domenica 18 agosto 2019

Non aspettavano altro-Racconto tratto da Sessanta racconti di Dino Buzzati

Non aspettavano altro Era caldo. Dopo il lungo viaggio sempre in piedi nel corridoio, Antonio e Anna
giunsero stanchissimi alla grande città dove avrebbero dovuto passare la notte. Fino al mattino successivo non
c’erano treni per proseguire. Dalla stazione uscirono sul piazzale rovente. Con un braccio lui portava la valigetta
comune, con l’altra sosteneva Anna la quale non ne poteva più, i piedi gonfi per la stanchezza. Era caldo.
Adesso, trovare subito un albergo per riposare. Di alberghi ce n’era una quantità, nei dintorni della stazione. E si
sarebbero detti tutti vuoti, con le persiane chiuse, nessuna automobile ferma davanti, deserti gli anditi d’ingresso.
Loro ne scelsero occhio uno dall’apparenza modesta. Si chiamava “Hotel Strigoni”. Nel vestibolo non un’anima viva. Tutto
assopito e immobile. Poi scorsero dietro il banco il portiere che dormiva, insaccato in una poltrona. «Scusi»
disse Antonio senza alzare la voce. Lui aprì con fatica un occhio, lentamente si levò in piedi, divenne nero ed
altissimo. Prima che Antonio parlasse, il portiere scosse la testa; e fissava la coppia come si guardano i nemici.
Indicando con l’indice la pianta dell’albergo sul piano del banco. «Siamo completi» annunciò «mi dispiace non
c’è neanche un buco.» Pareva che pronunciasse con fastidio una formula ripetuta senza interruzione per anni e
anni. Neppure gli altri alberghi avevano posto. E pure gli atri di ingresso erano vuoti, nessuno entrava o usciva,
né si udivano rumori umani dalla parte delle scale. I portieri per lo più dormicchiavano, erano sudaticci e tristi.
Anche essi indicavano la pianta delle stanze a dimostrare che non restava
libero neanche uno sgabuzzino. E ugualmente fissavano i due con sospetto. Vagarono così per circa un’ora nelle
strade torride, diventando sempre più stanchi. Finalmente, al settimo o ottavo portiere che rispondeva di no,
Antonio chiese se almeno avessero potuto fare un bagno. «Un bagno?» fece l’altro. «Loro cercano un bagno?
Ma perché non vanno all’albergo diurno? È qui vicino, a due passi.» E spiegò la strada. Andarono. Anna faceva
ormai una faccia dura e non parlava, segno che era esasperata. Ecco il grande cartello policromo all’entrata del
diurno, la scala che scendeva nel sotterraneo. Anche qui non c’era anima viva. Ma, come furono discesi, lo
scoraggiamento li prese. Dinanzi ai due sportelli con soprascritto “Bagni” c’erano lunghe code; e altra gente, che
evidentemente aveva già acquistato lo scontrino, aspettava, seduta intorno, bisbigliando. Uno sportello era per
gli uomini, l’altro per le
donne. «Dio mio, non ne posso più» disse Anna. E lui: «Coraggio, adesso ci rinfreschiamo un poco. E poi, se
Dio vuole, troveremo un albergo». Così entrambi si misero in coda. Pure laggiù, a motivo del vapore caldo che
usciva dal corridoio dei bagni, l’aria era umida e opprimente. Intanto Antonio si accorse che la gente seduta li
esaminava, fissando specialmente Anna: gettavano un’occhiata e poi bisbigliavano tra loro; senza malizia, si
sarebbe detto, perché nessuno sorrideva. Anna fece più presto di lui. Dopo circa mezz’ora la vide, nella coda di
fianco, sopravanzarlo e avvicinarsi allo sportello. Quando fu il suo turno, la ragazza porse un biglietto da cento
lire. A questo punto Antonio fu distratto da un sommesso battibecco tra colui che lo precedeva e l’impiegato allo
sportello. Il commesso non disponeva di spiccioli, l’altro non aveva che biglietti da mille. «La prego, si tiri in
disparte, lasci passare gli altri…» Discutevano sottovoce, come temessero
farsi udire. Infine l’uomo si trasse da un lato, brontolando, e fece posto ad Antonio. Solo allora egli si accorse
che Anna a sua volta stava discutendo allo sportello accanto. Si era fatta rossa in volto e affannata, cercava con
ansia qualche cosa nella borsetta. «Hai perso i soldi?» gli chiese lui. «No, ma qui vogliono i documenti. E non
riesco più a trovare la tessera!» «Su allora, signore» sussurrò l’impiegato, esortando Antonio. «Un bagno?…
Ottanta…» «E occorre un documento?» Il commesso ebbe un vago sorriso. «Spero bene…» rispose con chissà
quali sottintesi. Antonio trasse la carta di identità di cui l’altro ricopiò i dati su un registro. Nel frattempo, a
causa di Anna, la coda delle donne si era inceppata e ne usciva un brusio di protesta. Finché dallo sportello
venne una voce sgradevole di donna: «Signorina, se non ha il documento, si levi per favore!…». «Ma io sto
male, ho bisogno…» insisteva Anna, sorridendo con fatica, per impietosirla. «Qui c’è un signore che mi
conosce e ha i documenti…» La commessa tagliò corto: «Non ho tempo da perdere… Mi faccia il piacere…».
