mercoledì 25 febbraio 2015

la nostra ruota è il mondo

..Noi se deride tanto i criceti che corrono sulla ruota, ma poi anche noi non è che sia tanto diverso; sali sulla giostra e giri, giri, giri. Ogni volta sempre più veloce, lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, sabato, domenica...eppoi di nuovo, lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, sabato, domenica, ogni giro sempre più veloce..ma alla fine di tutto questo girare....il nulla....
PS: certo almeno la nostra ruota è il mondo....

domenica 8 febbraio 2015

Il futuro


domenica 1 febbraio 2015

Le vent nous portera..

Puoi vedere il vento giocare con la neve, solo durante una bufera; la bellezza è sempre al di là del facile e del comodo, è il premio per non essersi tirati indietro difronte alle difficoltà.

E intanto, proprio quella notte- oh, se l'avesse saputo, forse non avrebbe avuto voglia di dormire........Da "Il deserto dei Tartari" di Dino Buzzati, 1939

Giovanni udì arrivare il richiamo quattro volte e quattro volte ridiscendere il ciglione del forte fino al punto donde era partito. Alla quinta, giunse nella coscienza di Drogo solo una vaga risonanza che gli provocò un breve sussulto. Gli venne in mente che non era bello, per l'ufficiale di guardia, dormire; il regolamento lo permetteva a condizione che non ci si spogliasse, ma quasi tutti gli ufficiali giovani della Fortezza, per una forma di elegante alterigia, restavano svegli tutta la notte, leggendo, fumando sigari, facendosi anche abusivamente visita l'un l'altro e giocando a carte. Tronk, a cui prima Giovanni aveva chiesto informazioni, gli aveva fatto capire che era buona norma stare sveglio.
Disteso sul lettuccio, fuori dell'alone del lume a petrolio, mentre fantasticava sulla propria vita, Giovanni Drogo invece fu preso improvvisamente dal sonno. E intanto, proprio quella notte- oh, se l'avesse saputo, forse non avrebbe avuto voglia di dormire -proprio quella notte cominciava per lui l'irreparabile fuga del tempo.
Fino allora egli era avanzato per la spensierata età della prima giovinezza, una strada che da bambini sembra infinita, dove gli anni scorrono lenti e con passo lieve, così che nessuno nota la loro partenza. Si cammina placidamente, guardandosi con curiosità attorno, non c'è proprio bisogno di affrettarsi, nessuno preme di dietro e nessuno ci aspetta, anche i compagni procedono senza pensieri, fermandosi spesso a scherzare. Dalle case, sulle porte, la gente grande saluta benigna, e fa cenno indicando l'orizzonte con sorrisi di intesa; così il cuore comincia a battere per eroici e teneri desideri, si assapora la vigilia delle cose meravigliose che si attendono più avanti; ancora non si vedono, no, ma è certo, assolutamente certo che un giorno ci arriveremo.
Ancora molto? No, basta attraversare quel fiume laggiù in fondo, oltrepassare quelle verdi colline. O non si è per caso già arrivati? Non sono forse questi alberi, questi prati, questa bianca casa quello che cercavamo? Per qualche istante si ha l'impressione di sì e ci si vorrebbe fermare. Poi si sente dire che il meglio è più avanti e si riprende senza affanno la strada.
Così si continua il cammino in una attesa fiduciosa e le giornate sono lunghe e tranquille, il sole risplende alto nel cielo e sembra non abbia mai voglia di calare al tramonto.
Ma a un certo punto, quasi istintivamente, ci si volta indietro e si vede che un cancello è stato sprangato alle spalle nostre, chiudendo la via del ritorno. Allora si sente che qualche cosa è cambiato, il sole non sembra più immobile ma si sposta rapidamente, ahimè, non si fa tempo a fissarlo che già precipita verso il confine dell'orizzonte, ci si accorge che le nubi non ristagnano più nei golfi azzurri del cielo ma fuggono accavallandosi l'una sull' altra, tanto è il loro affanno; si capisce che il tempo passa e che la strada un giorno dovrà pur finire.
Chiudono a un certo punto alle nostre spalle un pesante cancello, lo rinserrano con velocità fulminea e non si fa tempo a tornare.
Ma Giovanni Drogo in quel momento dormiva ignaro e sorrideva nel sonno come fanno i bambini.
Passeranno dei giorni prima che Drogo capisca ciò che è successo. Sarà allora come un risveglio. Si guarderà attorno incredulo; poi sentirà un trepestio di passi sopraggiungenti alle spalle, vedrà la gente, risvegliatasi prima di lui, che corre affannosa e lo sorpassa per arrivare in anticipo. Sentirà il battito del tempo scandire avidamente la vita. Non più alle finestre si affacceranno ridenti figure, ma volti immobili e indifferenti. E se lui domanderà quanta strada rimane, loro faranno si ancora cenno all'orizzonte, ma senza alcuna bontà e letizia. Intanto i compagni si perderanno di vista, qualcuno rimane indietro sfinito, un altro è fuggito innanzi, oramai non è più che un minuscolo punto all'orizzonte. Dietro quel fiume -dirà la gente -ancora dieci chilometri e sarai arrivato. Invece non è mai finita, le giornate si fanno sempre più brevi, i compagni di viaggio più radi, alle finestre stanno apatiche figure pallide che scuotono il capo.
Fino a che Drogo rimarrà completamente solo e all'orizzonte ecco la striscia di uno smisurato mare immobile, colore di piombo. Oramai sarà stanco, le case lungo la via avranno quasi tutte le finestre chiuse e le rare persone visibili gli risponderanno con un gesto sconsolato: il buono era indietro, molto indietro e lui ci è passato davanti senza sapere. Oh, è troppo tardi ormai per ritornare, dietro a lui si amplia il rombo della moltitudine che lo segue, sospinta dalla stessa illusione, ma ancora invisibile sulla bianca strada deserta.
Giovanni Drogo adesso dorme nell'interno della terza ridotta. Egli sogna e sorride. Per le ultime volte vengono a lui nella notte le dolci immagini di un mondo completamente felice.
Guai se potesse vedere se stesso, come sarà un giorno, là dove la strada finisce, fermo sulla riva del mare di piombo, sotto un cielo grigio e uniforme e intorno nè una casa né un uomo né un albero, neanche un filo d'erba, tutto così da immemorabile tempo.
Da "Il deserto dei Tartari" di Dino Buzzati, 1939

