venerdì 31 luglio 2015

NIENTE di Luigi Pirandello

La botticella che corre fragorosa nella notte per la vasta piazza deserta, si ferma davanti al freddo chiarore d'una vetrata opaca di farmacia all'angolo di via San Lorenzo. Un signore impellicciato si lancia sulla maniglia di quella vetrata per aprirla. Piega di qua, piega di là - che diavolo? - non s'apre.
- Provi a sonare, - suggerisce il vetturino.
- Dove, come si suona?
- Guardi, c'è lí il pallino. Tiri.
Quel signore tira con furia rabbiosa.
- Bell'assistenza notturna!
E le parole, sotto il lume della lanterna rossa, vaporano nel gelo della notte, quasi andandosene in fumo.
Si leva lamentoso dalla prossima stazione il fischio d'un treno in partenza. Il vetturino cava l'orologio; si china verso uno dei fanaletti; dice:
- Eh, vicino le tre...
Alla fine il giovine di farmacia, tutto irto di sonno, col bavero della giacca tirato fin sopra gli orecchi, viene ad aprire.
E subito il signore:
- C'è un medico?
Ma quegli, avvertendo sulla faccia e sulle mani il gelo di fuori, dà indietro, alza le braccia, stringe le pugna e comincia a stropicciarsi gli occhi, sbadigliando:
- A quest'ora?
Poi, per interrompere le proteste dell'avventore, il quale - ma sí, Dio mio, sí - tutta quella furia, sí, con ragione: chi dice di no? - ma dovrebbe pure compatire chi a quell'ora ha anche ragione d'aver sonno - ecco, ecco, si toglie le mani dagli occhi e prima di tutto gli fa cenno d'aspettare; poi, di seguirlo dietro il banco, nel laboratorio della farmacia.
Il vetturino intanto, rimasto fuori, smonta da cassetta e vuole prendersi la soddisfazione di sbottonarsi i calzoni per far lí apertamente, al cospetto della vasta piazza deserta tutta intersecata dai lucidi binarii delle tramvie, quel che di giorno non è lecito senza i debiti ripari.
Perché è pure un piacere, mentre qualcuno si dibatte in preda a qualche briga per cui deve chiedere agli altri soccorso e assistenza, attendere tranquillamente, cosí, alla soddisfazione d'un piccolo bisogno naturale, e veder che tutto rimane al suo posto: là, quei lecci neri in fila che costeggiano la piazza, gli alti tubi di ghisa che sorreggono la trama dei fili tramviarii, tutte quelle lune vane in cima ai lampioni, e qua gli uffici della dogana accanto alla stazione.

Il laboratorio della farmacia, dal tetto basso, tutto scaffalato, è quasi al bujo e appestato dal tanfo dei medicinali. Un sudicio lumino a olio, acceso davanti a un'immagine sacra sulla cornice dello scaffale dirimpetto all'entrata, pare non abbia voglia di far lume neanche a se stesso. La tavola in mezzo, ingombra di bocce, vasetti, bilance, mortaj e imbuti, impedisce di vedere in prima se sul logoro divanuccio di cuojo, là sotto a quello scaffale dirimpetto all'entrata, sia rimasto a dormire il medico di guardia.
- Eccolo, c'è - dice il giovine di farmacia, indicando un pezzo d'omone che dorme penosamente, tutto aggruppato e raffagottato, con la faccia schiacciata contro la spalliera.
- E lo chiami, perdio!
- Eh, una parola! Capace di tirarmi un calcio, sa?
- Ma è medico?
- Medico, medico. Il dottor Mangoni.
- E tira calci?
- Capirà, svegliarlo a quest'ora...
- Lo chiamo io!
E il signore, risolutamente, si china sul divanuccio e scuote il dormente.
- Dottore! dottore!
Il dottor Mangoni muggisce dentro la barbaccia arruffata che gl'invade quasi fin sotto gli occhi le guance; poi stringe le pugna sul petto e alza i gomiti per stirarsi; infine si pone a sedere, curvo, con gli occhi ancora chiusi sotto le sopracciglia spioventi. Uno dei calzoni gli è rimasto tirato sul grosso polpaccio della gamba e scopre le mutande di tela legate all'antica con una cordellina sulla rozza calza nera di cotone.
- Ecco, dottore... Subito, la prego, - dice impaziente il signore. - Un caso d'asfissia...
- Col carbone? - domanda il dottore, volgendosi ma senza aprir gli occhi. Alza una mano a un gesto melodrammatico e, provandosi a tirar fuori la voce dalla gola ancora addormentata, accenna l'aria della "Gioconda": Suicidio? In questi fieeeriii momenti...
Quel signore fa un atto di stupore e d'indignazione. Ma il dottor Mangoni, subito, arrovescia indietro il capo e incignando ad aprire un occhio solo:
- Scusi, - dice, - è un suo parente?
- Nossignore! Ma la prego, faccia presto! Le spiegherò strada facendo. Ho qui la vettura. Se ha da prendere qualche cosa...
- Sí, dammi... dammi... - comincia a dire il dottor Mangoni, tentando d'alzarsi, rivolto al giovine di farmacia.
- Penso io, penso io, signor dottore, - risponde quello, girando la chiavetta della luce elettrica e dandosi attorno tutt'a un tratto con una allegra fretta che impressiona l'avventore notturno.
Il dottor Mangoni storce il capo come un bue che si disponga a cozzare, per difendersi gli occhi dalla súbita luce.
- Sí, bravo figliuolo, - dice. - Ma mi hai accecato. Oh, e il mio elmo? dov'è?
L'elmo è il cappello. Lo ha, sí. Per averlo, lo ha: positivo. Ricorda d'averlo posato, prima d'addormentarsi, su lo sgabello accanto al divanuccio. Dov'è andato a finire?
Si mette a cercarlo. Ci si mette anche l'avventore; poi anche il vetturino, entrato a riconfortarsi al caldo della farmacia. E intanto il commesso farmacista ha tutto il tempo di preparare un bel paccone di rimedii urgenti.
- La siringa per le iniezioni, dottore, ce l'ha?
- Io? - si volta a rispondergli il dottor Mangoni con una maraviglia che provoca in quello uno scoppio di risa.
- Bene bene. Dunque, si dice, carte senapate. Otto, basteranno? Caffeina, stricnina. Una Pravaz. E l'ossigeno, dottore? Ci vorrà pure un sacco d'ossigeno, mi figuro.
- Il cappello ci vuole! il cappello! il cappello prima di tutto! - grida tra gli sbuffi il dottor Mangoni. E spiega che, tra l'altro, c'è affezionato lui a quel cappello, perché è un cappello storico: comperato circa undici anni addietro in occasione dei solenni funerali di Suor Maria dell'Udienza, Superiora del ricovero notturno al vicolo del Falco, in Trastevere, dove si reca spesso a mangiare ottime ciotole di minestra economica, e a dormire, quando non è di guardia nelle farmacie.
Finalmente il cappello è trovato, non lí nel laboratorio ma di là, sotto il banco della farmacia. Ci ha giocato il gattino.
L'avventore freme d'impazienza. Ma un'altra lunga discussione ha luogo, perché il dottor Mangoni, con la tuba tutta ammaccata tra le mani, vuole dimostrare che il gattino, sí, senza dubbio, ci ha giocato, ma che anche lui, il giovine di farmacia, le ha dovuto dare col piede, per giunta, una buona acciaccata sotto il banco. Basta. Un gran pugno allungato dentro la tuba, che per miracolo non la sfonda, e il dottor Mangoni se la butta in capo su le ventitré.
- Ai suoi ordini, pregiatissimo signore!

