo dato la colpa alle Sibille...ora il mondo che non comprende più nulla che sia più profondo dell'evidenza cercherà l'incosciente di turno; ma credetemi quell'uomo era sotto un incantesimo che pochi possono intuire.

lunedì 11 gennaio 2016

L'uomo è l'animale che non si è rassegnato a vivere su quattro zampe

L'uomo è l'animale che non si è rassegnato a vivere su quattro zampe; ha lasciato l'equilibrio di 4 appoggi, per andare su due. Una volta conquistato il mondo camminando; non gli è bastato, è andato oltre, ha inventato nuove gambe. E' questo slancio verso l'orizzonte che ci rende umani; questa continua mancanza di equilibrio è la base per l'evoluzione. Se il passato esiste è solo per darci le basi per andare oltre al di là di quello che fino a ieri ritenevamo il massimo. Lo sci né è un esempio, nessuno fino a 15 anni fa avrebbe immaginato i livelli a cui siamo arrivati ora; poi sono arrivati i vari Jp Auclair, Andreas Franson, hanno detto " beh, dai ragazzi, fino a qui ci siamo; ora è il momento di rischiare di cadere".

Una Vita di Massimo Fini


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Gli emigres russi quando erano al verde, cioè quasi sempre, e non avevano soldi per la vodka, si facevano versare nei bicchierini da vodka acqua ghiacciata. La cosa curiosa, come raccontava mia madre, è che finivano per ubriacarsi lo stesso.-
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Questo popolo immenso e affascinante, che è tutto e il contrario di tutto, sentimentale e crudele, generoso e avido, ospitale e infido, orgoglioso e masochista, scialacquatore, malinconico, fatalista, indolente, sognatore, melodrammatico (più dramma che melo), supremamente bugiardo, e comunque in ogni aspetto eccessivo. Ma una cosa non ha: il cinismo italico, roman-andreottiano. Che è sempre mancato anche a me.
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Politicamente il sessantotto, per prendere a prestito un’espressione di Luigi Einaiudi usata per la massoneria, fu una cosa “comica e camorristica”. Figli della borghesia che avrebbero dovuto spazzar via la borghesia. Una cosa che avrebbe fatto rivoltare nella tomba il buon Marx.
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“Noi lavoriamo per delle aziende ma siamo innanzitutto delle persone e questo non bisogna mai dimenticarlo. Vedrà che questa esperienza in Pirelli, che ora le sembra negativa, le servirà perché, col andar degli anni, ci si accorge che tutto serve nella vita e nulla è stato inutile. Sono sciuro,  e non glielo dico per dire, che lei saprà trovare la sua strada” Era il 1969. E questo era lo stile di una grande e antica azienda milanese che era rimasta in mano alla famiglia del fondatore. Lo stile dei “cummenda” e di loro collaboratori, il cui obbiettivo principale era certamente il profitto ma rimanevano degli esseri umani. Poi sarebbero arrivati i manager.
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A me interessava sempre, solo e semplicemente l’uomo. Nelle miglia glia di pagine scritte da Massimo Fini vanamente cerchereste anche un solo brano dedicato alla politica in senso stretto. Anche quando era all’Europeo mentre i suoi colleghi facevano a spallate per seguire i grandi eventi, lui preferiva raccontare storie, insolite bizzarre della cronaca italiana. Il fotografo che in Vietnam, durante la guerra, era stato il principe dei reporter, il più coraggioso, ma che tornato in Italia si trovò ad avere a che fare con un nemico molto più insidioso dei vietcong, la canea dei paparazzi romani, non resse questa concorrenza e ci impiccò in un buio e squallido scantinato.
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Penso che un pizzico di verità, se mai esiste, o comunque di umanità si trovi più facilmente nel mondo della miseria, del dolore e dell’emarginazione che nei luoghi di lusso, o più borghesemente, all’Ikea o negli outlet dove compunte famiglie vanno a consumare le loro domeniche.
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Io mi sono sempre sentito un vinto dalla vita. Anche quando l’ho avuto mi sono comunque definito un fallito di successo. C’è in me  uno spleen, una malinconia di fondo, un mal de vivre che mi accompagna da quando ho l’età della ragione e forse anche prima.
Per me la questione di fondo, irrisolta, che altri potranno giudicare puerile, è sempre stata la mancanza di senso. Il senso l’ho cercato per tutta la vita, ma non sono stato capace di trovarlo. Ho provato a riempire il vuoto con l’iperattività. Molti ricorrono alla fede. Io sono troppo razionale per aderire.
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Nel titolo la ragione aveva torto? Ho voluto conservare il punto interrogativo, com’era in origine.  Perché uno dei portati fecondi dell’illuminismo è l’esercizio sistematico del dubbio. E il dubbio si esercita innanzitutto verso se stessi. Io non pretendo di avere ragione. Pongo dei dubbi, faccio delle domande, mi chiedo e chiedo se la strada che, dopo la rivoluzione industriale abbiamo imboccato con tanta orgogliosa sicurezza possa essere ancora considerata quella giusta e, soprattutto, se non sia il caso di cogliere alcune suggestioni del passato, senza per questo tornare al medioevo né, tantomeno al buon selvaggio vagheggiato da Rousseau, che non è mai esistito. L’altro principio secondo me, irrinunciabile dell’Illuminismo è contenuto nella frase di Voltaire “ Non sono d’accordo con le tue, ma difenderò sino alla morte il tuo diritto ad esprimerle”. Ma gli eredi dell’Illuminismo sembrano aver dimenticato questi principi basilari, imponendo in modo acritico, senza ammettere obiezioni, quello che ormai non è nemmeno più un pensiero ma un meccanismo, scientifico, tecnologico, produttivo ed economico, che credono di guidare ma di cui sono solo le mosche cocchiere. Che va per conto suo e che come un treno, senza più macchinista, lanciato a una velocità crescente prima o poi, andrà fatalmente a sbattere. Insieme a tutto il suo carico.
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Sgarbi non è cattivo, è solo infantile, e che per una battuta, come Oscar Wilde sarebbe disposto a tutto, si profuse in scuse ma concluse “ comunque resto dell’idea che stronzo sia più poetico di arbusto”
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Credo che i protagonisti della cosiddetta rivoluzione italiana che abbatté la prima repubblica siano stati quattro: Di Pietro, Bossi, il Feltri dell’Indipendente e Funari con Mezzogiorno Italiano. Di Pietro è stato massacrato, Bossi inglobato, Feltri comprato, Funari emarginato.
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Considero Silvio Berlusconi deleterio nella storia del nostro paese, perché col supporto dei suoi servi liberi, ha contribuito a togliere agli italiani quel poco di senso della legalità e oserei dire anche dignità, che gli era restato.