"Sono arrivato l'altro ieri dopo un ottimo viaggio. La Fortezza è grandiosa..." Il Deserto Dei Tartari di Dino Buzzati

Già era scesa la piena notte. Drogo era seduto nella nuda camera della ridotta e si era fatto portare carta, inchiostro e penna per scrivere.
"Cara mamma" cominciò a scrivere e immediatamente si sentì come quando era bambino. Solo, al lume di una lanterna, mentre nessuno lo vedeva, nel cuore della Fortezza a lui ignota, lontano dalla casa, da tutte le cose familiari e buone, gli pareva una consolazione poter almeno aprire completamente il suo cuore.
Certo, con gli altri, con i colleghi ufficiali, doveva farsi vedere uomo, doveva ridere con loro e raccontare storie spavalde di militari e di donne. A chi altri se non alla mamma poteva dire la verità? E la verità di Drogo quella sera non era una verità da bravo soldato, non era probabilmente degna dell'austera Fortezza, i compagni ne avrebbero riso. La verità era la stanchezza del viaggio, l'oppressione delle tetre mura, il sentirsi completamente solo.
"Sono arrivato sfinito dopo due giorni di strada" questo le avrebbe scritto "e, arrivato, ho saputo che se volevo potevo tornare in città. La Fortezza è malinconica, non ci sono paesi vicini, non c'è nessun divertimento e nessuna allegria." Questo le avrebbe scritto.
Ma Drogo si ricordò della mamma, a quell'ora ella pensava proprio a lui e si consolava all'idea che il figlio se la passasse piacevolmente con simpatici amici, magari, chissà, in gentile compagnia. Lei certo lo credeva soddisfatto e sereno.
"Cara mamma" la sua mano scrisse. "Sono arrivato l'altro ieri dopo un ottimo viaggio. La Fortezza è grandiosa..." Oh, farle capire lo squallore di quelle mura, quell'aria vaga di punizione ed esilio, quegli uomini stranieri ed assurdi. Invece: "Gli ufficiali qui mi hanno accolto affettuosamente" scriveva. "Anche l'aiutante maggiore in prima è stato molto gentile e mi ha lasciato completamente libero di tornare in città se volevo. Eppure io..."

Forse in quel momento la mamma girava nella sua stanza abbandonata, apriva un cassetto, metteva in ordine certi suoi vecchi vestiti, i libri, lo scrittoio; li aveva già riordinati tante volte, ma le pareva così di ritrovare un po' la viva presenza di lui, come se egli dovesse rincasare, al solito, prima di pranzo. Gli pareva di udirlo, il noto rumore dei suoi piccoli passi irrequieti che si sarebbero detti sempre in ansia per qualcuno. Come avrebbe avuto il cuore di amareggiarla? Se le fosse stato vicino, nella stessa stanza, raccolti sotto il familiare lume, allora sì Giovanni le avrebbe detto tutto e lei non avrebbe fatto in tempo a contristarsi, perché lui le era accanto e il brutto era ormai passato. Ma così da lontano, per lettera? Seduto accanto a lei, dinanzi al camino, nella rassicurante tranquillità dell'antica casa, allora sì le avrebbe parlato del maggiore Matti e delle sue insidiose blandizie, delle manie di Tronk! le avrebbe detto come stupidamente avesse accettato di rimanere quattro mesi, e probabilmente entrambi ci avrebbero riso sopra. Ma come fare, così da lontano?
"Eppure io" Drogo scriveva "ho creduto bene per me e per la carriera restare qualche tempo quassù... La compagnia poi è molto simpatica, il servizio facile e non faticoso." E la sua stanza, il rumore della cisterna, l'incontro col capitano Ortiz e la desolata terra del nord? Non aveva da spiegarle i ferrei regolamenti della guardia, la nuda ridotta in cui si trovava? No, neppure con la mamma poteva essere sincero, nemmeno a lei confessare gli oscuri timori che non gli lasciavano pace.
Nella sua casa, in città, gli orologi, uno dopo l' altro, con voci diverse, adesso suonavano le dieci, ai rintocchi tintinnavano lievemente i bicchieri nelle credenze, dalla cucina giungeva una eco di risata, dall' altra parte della via un canto di pianoforte. Attraverso una strettissima finestretta, quasi una feritoia, dal posto dove sedeva, Drogo poteva gettare uno sguardo verso la valle del nord, quella terra triste; ma adesso non si vedeva che buio. La penna scricchiolava un poco. Benché trionfasse la notte, il vento cominciava a soffiare fra le merlature portando ignoti messaggi, benché dentro alla ridotta si ammucchiassero dense le tenebre e l'aria fosse umida e ingrata, "in complesso io sono molto contento e sto bene" scriveva Giovanni Drogo.