- Un povero giovine, - prende a dir subito il signore rimontando su la botticella e stendendo la coperta su le gambe del dottore e su le proprie.
- Ah, bravo! Grazie.
- Un povero giovine che m'era stato tanto raccomandato da un mio fratello, perché gli trovassi un collocamento. Eh già, capisce? come se fosse la cosa piú facile del mondo; t-o-to, fatto. La solita storia. Pare che stiano all'altro mondo, quelli della provincia: credono che basti venire a Roma per trovare un impiego: t-o-to, fatto. Anche mio fratello, sissignore! m'ha fatto questo bel regalo. Uno dei soliti spostati, sa: figlio d'un fattore di campagna, morto da due anni al servizio di questo mio fratello. Se ne viene a Roma, a far che? niente, il giornalista, dice. Mi presenta i titoli: la licenza liceale e uno zibaldone di versi. Dice: "Lei mi deve trovar posto in qualche giornale". Io? Roba da matti! Mi metto subito in giro per fargli ottenere il rimpatrio dalla questura. E intanto, potevo lasciarlo in mezzo alla strada, di notte? Quasi nudo, era; morto di freddo, con un abituccio di tela che gli sventolava addosso; e due o tre lire in tasca: non piú di tanto. Gli do alloggio in una mia casetta, qua, a San Lorenzo, affittata a certa gente... lasciamo andare! Gentuccia che subaffitta due camerette mobiliate. Non mi pagano la pigione da quattro mesi. Me n'approfitto; lo ficco lí a dormire. E va bene! Passano cinque giorni; non c'è verso d'ottenere il foglio di rimpatrio dalla questura. La meticolosità di questi impiegati: come gli uccelli, sa? cacano da per tutto, scusi! Per rilasciare quel foglio debbono far prima non so che pratiche là, al paese; poi qua alla questura. Basta: questa sera ero a teatro, al Nazionale. Viene, tutto spaventato, il figlio della mia inquilina a chiamarmi a mezzanotte e un quarto, perché quel disgraziato s'era chiuso in camera, dice, con un braciere acceso. Dalle sette di sera, capisce?
A questo punto il signore si china un poco a guardare nel fondo della vettura il dottore che, durante il racconto, non ha piú dato segno di vita. Temendo che si sia riaddormentato, ripete piú forte:
- Dalle sette di sera!
- Come trotta bene questo cavallino, - gli dice allora il dottore Mangoni, sdrajato voluttuosamente nella vettura.
Quel signore resta, come se al bujo abbia ricevuto un pugno sul naso.
- Ma scusi, dottore, ha sentito?
- Sissignore.
- Dalle sette di sera. Dalle sette a mezzanotte, cinque ore.
- Precise.
- Respira però, sa! Appena appena. È tutto rattrappito, e...
- Che bellezza! Saranno... sí, aspetti, tre... no, che dico tre? cinque anni saranno almeno, che non vado in carrozza. Come ci si va bene!
- Ma scusi, io le sto parlando...
- Sissignore. Ma abbia pazienza, che vuole che m'importi la storia di questo disgraziato?
- Per dirle che sono cinque ore...
- E va bene! Adesso vedremo. Crede lei che gli stia rendendo un bel servizio?
- Come?
- Ma sí, scusi! Un ferimento in rissa, una tegola sul capo, una disgrazia qualsiasi... prestare ajuto, chiamare il medico, lo capisco. Ma un pover'uomo, scusi, che zitto zitto si accuccia per morire?
- Come! - ripete, vieppiù trasecolato, quel signore.
E il dottor Mangoni, placidissimo:
- Abbia pazienza. Il piú l'aveva fatto, quel poverino. Invece del pane, s'era comperato il carbone. Mi figuro che avrà sprangato l'uscio, no? otturato tutti i buchi; si sarà magari alloppiato prima; erano passate cinque ore; e lei va a disturbarlo sul piú bello!
- Lei scherza! - grida il signore.
- No no; dico sul serio.
- Oh perdio! - scatta quello. - Ma sono stato disturbato io, mi sembra! Sono venuti a chiamarmi...
- Capisco, già, a teatro.
- Dovevo lasciarlo morire? E allora, altri impicci, è vero? come se fossero pochi quelli che m'ha dati. Queste cose non si fanno in casa d'altri, scusi!
- Ah, sí, sí; per questa parte, sí, ha ragione, - riconosce con un sospiro il dottor Mangoni. - Se ne poteva andare a morire fuori dai piedi, lei dice. Ha ragione. Ma il letto tenta, sa! Tenta, tenta. Morire per terra come un cane... Lo lasci dire a uno che non ne ha!
- Che cosa?
- Letto.
- Lei?
Il dottor Mangoni tarda a rispondere. Poi, lentamente, col tono di chi ripete una cosa già tant'altre volte detta:
- Dormo dove posso. Mangio quando posso. Vesto come posso.
E subito aggiunge:
- Ma non creda oh, che ne sia afflitto. Tutt'altro. Sono un grand'uomo, io, sa? Ma dimissionario.
Il signore s'incuriosisce di quel bel tipo di medico in cui gli è avvenuto cosí per caso d'imbattersi; e ride, domandando:
- Dimissionario? Come sarebbe a dire dimissionario?
- Che capii a tempo, caro signore, che non metteva conto di nulla. E che anzi, quanto piú ci s'affanna a divenir grandi, e piú si diventa piccoli. Per forza. Ha moglie lei, scusi?
- Io? Sissignore.
- Mi pare che abbia sospirato dicendo sissignore.
- Ma no, non ho sospirato affatto.
¾ E allora, basta. Se non ha sospirato, non ne parliamo piú.
E il dottor Mangoni torna a rannicchiarsi nel fondo della vettura, dando a vedere cosí che non gli pare piú il caso di seguitare la conversazione. Il signore ci resta male.
- Ma come c'entra mia moglie, scusi?
Il vetturino a questo punto, si volta da cassetta e domanda:
- Insomma, dov'è? A momenti siamo a Campoverano!
- Uh, già! - esclama il signore. - Volta! volta! La casa è passata da un pezzo.
- Peccato tornare indietro, - dice il dottor Mangoni, ¾ quando s'è quasi arrivati alla mèta.
Il vetturino volta, bestemmiando.