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Una guerra del petrolio al contrario:Alberto Negri per "Il Sole 24 Ore"

Alberto Negri per "Il Sole 24 Ore"

Una guerra del petrolio al contrario: più il conflitto in Medio Oriente si fa distruttivo e complicato e più il prezzo del petrolio scende.

Un tempo bastava l’accenno di un conflitto per alzare le quotazioni e rimpinguare le casse dei Paesi produttori. Ma è un paradosso apparente. Oggi l’arma del petrolio si è rovesciata: l’Arabia Saudita ha fatto saltare l’Opec e le quote del tetto produttivo per mettere al tappeto l’Iran, la Russia e fronteggiare l’ascesa dello shale oil americano.

pozzi arabia sauditaPOZZI ARABIA SAUDITA
I sauditi hanno sbriciolato il Cartello dell’oro nero come l’Isis ha simbolicamente abbattuto con un bulldozer un altro cartello, di cartapesta, con la scritta Sykes-Picot ai confini tra Iraq e Siria, per significare l’affondamento dei confini coloniali.

Riad, forte di 700 miliardi di dollari in riserve ma pronta anche a emettere bond per finanziare le sue guerre, è disposta a giocarsi il tutto per tutto. Soltanto nella prima metà del 2015 ha perso 150 miliardi per il calo dei prezzi. La monarchia saudita, guida del fronte sunnita, è in difficoltà come non mai e ha trovato il suo Vietnam arabico in Yemen. Le cose vanno così male che si ritirano investimenti dai fondi sovrani, il sacro Graal della liquidità mondiale.
re salman abdullazizRE SALMAN ABDULLAZIZ

Gli americani pur di tenere in piedi la casa reale, divorata da lotte interne e generazionali tra i principi del sangue, hanno persino bombardato le truppe di Assad in Siria: un segnale di solidarietà a quel fronte sunnita che ha sbagliato clamorosamente i calcoli di un’altra guerra dopo quella condotta, sempre per procura, da Saddam Hussein contro l’Iran di Khomeini. Ma allora il petrolio era schizzato e gli sceicchi versarono 50 miliardi di dollari sonanti nella tasche del raìs iracheno per abbattere la repubblica islamica.
la produzione di petrolio americanoLA PRODUZIONE DI PETROLIO AMERICANO

La guerra sullo Shatt el Arab non modificò il confine di un centimetro ma ora le cose stanno diversamente: i sunniti si trovano la Russia nel Levante che tiene sotto tiro con i missili l’improvvido Tayyp Erdogan, una sorta di piazzista della jihad che buttando a mare Assad voleva mettersi in proprio come Sultano del Levante tra Aleppo, Mosul, intascando anche qualche pozzo di greggio. I prezzi bassi dell’energia aiutano anche lui, in difficoltà con il boom economico che si affloscia e ai ferri corti con Putin, il suo maggiore fornitore di gas.

