lunedì 22 luglio 2013

I CAMERIERI NASCOSTI CHE SALVANO IL MONDO di Pietro Citati

Con una profondissima e dolorosa nostalgia, sognavano la Grande Madre, la terra: immaginavano che laggiù abitasse ogni perfezione, in primo luogo la felicità sconosciuta. Avrebbero voluto tornarvi. Così un giorno , un gruppo di esploratori salì su un astronave. Il viaggio fu lungo e difficile: finché scorsero  dall’alto le coste della Gran Bretagna,le grandi città americane , le rovine di Roma, la lunghissima linea ininterrotta della grande muraglia.
  L’astronave atterrò vicino a una città europea, e gli esploratori raggiunsero una grande piazza , dove si raccoglievano i terrestri. Gli esploratori non cedettero ai propri occhi . Gli antenati non erano maestosi e venerabili , come li avevano immaginati. Tutti sembravano ebbri: ridevano scioccamente, facevano discorsi sconnessi. Avevano sul volto un’espressione di vanità e di arroganza: parevano nutrire una smisurata considerazione di sé stessi; ognuno di loro pensava di essere un grande. Intanto nella città, tutto era disordine, confusione, caos. Due automobili stavano per scontrarsi, un autobus rischiava di precipitare in un fiume; e un treno di uscire dalle rotaie cadendo nel mare.
 Non accadde nulla. Un attimo prima di scontrarsi o di precipitare, le automobili si arrestarono, gli autobus ritrovarono la strada , i treni tornarono a correre sulle rotaie. Gli esploratori non riuscivano a comprendere. Finchè uno di loro scese una scala strettissima , varcò una piccola porta e si trovò in una catina male illuminata, dove era riunito un gruppo di camerieri. Avevano i visi segnati dalla fatica , vestiti lisi, scrape sdrucite. L’esploratore li vide schiacciare bottoni, azionare meccanismi, muovere leve. Così all’improvviso , tutto tornava nell’ordine: i disastri venivano evitati, le automobili gli autobus  e i treni riprendevano il cammino prestabilito.
 Credo che l’ignoto narratore del romanzo di fantascienza avesse perfettamente immaginato, quaranta anni fa, la condizione nella quale vivono, oggi gli abitanti dei paesi occidentali.
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   Duecentocinquanta anni or sono, i rappresentanti dei tempi moderni accusarono il passato; tutta la storia era stata dominata, secondo loro, dell’imprecisione e dall’inesattezza; favole fantastiche chiamate religione, metafisica, filosofia, letteratura. I rappresentati dei tempi moderni proclamarono l’inizio di una nuova civiltà, fondata sulla scienza, la tecnica, la specializzazione, il progresso. Il tecnico moderno non aveva né pregiudizi né preconcetti: non permetteva che nessuna vaga idea generale influisse sul suo lavoro. Credeva soltanto come dice Musil, nella “agile, coraggiosa logica matematica, fredda e tagliente come un coltello”.Conosceva un oggetto solo: ma scendeva così profondamente nel particolare , da scoprirvi le grandi leggi dell’universo. Così, nel corso di poche generazioni, ogni materia venne affidata a una scienza o ad una tecnica specializzata.
  Mi domando se, dopo duecentocinquant’anni, la cosiddetta civiltà della tecnica non stia per esaurirsi. Molti specialisti hanno perduto “l’agile, coraggiosa logica matematica, fredda e tagliente come un coltello”. Accettano sempre più volentieri gli idola generici del nostro tempo , diffusi dalla televisione, molto più fantastici della mitologia greca o ittita. Le macchine si vendicano: gli specialisti hanno attribuito alle macchine tutta la precisione e l’esattezza della propria mente; e adesso la loro mente non possiede più né precisione né esattezza. Quasi sempre lavorano pensando ad altro : non comprendono la propria materia; pasticciano, arruffano, in fretta, alla svelta, confusamente, con disamore e quasi disprezzo per il loro mestiere , al quale si sentono superiori. Come i terrestri ritrovati dagli esploratori, immaginano di essere grandi , grandissimi anzi genialissimi.
  Ecco l’idraulico incapace di aggiustare le condutture del bagno: l’elettricista smarrito davanti alle complicazioni di un frigorifero: il pensatore che dimentica i nessi del suo ragionamento: il politico che ignora la realtà: l’economista che gioca con i grandi numeri con la leggerezza di un giocatore di bowling: il dentista che conosce solo i canini: il medico che sa tutto dell’alluce e nulla sul corpo che dovrebbe curare; lo studioso dell’antichità che ignora il greco e il latino.
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Per fortuna esistono ancora i camerieri del romanzo di fantascienza, verso i quali provo un’infinita gratitudine e simpatia. Non sono moltissimi. Uno è un fisico teorico: un altro linguista- e poi ci sono scrittori, storici, politici, astronomi, economisti, etnologi ,teologi….Nessuno di loro si ubriaca col proprio ego: o parla a vanvera, o si vanta, o si esibisce, o pensa di essere grande. Sanno che ciò che importa non è mai l’io, ma la perfezione del lavoro compiuto. Hanno perduto ogni venerazione ottocentesca verso la scienza e il progresso: ma oggi la loro mente è forse più vasta, e sa seguire gli innumerevoli fili dell’analogia. Stanno lì, sottoterra, chiusi nelle cantine, con visi stanchi e gli abiti lisi. Spero che non scompariranno mai. E continueranno a manovrare leve e bottoni, per impedire le catastrofi che gli arruffoni continuano in ogni istante a combinare davanti a noi.

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