Una scaletta buja, che pare un antro dirupato: tetra umida fetida.
- Ahi! Maledizione. Diòòòdiodio!
- Che cos'è? s'è fatto male?
- Il piede. Ahiahi. Ma non ci avrebbe un fiammifero, scusi?
- Mannaggia! Cerco la scatola. Non la trovo!
Alla fine, un barlume che viene da una porta aperta sul pianerottolo della terza branca.
La sventura, quando entra in una casa, ha questo di particolare: che lascia la porta aperta, cosí che ogni estraneo possa introdursi a curiosare.
Il dottor Mangoni segue zoppicando il signore che attraversa una squallida saletta con un lumino bianco a petrolio per terra presso l'entrata; poi, senza chieder permesso a nessuno, un corridojo bujo, con tre usci: due chiusi, l'altro, in fondo, aperto e debolmente illuminato. Nello spasimo di quella storta al piede, trovandosi col sacco dell'ossigeno in mano, gli viene la tentazione di scaraventarlo alle spalle di quel signore; ma lo posa per terra, si ferma, si appoggia con una mano al muro, e con l'altra, tirato su il piede, se lo stringe forte alla noce, provandosi a muoverlo in qua e in là, col volto tutto strizzato.
Intanto, nella stanza in fondo al corridojo, è scoppiata, chi sa perché, una lite tra quel signore e gl'inquilini. Il dottor Mangoni lascia il piede e fa per muoversi, volendo sapere che cosa è accaduto, quando si vede venire addosso come una bufera quel signore che grida:
- Sí, sí, da stupidi! da stupidi! da stupidi!
Fa appena a tempo a scansàrlo; si volta, lo vede inciampare nel sacco d'ossigeno:
- Piano! piano, per carità!
Ma che piano! Quello allunga un calcio al sacco; se lo ritrova tra i piedi; è di nuovo per cadere e, bestemmiando, scappa via, mentre sulla soglia della stanza in fondo al corridojo appare un tozzo e goffo vecchio in pantofole e papalina, con una grossa sciarpa di lana verde al collo, da cui emerge un faccione tutto enfiato e paonazzo, illuminato dalla candela stearica, sorretta in una mano.
- Ma scusi... dico, o che era meglio allora, che lo lasciavamo morire qua, aspettando il medico?
Il dottor Mangoni crede che si rivolga a lui e gli risponde:
- Eccomi qua, sono io.
Ma quello alza e protende la mano con la stearica; lo osserva, e come imbalordito gli domanda:
- Lei? chi?
- Non diceva il medico?
- Ma che medico! ma che medico! - insorge, strillando, nella camera di là, una voce di donna.
E si precipita nel corridojo la moglie di quel degno vecchio in pantofole e papalina, tutta sussultante, con una nuvola di capelli grigi e ricci per aria, gli occhi affumicati ammaccati e piangenti, la bocca tagliata di traverso, oscenamente dipinta, che le freme convulsa. Sollevando il capo da un lato, per guardare, soggiunge imperiosa:
- Se ne può andare! se ne può andare! Non c'è piú bisogno di lei! L'abbiamo fatto trasportare al Policlinico, perché moriva!
E cozzando in un braccio il marito violentemente:
- Fallo andar via!
Ma il marito dà uno strillo e un balzo perché, cosí cozzato nel braccio, ha avuto sulle dita la sgocciolatura calda della candela.
- Eh, piano, santo Dio!
Il dottor Mangoni protesta, ma senza troppo sdegno, che non è un ladro, né un assassino da esser mandato via a quel modo; che se è venuto, è perché sono andati a chiamarlo in farmacia; che per ora ci ha guadagnato soltanto una storta al piede, per cui chiede che lo lascino sedere almeno per un momento.
- Ma si figuri, qua, venga, s'accomodi, s'accomodi, signor dottore, - s'affretta a dirgli il vecchio, conducendolo nella stanza in fondo al corridojo; mentre la moglie, sempre col capo sollevato da un lato per guardare come una gallina stizzita, lo spia impressionata da tutta quella feroce barba fin sotto gli occhi.
- Bada, oh, se per aver fatto il bene, - dice ora, ammansata, a mo' di scusa, - ci si deve anche prendere i rimproveri!
- Già, i rimproveri, - soggiunge il vecchio cacciando la candela accesa nel bocciuolo della bugia sul tavolino da notte accanto al lettino vuoto, disfatto, i cui guanciali serbano ancora l'impronta della testa del giovinetto suicida. Quietamente si toglie poi dalle dita le gocce rapprese, e seguita:
- Perché dice che nossignori, non si doveva portare all'ospedale, non si doveva.
- Tutto annerito era! - grida, scattando, la moglie. ¾ Ah, quel visino. Pareva succhiato. E che occhi! E quelle labbra, nere, che scoprivan qua, qua, i denti, appena appena. Senza piú fiato...
E si copre il volto con le mani.
- Si doveva lasciarlo morire senza ajuto? - ridomanda placido il vecchio. - Ma sa perché s'è arrabbiato? Perché sospetta, dice, che quel povero ragazzo sia un figlio bastardo di suo fratello.
¾ E ce l'aveva buttato qua, - riprende la moglie balzando in piedi di nuovo, non si sa se per rabbia o per commozione. - Qua, per far nascere in casa mia questa tragedia, che non finirà per ora, perché la mia figliuola, la maggiore, se n'è innamorata, capisce? Come una pazza, vedendolo morire - ah, che spettacolo! - se l'è caricato in collo, io non so com'ha fatto! se l'è portato via, con l'ajuto del fratello, giú per le scale, sperando di trovare una carrozza per istrada. Forse l'hanno trovata. E mi guardi, mi guardi là quell'altra figliuola, come piange.