Presidente Hassan RouhaniPRESIDENTE HASSAN ROUHANI
Cambiano i tempi, cambia pure la tattica. Ora si fa destabilizzazione al contrario. Pur di sgretolare l’asse sciita Teheran-Baghdad-Damasco-Hezbollah le monarchie del petrolio sono disposte a bruciare le loro ricchezze, una mossa azzardata perché è proprio con la loro potenza finanziaria che hanno pagato i gruppi radicali islamici per tenerli lontani da casa propria.

ASSAD PUTINASSAD PUTIN
Ma non riescono a digerire l’accordo sul nucleare con l’Iran e la prossima fine delle sanzioni che porterà sul mercato altri 500mila barili di petrolio al giorno, con i tank persiani che galleggiano già come cetacei nelle acque del Golfo. Non solo: i nuovi contratti petroliferi iraniani presentati dal ministro Bijan Zanganeh, più appetibili per la major di quanto non si pensasse, sono un altro motivo di acuta irritazione. Per punire il ritorno di Teheran sui mercati i sauditi hanno sgretolato il Cartello.

Per questo la guerra del petrolio alla rovescia non annuncia rosei orizzonti. Per quanto vituperata dai consumatori, con l’Opec svanisce un’altra forma di organizzazione dei mercati: il caos del greggio a basso costo si può pagare molto caro in certi Paesi. Se a questo aggiungiamo altri fattori di incertezza, valutari e finanziari, ci rendiamo conto che sta venendo meno un sistema di regolamentazione con mezzo secolo di storia.

michelle e barack obama con re salman dell arabia sauditaMICHELLE E BARACK OBAMA CON RE SALMAN DELL ARABIA SAUDITA
E non è secondario che le quotazioni in discesa ridurranno ancora utili e investimenti: forse qualche major sparirà. I sauditi e i loro fiancheggiatori arabi, gli esempi peggiori di un Islam conservatore e retrogrado, ballano sul ponte di una petroliera inclinata come il Titanic. Se non fosse per le basi Usa nel Golfo e il patto leonino che lega Riad a Washington ci sarebbe da temere davvero.

Ma è noto che gli Stati Uniti sono pronti a correre in soccorso dei prìncipi arabi più di quanto non siano disposti a fare per i traballanti leader europei: in cinque anni i sauditi hanno acquistato sistemi d’arma da Washington per 100 miliardi di dollari. Del resto gli americani ci possono chiedere: «Non volevate il petrolio a buon mercato? Eccovi serviti».

putin selfie obamaPUTIN SELFIE OBAMA
E quanto alla guerra nel Levante, alle sue centinaia di migliaia di morti, ai milioni di profughi e al terrorismo, il punto di svolta potrebbe essere economico. Se gli Usa e l’Europa firmeranno il Trattato transatlantico su commercio e investimenti (Ttip), gli americani torneranno ad avere un forte interesse per il mercato europeo e forse decideranno di sistemare i conflitti intorno all’Unione e con la Russia. Così quando la polvere si depositerà sui campi di battaglia si conteranno gli utili in bilancio, non i morti