Il dottor Mangoni, entrando, ha già intraveduto nell'attigua saletta da pranzo una figliolona bionda scarmigliata intenta a leggere, coi gomiti sulla tavola e la testa tra le mani. Legge e piange, sí; ma col corpetto sbottonato e le rosee esuberanti rotondità del seno quasi tutte scoperte sotto il lume giallo della lampada a sospensione.
Il vecchio padre, a cui il dottor Mangoni ora si volta come intronato, fa con le mani gesti di grande ammirazione. Sul seno della figliuola? No. Su ciò che la figliuola sta leggendo di là fra tante lagrime. Le poesie del giovinetto.
- Un poeta! - esclama. - Un poeta, che se lei sentisse... cose! Me ne intendo, perché professore di belle lettere a riposo. Cose grandi, cose grandi.
E si reca di là per prendere alcune di quelle poesie; ma la figliuola con rabbia se le difende, per paura che la sorella maggiore, ritornando col fratello dall'ospedale, non gliele lascerà piú leggere, perché vorrà tenersele per sé gelosamente, come un tesoro di cui lei sola dev'esser l'erede.
- Almeno qualcuna di queste che hai già lette, - insiste timidamente il padre.
Ma quella, curva con tutto il seno su le carte, pesta un piede e grida: - No! - Poi le raccoglie dalla tavola, se le ripreme con le mani sul seno scoperto e se le porta via in un'altra stanza di là.
Il dottor Mangoni si volta allora a guardar di nuovo quella tristezza di lettino vuoto, che rende vana la sua visita; poi guarda la finestra che, non ostante il gelo della notte, è rimasta aperta in quella lugubre stanza per farne svaporare il puzzo del carbone.
La luna rischiara il vano di quella finestra. Nella notte alta, la luna. Il dottor Mangoni se la immagina, come tante volte, errando per vie remote, l'ha veduta, quando gli uomini dormono e non la vedono piú, inabissata e come smarrita nella sommità dei cieli.
Lo squallore di quella stanza, di tutta quella casa, che è una delle tante case degli uomini, dove ballonchiano tentatrici, a perpetuare l'inconcludente miseria della vita, due mammelle di donna come quelle ch'egli ha or ora intravedute sotto il lume della lampada a sospensione nella stanza di là, gl'infonde un cosí frigido scoraggiamento e insieme una cosí acre irritazione, che non gli è piú possibile rimanere seduto.
Si alza, sbuffando, per andarsene. Infine, via, è uno dei tanti casi che gli sogliono capitare, stando di guardia nelle farmacie notturne. Forse un po' piú triste degli altri, a pensare che probabilmente, chi sa! era un poeta davvero quel povero ragazzo. Ma, in questo caso, meglio cosí: che sia morto.
- Senta, - dice al vecchio che s'è alzato anche lui per riprendere in mano la candela. - Quel signore che li ha rimproverati e che è venuto a scomodarmi in farmacia, dev'essere veramente un imbecille. Aspetti: mi lasci dire. Non già perché li ha rimproverati, ma perché gli ho domandato se aveva moglie, e mi ha risposto di sí; ma senza sospirare. Ha capito?
Il vecchio lo guarda a bocca aperta. Evidentemente non capisce. Capisce la moglie, che salta su a domandargli:
- Perché chi dice d'aver moglie, secondo lei, dovrebbe sospirare?
E il dottor Mangoni, pronto:
- Come m'immagino che sospira lei, cara signora, se qualcuno le domanda se ha marito.
E glielo addita. Poi riprende:
- Scusi, a quel giovinetto, se non si fosse ucciso, lei avrebbe dato in moglie la sua figliuola?
Quella lo guarda un pezzo, di traverso, e poi, come a sfida, gli risponde:
- E perché no?
- E se lo sarebbero preso qua con loro in questa casa? - torna a domandare il dottor Mangoni.
E quella, di nuovo:
- E perché no?
- E lei, - domanda ancora il dottor Mangoni, rivolto al vecchio marito, - lei che se n'intende, professore di belle lettere a riposo, gli avrebbe anche consigliato di stampare quelle sue poesie?
Per non esser da meno della moglie, il vecchio risponde anche lui:
- E perché no?
- E allora, - conclude il dottor Mangoni, - me ne dispiace, ma debbo dir loro, che sono per lo meno due volte piú imbecilli di quel signore.
E volta le spalle per andarsene.
- Si può sapere perché? - gli grida dietro la donna inviperita.
Il dottor Mangoni si ferma e le risponde pacatamente:
- Abbia pazienza. Mi ammetterà che quel povero ragazzo sognava forse la gloria, se faceva poesie. Ora pensi un po' che cosa gli sarebbe diventata la gloria, facendo stampare quelle sue poesie. Un povero, inutile volumetto di versi. E l'amore? L'amore che è la cosa piú viva e piú santa che ci sia dato provare sulla terra? Che cosa gli sarebbe diventato? L'amore: una donna. Anzi, peggio, una moglie: la sua figliuola.
- Oh! oh! - minaccia quella, venendogli quasi con le mani in faccia. - Badi come parla della mia figliuola!
- Non dico niente, - s'affretta a protestare il dottor Mangoni. - Me l'immagino anzi bellissima e adorna di tutte le virtú. Ma sempre una donna, cara signora mia: che dopo un po' santo Dio, lo sappiamo bene, con la miseria e i figliuoli, come si sarebbe ridotta. E il mondo, dica un po'? Il mondo, dove io adesso con questo piede che mi fa tanto male mi vado a perdere; il mondo veda lei, veda lei, signora cara, che cosa gli sarebbe diventato! Una casa. Questa casa. Ha capito?
E facendo scattar le mani in curiosi gesti di nausea e di sdegno, se ne va, zoppicando e borbottando:
- Che libri! Che donne! Che casa! Niente... niente... niente... Dimissionario! dimissionario! Niente

martedì 28 luglio 2015

La Grecia e le bugie interessate dell’Europa

Non riuscendo a comprare il governo greco o a piegarlo ai voleri della Troika, i poteri forti europei impersonati dalla Commissione e dall’Eurogruppo, stanno conducendo una campagna mediatica contro il governo greco teso a screditarlo. Se nella prima settimana dopo le elezioni tutti sono saltati sul carro di Tsipras, nelle settimane successive il refrain utilizzato da tutti i grandi giornali europei è stato duplice: i greci sono inaffidabili e incompetenti oppure i greci hanno ceduto alle richieste della Merkel. L’obiettivo è tanto semplice da risultare banale: screditare il governo greco agli occhi dei popoli europei in modo da cercare di evitare che Syriza ed in generale la proposta della sinistra di antiliberista possa diventare un punto di riferimento per chi vuole cambiare le cose.
A questo doppio binario non sfugge l’ultima – per ora – puntata della telenovela, quella sul ministro Varoufakis che – ci dicono le euroveline – sarebbe stato messo da parte per essere sostituito con il moderato Euclid Tsakalotos. Questa parolina “moderato” è il vero punto della campagna di disinformazione: il messaggio è che il governo greco sta cedendo alla Merkel ed entrano in campo i “moderati”. Chi conosce Euclid – dirigente dell’ala movimentista di Syriza e partecipante attivo ai vari social forum di questi anni – sa bene come questa affermazione sia completamente falsa. Il punto è molto semplice: la Commissione Europea e l’Eurogruppo stanno nascondendo dietro i contrasti con il ministro Varoufakis trasformato in personaggio folcloristico, una pratica dilatoria che punta a strozzare la Grecia attraverso un ricatto: soldi solo in cambio di privatizzazioni, libertà di licenziamento e ulteriore manomissione del sistema pensionistico. L’Unione Europea ha fatto in questi giorni polverone attorno a Varoufakis, cercando di far passare tempo e mettere la Grecia con le spalle al muro.
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Il governo greco ha giustamente deciso di smascherare questo ricatto e di togliere ogni alibi ai poteri forti europei. Per questo ha dato vita ad una delegazione trattante più ampia, che ha lo stesso mandato politico di prima e che vede riconfermata la fiducia a Varoufakis quale ministro titolare delle trattative nell’eurogruppo. Sempre per togliere alibi agli avversari, il governo greco presenterà a stretto giro le riforme che intende fare. Vedremo nei prossimi giorni cosa risponderà la casta neoliberista europea – tra cui siede a pieno titolo Renzi e il suo governo – sapendo che entro la fine di giugno si arriverà al dunque sul punto fondamentale, quello del debito.
Il punto chiarissimo è infatti questo: oggi il governo greco vuole un accordo intermedio che permetta di impostare il lavoro e la trattativa per affrontare il tema centrale, quello del debito pubblico. Il debito pubblico greco – esploso grazie alle folli politiche imposte alla Grecia dalla Troika – e che ha travasato decine di miliardi dalle tasche dei greci a quelli degli speculatori, è infatti il vero nodo attorno a cui si gioca la partita. La posizione greca è chiarissima: il debito è ingestibile a livello nazionale e all’interno delle regole oggi applicate, occorre che il debito venga gestito dalla Bce a tasso di interesse zero, non solo per la Grecia ma per tutti i paesi europei. La proposta greca è quindi l’unica proposta sensata che sia in campo perché propone di togliere la gestione del debito pubblico dalle mani della speculazione e dei mercati per riportarlo ad una gestione pubblica, come avviene in tutto il resto del mondo: dagli Stati Uniti al Giappone per non fare che due esempi di paesi non in odore di bolscevismo. Non si dimentichi che Obama ha avuto in prestito in questi anni dalla Federal Reserve4.500 miliardi di dollari a tasso di interesse zero (avete letto bene, zero).
Per questo, invito i lettori a non farsi distrarre dalle veline dei nemici di classe – banchieri, speculatori, politici neoliberisti in generale – ma a costruire il consenso attorno alla proposta avanzata dal governo greco: i popoli la devono smettere di regalare i soldi agli speculatori attraverso gli interessi sul debito pubblico e i debiti devono essere gestiti dalla Bce, come succede in tutto il resto del mondo. La lotta non è tra popoli ma dei popoli contro gli speculatori e per questo la sovranità sulla moneta deve essere tolta alle banche private e posta al servizio dei popoli.

Il Fatto Quotidiano.Paolo Ferrero

martedì 21 luglio 2015

Il debito mondiale vale tre volte il Pil di Fabio Pavesi19 luglio 2015

TRATTO DA SOLE 24 ORE-Massimo Fini aveva già previsto tutto nel lontano 1998
Vista con gli occhi del signor Li da Pechino o di mister Smith da Los Angeles la crisi del debito di Atene, con quei 315 miliardi di euro che valgono il 180% della ricchezza prodotta ogni anno e che non saranno mai del tutto rimborsati, è poco più che una quisquilia. Gli ordini di grandezza sono talmente siderali da rendere il confronto risibile. La Cina da sola poggia su 28.000 miliardi di dollari di soldi presi a prestito da Governo e privati. E gli Usa sono indebitati complessivamente tra debito pubblico e privato per 2,7 volte il Pil che ogni anno viene generato. Ovvio che detta così ogni paragone è improprio e fuori luogo. Non conta tanto la dimensione assoluta dell'indebitamento ma la sua sostenibilità, cioè la capacità di rimborsare quei prestiti grazie al tono di crescita dell'economia. E qui sanno tutti (da tempo) che la Grecia è sostanzialmente insolvente se non si taglia o si allunga quel debito, mentre nessuno pone dubbi sulla capacità delle prime due economie mondiali di far fronte ai propri debiti.
Ma come non ricordare che la crisi finanziaria globale è proprio nata sulle ceneri dei mutui subprime americani,un gigantesco grumo di prestiti a chi non era in grado di restituirli. E la crisi del debito, che oggi pare superata con fatica, è in realtà sempre lì dietro l'angolo pronta a riaffacciarsi se il ciclo economico globale dovesse di nuovo incepparsi. Possibilità remota certo, ma quel che allarma molti osservatori è che il debito mondiale anziché assopirsi ha corso in questi in questi anni più che mai. I dati dell'ultimo rapporto McKinsey sono eloquenti. Dal 2007 infatti il debito globale mondiale è cresciuto di altri 57mila miliardi di dollari facendo salire il rapporto tra debito e Pil (sempre a livello globale) di 17 punti percentuali. A fine 2014, sette dopo la più grave crisi dal Dopoguerra, il mondo ha cumulato un debito complessivo di 199mila miliardi di dollari, quasi tre volte il valore del Pil globale. La Cina che ha imbastito la sua veloce crescita economica sulla leva finanziaria ha visto, secondo gli analisti di McKinsey, quadriplicato il suo debito negli ultimi sette anni. Metà di tutti i prestiti sono finiti a finanziare il boom immobiliare di Pechino, inondato a piene mani da un sistema bancario ombra (broker di ogni natura, intermediari di ogni che non sottostanno alla vigilanza della Banca centrale) che è cresciuto dal 2007 del 36% all'anno in volume. La tendenza a farsi finanziare a piene mani riguarda tutti i comparti. Il debito delle famiglie è salito a 40mila miliardi con un ritmo annuo dal 2007 del 5,3%; anche le imprese hanno visto prestiti salire del 5,9% annuo con un volume di crediti a 56mila miliardi, poco meno dell'intero Pil mondiale. E i governi non sono stati certo a guardare. Il salvataggio delle banche e le politiche fiscali espansive hanno visto il debito pubblico salire nel mondo a 58mila miliardi (+9,3% annuo dal 2007).