Sibillini 2015


lunedì 4 gennaio 2016

L’umorismo in Kafka - David Foster Wallace

Una delle maggiori difficoltà che incontro a leggere Kafka ai miei studenti è che sembra quasi impossibile convincerli che Kafka è divertente – ma neppure fargli apprezzare il modo in cui il divertimento è intimamente legato al potere straordinario che esercitano le sue storie. Perché, ovviamente, i grandi racconti e le migliori barzellette hanno parecchio in comune. Entrambe queste forme linguistiche sono in dipendenza da ciò che i teorici della comunicazione hanno occasionalmente battezzato “exformazione”: cioè una determinata quantità di informazione vitale rimossa-da-ma-evocata-da una comunicazione, in modo tale che si crei una sorta di esplosione di connessioni associative all’interno del recipiente linguistico. E’ questo probabilmente il motivo per cui sia i racconti sia le storielle divertenti spesso ottengono l’effetto di sembrare improvvise veloci e percussive come il pompaggio di una valvola meccanica.
Non per nulla Kafka stesso parlò della letteratura come “una scure con cui squarciamo gli oceani congelati nel nostro intimo”. E non è nemmeno un caso che, da un punto di vista tecnico, il successo delle massime narrazioni brevi sia spesso stato individuato in ciò che si definisce “compressione” – poiché la pressione e gli effetti di questa stanno già nell’interiorità del lettore. Quel che Kafka sembra più bravo di compiere rispetto a chiunque altro è orchestrare l’incremento di pressione in un modo che appare intollerabile nel preciso momento in cui si realizza.
La psicologia della barzelletta offre una mano a risolvere il problema della lettura di Kafka. Sappiamo tutti che non c’è un modo più veloce per svuotare una barzelletta della sua peculiare magia che quello di tentarne una spiegazione. Conosciamo tutti il gusto dell’antipatia che simili spiegazioni sollevano in noi, una sensazione più di offesa che di noia, come se una bestemmia fosse stata pronunciata nei confronti della storiella. Il che assomiglia moltissimo alla sensazione che un docente prova quando propone un’analisi tecnica in un corso di letteratura – il plot da tracciare, i simboli da decodificare, eccetera. Naturalmente Kafka sarebbe in una posizione unica per apprezzare l’ironia che esprime l’operazione di sottomettere i suoi racconti al regime di una macchina critica di simile efficienza – l’equivalente letterario di strappare i petali di un fiore e analizzarli con uno spettrometro per arrivare a una spiegazione del perché una rosa emani un profumo tanto gradevole. Franz Kafka, dopotutto, è lo scrittore il cui racconto Poseidone immagina un dio marino talmente oppresso dal lavoro burocratico che non riesce mai a navigare o nuotare, e il cui Nella colonia penale arriva a concepire la descrizione come punizione e la tortura come edificazione e la critica ultimativa come punta dell’erpice, il cui colpo di grazia attraversa la fronte.
Ciò che intendo dire non è tanto che Kafka è troppo sottile per gli studenti americani. Di fatto, l’unica strategia di compromesso con cui sono riuscito a esplorare il “divertente” in Kafka coi miei studenti è stato suggerire che gran parte del suo humour non fosse per nulla sottile, o meglio: anti-sottile. Il concetto è che lo humour di Kafka dipende da una sorta di letteralizzazione radicale di verità che noi tendiamo a interpretare come se si trattasse di metafore. Ai miei studenti ribatto che alcune delle più profonde intuizioni collettive sembrano esprimibili soltanto in quanto figure del discorso, ed è il motivo per cui definiamo “espressioni” queste figure del discorso. Con tutto il rispetto per La Metamorfosi, invito gli studenti a considerare che cosa venga realmente espresso nel momento in cui ci riferiamo a qualcuno con espressioni come “fa accapponare la pelle” oppure “è rozzissimo”, o dicendo che qualcuno, lavorando, viene costretto a mangiare “la sua stessa merda”. Oppure a rileggere Nella colonia penale alla luce di espressioni come “mi ha squarciato un nuovo buco del culo” o lo gnomico “A una certa età, ognuno si ritrova la faccia che si merita”. Oppure approcciare Un artista alla fame in termini di tropi come “affamato d’attenzione” o “affamato d’amore” o la doppia significazione nel termine “autonegazione”.
Ciò di cui sono intrisi, insomma, i racconti di Kafka è una complessità onnivora e grottesca e totalmente moderna. Lo humour kafkiano – non solamente nevrotico, ma anche antinevrotico e quasi eroicamente sano – è, alla fin fine, uno humour religioso, ma religioso alla maniera di Kierkegaard e di Rilke e dei Salmi, una spiritualità affilata e assaltante contro cui perfino la grazia insanguinata di Flannery O’Connor sembra spuntata, un gioco di anime che si sa benissimo come finirà.

Preso da:
http://stanlec.blogspot.it/2014/09/lumorismo-in-kafka-david-foster-wallace.html

Sibillini in Inverno

Che quelle rocce innalzantisi in forma di mirabile architettura, quei canaloni ghiacciati salenti incontro al cielo, quel cielo ora azzurro profondo dove l’anima sembra dissolversi e fondersi con l’infinito, ora solcato da nuvole tempestose che pesano sullo spirito come una cappa di piombo, sempre lo stesso ma mutevolmente vario, suscitano in noi delle sensazioni che non si dimenticano più.
(Walter Bonatti)

Sibillini-Cima Monte Priora




Sardegna Nord Ovest-Alghero e Dintorni

Itinerario consigliato:
Alghero-Porto Torres (altare Neolitico,area archeologica, ponte romano)-Stintino-Capo Falcone-Capo Caccia (Grotte di Nettuno)-Villanova Monte Leone (Pottu Condino Necropoli, Castello Doria)-Bosa (Castello Malaspina, Nuraghe Appiu), Sassari (Museo Nazionale G.Sanna, Museo Birgata Sassari,Cattedrale)-Cantine Mosca e Sella











Told by an idiot, full of sound and fury Signifying nothing.-MACBETH


She should have died hereafter;
There would have been a time for such a word.
— To-morrow, and to-morrow, and to-morrow,
Creeps in this petty pace from day to day,
To the last syllable of recorded time;
And all our yesterdays have lighted fools
The way to dusty death. Out, out, brief candle!
Life's but a walking shadow, a poor player
That struts and frets his hour upon the stage
And then is heard no more. It is a tale
Told by an idiot, full of sound and fury
Signifying nothing.
— Macbeth (Act 5, Scene 5, lines 17-28)