La Cina è l'esempio più eclatante della sbornia da debito. L'altro ieri Standard&Poor's ha lanciato un monito. Per l'agenzia il solo debito delle imprese cinesi è destinato a salire nel 2019 a 28mila miliardi di dollari il 40% di tutti i debiti corporate a livello planetario che dovrebbero attestarsi a 70mila miliardi dai 50mila miliardi del 2014. Per S&P la corsa esplosiva del ritmo del nuovo debito rappresenta un rischio sistemico.
A spingere le economie mondiali ad aumentare la leva finanziaria sono state proprie le politiche monetarie ultra-espansive e i tassi tendenti a zero con cui le Banche centrali hanno evitato il crash finanziario del sistema bancario mondiale. Una cura di iniezioni massive di liquidità che hanno sorretto il mondo sul ciglio del burrone tra il 2008 e il 2009, ma che hanno finito come effetto collaterale a spingere famiglie, imprese e Governi a indebitarsi sempre più. Il costo dei soldi a prestito è talmente infimo che induce a investire a debito. Un circolo virtuoso che ha permesso alle economie mondiali di non collassare, ma che ha in sé i germi della follia finanziaria. Tutto quel debito, più di quello che ha fatto da miccia al deflagrare della crisi, è oggi ancora lì. Una montagna di denaro che andrà restituito. È proprio qui il punto chiave per il futuro. Scampato il crac, le economie si sono riprese, ma a un passo di marcia assai più blando degli anni Novanta-Duemila. Un mondo che cresce piano rispetto al passato ma che ha più debiti di prima, dato che il fardello è aumentato di ben 57mila miliardi, l'intero Pil mondiale dell'anno scorso.
Si dirà che la Cina ha tutte le capacità di rimborsare quei prestiti. Ma c'è un ma. L'economia cinese abituata a crescere a ritmi del 10-12% per lunghi decenni è entrata dal 2010 in una fase di contrazione. Il Pil annuo sale del 7% e le stime dicono che la corsa si stabilizzerà, se niente andrà storto, su questi ritmi per i prossimi anni. Fisiologico per un'economia non più emergente da tempo. Ma se la crescita assume sembianze più contenute, l'aumento esplosivo del debito allargherà la forbice tra debito e Pil. Per ora a compensare il tutto c'è stato l'effetto ricchezza della corsa delle Borse cinesi che mette in ombra l'eccessivo indebitamento. Ma il paradosso è che anche la cavalcata delle Borse è avvenuta a debito. Ecco perché il crash dei listini che ha bruciato in un solo mese 3.900 miliardi di dollari (dieci volte il debito greco), tamponato per ora dalle autorità monetarie, è stato uno scricchiolio inquietante. Si spera che resti tale. Ma anche se Banca centrale e Governo riuscissero a non far deragliare le Borse, quella montagna di debito che continua a salire sarà il nuovo spauracchio da monitorare da vicino nei prossimi anni.

sabato 18 luglio 2015

Considerazioni Inattuali

http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-07-16/l-europa-grecia-e-cura-inefficace-070345.shtml

La ragione è che il nuovo programma di aiuti ripropone una cura che si è già rivelata inefficace. A differenza degli altri Paesi del Sud Europa, la Grecia non è mai riuscita a risollevarsi dalla crisi, per diverse ragioni che non dipendono solo dalla mancata attuazione delle riforme necessarie.

http://mobile.ilsole24ore.com/solemobile/main/art/notizie/2013-10-08/pratica-dumping-salariale-192813.shtml?uuid=AbumKwqI

«Se il modello economico tedesco è il futuro dell'Europa, dobbiamo essere tutti molto inquieti». Così sul Financial Times , Adam Posen, ex membro del comitato di politica monetaria della Bank of England

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2015-07-14/rapporto-segreto-dell-fmi-serve-drastico-sconto-debito-greco-192551.shtml?uuid=ACeQtYR

Ma guarda...il FMI è pieno di simpatizzanti di Syriza, ideologicamente antichi. Rendiamoci conto che Tsipras avevo chiesto una cosa logica; ma il mondo è fatto da persone che con la logica non hanno nulla a che spartire.


I tedeschi non stanno nemmeno facendo gli interessi dei creditori, la loro è solo una dimostrazione di forza in Europa comandano loro. Ora i Greci non solo guadagnano 10,pagano fra interessi sul debito e necessità vitali dell'economia 15, con una spirale di debiti infiniti; devono anche ipotecare tutto e darlo a un fiduciario straniero. L'unica via era la ristrutturazione,ed anche l'Fmi era favorevole ( non è che non paghi il debito ristrutturando paghi quando sei in crescita e la crescita non si genera solo con le riforme del mercato del lavoro) . Questo accordo è una pura manifestazione di forza della Germania.

“Si è compiuto ciò che era già scritto. Sono dei fanatici che fanno dell’austerità una religione: all’austerità può credere soltanto un professore della Bocconi, uno che non è un economista ma è un ragioniere. Dietro questa battuta c’è una tragedia immensa: la riduzione dell’economia alla ragioneria“.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/07/13/grecia-sapelli-germania-vuole-uccidere-la-grecia-mossa-da-fanatismo-ideologico/1868744/

Bisogna ad iniziare ad un piano per il collosso del sistema capitalista. l'Europa litiga, per 380 mld di euro rateizabili, e Shangai in un giorno ha perso 1200 mld di Dollari (come dimensioni l'intero mercato finanziario spagnolo). Il governo cinese obbliga tutte le aziende ad investire in azioni per sostenere il mercato. Non c'è paese industrializzato e avanzato che non sia sommerso dai debiti, gli Usa non hanno fatto default solo perché il congresso a novembre, ha permesso al governo di sforare i 17000 mld di dollari di indebitamento. Per me la soluzione è semplice, stampi moneta accolli il debito alle banche centrali e finché la gente ci crede si va avanti.

L'Italia possiede una ricchezza finanziaria netta delle famiglie pari nel 2010 al 175% del Pil contro una media dell'Eurozona del 132,7%. Dunque il nostro stock di risparmio privato eccede quello medio europeo di ben 42,3 punti di Pil. Pretendere di poter scontare questa intera eccedenza dalla quota di debito pubblico superiore al 60% del Pil che è obbligatorio ridurre sarebbe certamente troppo. Ma ammettere la possibilità di una franchigia fino a 25 punti di Pil negli obblighi di riduzione del debito pubblico qualora un Paese, come l'Italia, abbia un gigantesco stock di risparmio privato, non è una proposta fuori luogo.In Europa, solo l'Italia, l'Olanda e il Belgio, tra i Paesi maggiori, dispongono di un simile cuscinetto di riserva. La ricchezza finanziaria netta della Francia, infatti, è più bassa ed eccede quella media dell'Eurozona solo di 9,1 punti di Pil; quella della Germania è persino inferiore alla media europea.

giovedì 9 luglio 2015

Considerazioni Inattuali

Bisogna ad iniziare ad un piano per il collosso del sistema capitalista. l'Europa litiga, per 380 mld di euro rateizabili, e Shangai in un giorno ha perso 1200 mld di Dollari (come dimensioni l'intero mercato finanziario spagnolo). Il governo cinese obbliga tutte le aziende ad investire in azioni per sostenere il mercato. Non c'è paese industrializzato e avanzato che non sia sommerso dai debiti, gli Usa non hanno fatto default solo perché il congresso a novembre, ha permesso al governo di sforare i 17000 mld di dollari di indebitamento. Per me la soluzione è semplice, stampi moneta accolli il debito alle banche centrali e finché la gente ci crede si va avanti.

Poi guarda te che culo crolla la borsa di Shangai per un malfunzionamento ai pc sono ferme le contrattazioni a New York.

Io non riesco proprio a capacitarmi come la 3° economia dell'Europa, l'Italia, sia lasciata fuori da tutti i vertici che contano. Ma noi siamo il terzo contribuente netto dell'Europa; o che si fa si paga senza nemmeno avere la parola? Ma Renzi oltre a scrivere su Twitter ha una politica estera?

Tra l'altro, giorni fa, proprio Renzi in una intervista al 'Corriere della Sera', parlando di Grecia, aveva detto che lui ai vertici non andava anche se Tsipras lo aveva invitato. Come non capire che un terzo incomodo italiano tra Parigi e Berlino, nelle vicende di Atene - oltreché lasciare Tsipras e la Grecia meno soli - sarebbe stato salutare per ridisegnare il ruolo dell'Italia nella Ue e anche condizionare alcune scelte europee?
Bene, Renzi non lo ha capito oppure ha sbagliato i calcoli politici come, del resto, sulle politiche per l'immigrazione dove l'Italia non riesce a far passare, al Consiglio Europeo e in sede decisionale, provvedimenti che allentino il peso degli sbarchi (e degli aiuti) dei profughi sulle nostre coste, redistribuendoli in modo permanente e duraturo, equo, tra tutti i 28 paesi dell'Ue, a cominciare da Francia e Germania per arrivare agli Stati baltici.


“Mille miliardi di euro, tanto abbiamo bruciato noi europei negli ultimi quattro mesi, tra vendite di titoli dell’eurozona e mancata capitalizzazione. A conti fatti, l’equivalente dei fondi per il quantitative easing messi a disposizione dalla Bce”. Numeri che portano a una conclusione quasi paradossale: “La ricchezza che stiamo bruciando è superiore allo stesso debito greco”. E questa non è una scelta politica? L'economia nella questione Greca c'entra poco o nulla.

L'Italia possiede una ricchezza finanziaria netta delle famiglie pari nel 2010 al 175% del Pil contro una media dell'Eurozona del 132,7%. Dunque il nostro stock di risparmio privato eccede quello medio europeo di ben 42,3 punti di Pil. Pretendere di poter scontare questa intera eccedenza dalla quota di debito pubblico superiore al 60% del Pil che è obbligatorio ridurre sarebbe certamente troppo. Ma ammettere la possibilità di una franchigia fino a 25 punti di Pil negli obblighi di riduzione del debito pubblico qualora un Paese, come l'Italia, abbia un gigantesco stock di risparmio privato, non è una proposta fuori luogo.In Europa, solo l'Italia, l'Olanda e il Belgio, tra i Paesi maggiori, dispongono di un simile cuscinetto di riserva. La ricchezza finanziaria netta della Francia, infatti, è più bassa ed eccede quella media dell'Eurozona solo di 9,1 punti di Pil; quella della Germania è persino inferiore alla media europea.

L'unica riforma che ha senso è una politica fiscale comune.Gli armatori Greci minacciano il governo di andare a Cipro se gli verrà chiesto un aumento della tassazione. Ciò in Europa non deve succedere.

L'arroganza della Merkel è odiosa, prima ha chiesto di aspettare il referendum poi una volta fatto ribadisce che non ci sono i margini per trattare. L'Europa ha un solo problema la Germania. Come al solito. Inoltre la Francia e la Germania perché parlano per tutta l'Unione? L'Europa è un direttorio Franco-Tedesco?

Ci voleva il referendum per far uscire Italia e Francia a dire che da domani si tratta. Ad oggi, finalmente i popoli mediterranei rifanno gruppo. Dato politico importante è che Tsipras ha l'appoggio del popolo greco per andare fino in fondo; in Europa già pensavano a una grande coalizione, che lo avrebbe sostituito, che faceva comodo a loro.

Oxii!!Grande Tsipras!! Eccezionali i Greci. In Italia non ci saremmo mai riusciti.

La Grecia ha un debito pubblico di 21'000 E pro capite, l'Italia di 33'000 E pro capite. Speriamo che gli Italiani lavorino più dei Greci.

Ora che la liquidità alle banche greche non venga garantita è il colmo dei colmi. Una banca centrale amministra e garantisce le banche private dal rischio liquidità. Capisco non finanziare la Grecia come stato ma se la BCE non garantisce la liquidità alle banche e la banca centrale greca non ha denaro, i capitali privati chi li sostiene? Ciò significa che se per assurdo l'Italia andasse in default e la bce non rispondesse al ruolo di banca centrale perderemmo anche il risparmio privato che in Italia e uno fra i più alti del mondo. Boh?

Il 6 sarà il più grande evento della politica italiana degli ultimi 3 anni.Se la Grecia dice no e l'Europa l'accetta aiutandola, abbiamo un futuro, in caso contrario al primo segnale di ripresa bisogna uscire dall'euro e svalutare per aiutare l'export. Siamo il paese più indebitato d'Europa ed è impensabile di gestire il debito senza sovranità monetaria e controllo della banca centrale. Il debito pubblico è l'unico polmone che salva l'economica nei suoi cicli ventennali vedi il Giappone ed incaponirsi sull'idea Tedesca che la BCE non compra titoli di stato è il primo passo per il baratro. La banca centrale nei momenti di crisi sostiene l'Economia e non regola solo l'inflazione.

Tutte le grandi testate italiane danno a Syriza l'etichetta movimento antieuropeo populista quando non è mai stato nessuno delle due cose, più semplicemente un movimento socialista. È la distorsione della realtà per trovare un disallineato dall'idea imperante e colpirlo duramente. Scandaloso eppoi é accusare Tsipras di eresia,nell'aver indetto un referendum; Dio bono a chi chiedi se vuole fare sacrifici se non a chi deve farli? La democrazia che valore aggiunto ha, se decide Junker per tutti.

l'Islanda non ha ripagato nemmeno un dollaro o sterlina dei suoi debiti e non è diventata un paese del terzo mondo. E' inutile fare questo terrorismo economico; il rischio dell'uscita della Grecia è solo politico. Alla fine si arriva sempre a una ristrutturazione del debito.

Se la Grecia esce per la miopia della classe dirigente Europea,una stella alla volta l'Europa si spegnerà. ps: le quote dei migranti-rifugiati ripartite fra i paesi non sono vincolanti e da decidere fra due mesi, significa che il problema rimane nostro grazie Eurogruppo.

La Grecia non ha nemmeno il tempo di esprimersi con un voto popolare sulle misure prese dall'Eurogruppo. La stupidità della questione è ridicola, se un credito è inesigibile non è aumentando le rate che il problema si risolve, va ristrutturato come ha sempre detto Vaurofakis. Si mette il paese in condizione di crescere e si prende quello che può ridarti. Nella situazione Greca, l'Europa ha colpe innegabili visto che lei ha certificato i bilanci e dato i prestiti a una classe politica filo Europea e filo Troika. Ha coinvolto il FMi mentre poteva benissimo lasciarlo fuori in questo modo ha esternalizzato il disastro. Questa Europa non solo è dannosa, stupida, miope e contraria al benessere dei popoli ma è inutile. Vediamo come andrà a finire, ma già da ora L'Europa è solo un nome di un aggregato di individualismi egoisti che opprime il più debole e rende i più forti i padroni del gioco.

OGNI VOLTA CHE CI SCHIERIAMO CON LA GERMANIA SIAMO FOTTUTI E NON CONTIAMO NULLA
Massimiliano Lenzi per "Il Tempo"
Impressionante, non c'è altro aggettivo per descrivere il fallimento della linea politica tenuta da Matteo Renzi sulla crisi greca. Ieri, chiuse le urne del referendum popolare nel paese ellenico e visti i primi sondaggi che davano il no in vantaggio, Angela Merkel, la Cancelliera tedesca, annunciava che sarebbe volata oggi a Parigi, per incontrare il presidente francese Hollande in un vertice d'emergenza in cui decidere il da farsi.
L'Italia, in questo nuovo e complicato risiko politico che si apre all'indomani del voto greco, appare irrilevante e la ragione è semplice: l'errore imperdonabile di Matteo Renzi di schierarsi con il più forte, la Germania, e quindi di appiattire sul muro tedesco verso Tsipras ogni possibile linea di mediazione italiana. Ecco, quindi, che all'indomani del referendum l'asse franco-tedesco si rivela centrale ancora una volta, costringendo il nostro Paese ad una irrilevanza strategica in un momento storico e decisivo per il futuro dell'Unione europea.

La mediazione tra la linea tedesca, i creditori, la Bce, e la Grecia la porterà avanti con ogni probabilità proprio Hollande che sulla durezza delle scelte dell'Eurogruppo aveva già espresso, prima del voto di ieri, diverse perplessità e in rappresentanza italiana, per nazionalità ma non per mandato politico, resterà solo il governatore della Bce Mario Draghi. Ciò che colpisce della linea in politica estera che Matteo Renzi sta imprimendo all'Italia è la totale sua inadeguatezza al momento storico e politico.

Tra l'altro, giorni fa, proprio Renzi in una intervista al 'Corriere della Sera', parlando di Grecia, aveva detto che lui ai vertici non andava anche se Tsipras lo aveva invitato. Come non capire che un terzo incomodo italiano tra Parigi e Berlino, nelle vicende di Atene - oltreché lasciare Tsipras e la Grecia meno soli - sarebbe stato salutare per ridisegnare il ruolo dell'Italia nella Ue e anche condizionare alcune scelte europee?
Bene, Renzi non lo ha capito oppure ha sbagliato i calcoli politici come, del resto, sulle politiche per l'immigrazione dove l'Italia non riesce a far passare, al Consiglio Europeo e in sede decisionale, provvedimenti che allentino il peso degli sbarchi (e degli aiuti) dei profughi sulle nostre coste, redistribuendoli in modo permanente e duraturo, equo, tra tutti i 28 paesi dell'Ue, a cominciare da Francia e Germania per arrivare agli Stati baltici.
Impressionante, appunto, un aggettivo che all'inizio di questo articolo non abbiamo impiegato a caso visto che è il termine più frequente con cui negli ultimi quattro anni, dalla fine del 2011 anno in cui han costretto a sloggiare Silvio Berlusconi, la Merkel definisce le riforme italiane, indipendentemente dal premier che incontra, che sia Renzi, Monti o Enrico Letta. Eppure a Renzi sarebbe bastato poco, rileggersi un po' di storia sulla nascita dell'Europa, dal progetto dei padri fondatori a metà del secolo scorso, sino ad oggi per capire che schiacciarsi sulle posizioni tedesche, per l'Italia, non è mai un vantaggio politico.


Non lo è stato nelle due guerre mondiali, la I l'abbiamo vinta contro gli Imperi centrali e contro la Germania, la II l'abbiamo persa da alleati della Germania nazista, salvo poi cercar redenzioni dopo il 25 luglio e l'8 settembre. A Renzi sarebbe bastato avere un poco più di coraggio politico perché la politica estera non si fa regalando a Tsipras una cravatta (come fece mesi fa Matteo Renzi, dicendo al Premier greco di indossarla quando il suo Paese sarebbe uscito dalla crisi) e non andando ai vertici. Impressionante, direbbe la Merkel. Perché Renzi non regala una cravatta pure a lei?