Antonio trasse via dolcemente la ragazza per un braccio. Allora lei perse la calma: «Che modi!» gridò
all’impiegata. «Neanche se si fosse dei delinquenti!» L’alta voce echeggiò nella quiete con scandalo. Tutti si
voltarono stupefatti e ripresero a bisbigliare con più foga. «Anche questa doveva succedere!» diceva Antonio.
«E adesso come fai?» «Che ne so?» fece Anna sull’orlo del pianto. «Neanche un bagno si può fare in questa
maledetta città… Tu almeno, l’hai preso, lo scontrino?» «Io sì… Ora voglio provare: se potessi andare tu al mio
posto…» Si avvicinarono infatti alla inserviente che riceveva gli scontrini all’ingresso dei bagni, e chiamava,
con voce opaca, i numeri successivi, via via che il turno procedeva. «La prego» disse Antonio supplichevole. «Io
ho già preso lo scontrino ma devo andare… Non potrebbe utilizzarlo la signorina?» «Sì certo» rispose
donna. «Non ha che da andare allo sportello dei reclami e far registrare il documento…» «Senta» intervenne
Anna. «Sia buona… io l’ho smarrita la carta di identità… mi lasci fare il bagno lo stesso… non mi sento bene…
guardi che caviglia…» «Ma io non posso, figliola» fece la inserviente. «Se per caso se ne accorgono, i guai sono
miei, stia pur sicura…» «Andiamo» disse Antonio, esasperato anche lui. «È una caserma, questa.» Gli sguardi
dei presenti erano più che mai concentrati sulla coppia e quando i due giovani si avviarono alla scala per risalire
sulla via, il bisbiglio per un istante tacque. «Oh, andiamo a sederci da qualche parte, te ne supplico» si lamentava
Anna. «Non ce la faccio più a stare in piedi… Guarda un giardino!» La strada sboccava infatti ai margini di un
giardino pubblico che pareva da lontano pressocché deserto. In realtà le panchine completamente in ombra erano
tutte occupate. Si dovettero accontentare di un sedile riparato a metà da un ramo.
Seduta, per prima cosa Anna si slacciò le scarpette. Tutt’intorno crepitavano le cicale; e c’erano polvere e
desolazione. Poco più in là, dinanzi a loro, in uno spiazzo rotondo, essi videro una larga fontana circolare, con
uno zampillo al centro. Di tutto il giardino questo era l’unico posto affollato, sebbene esposto al sole. Donne e
anche uomini fatti sedevano sull’orlo, per lo più con le mani immerse nell’acqua a scopo di refrigerio; mentre
nel mezzo della fontana una torma irrequieta e vociante di bambini seminudi giocava con le barchette.
Sguazzavano felici, si schizzavano a vicenda, qualcuno si immergeva a pancia in giù, col vestito e tutto, senza
badare ai richiami della mamma. Per i flaccidi vapori ristagnanti sulla città – forse venuti dalle circostanti risaie
in putrefazione – i raggi del sole si erano nel frattempo fatti smorti. Ma il caldo sembrava diventare ancora più
pesante. «Guarda… l’acqua!» fece improvvisamente
Anna. «Aspettami un momento…» E lasciando le scarpette, prima che Antonio potesse trattenerla si affrettò
sorridendo alla fontana, chiese “Permesso” a quelli che sedevano sul bordo, lo scavalcò agilmente ed entrò
nell’acqua sollevando un poco le gonne. «Ah, che consolazione!» gridò ad Antonio che, con la valigetta e le
scarpe di lei, si era subito avvicinato. Dall’acqua, dove cercavano conforto, gli sguardi della gente si alzarono a
quella bella ragazza, misurandola. Subito le teste, sonnolente e immote, si animarono, incrociandosi fitti
dialoghi. Poi si alzò, precisa, una voce: «Signorina, torni indietro, per favore, la fontana è riservata ai bambini!»
Era una donna sui quarant’anni, un tipo di massaia, dal volto energico. Ma l’Anna era così contenta di trovarsi
nell’acqua. Tra quel vociare di bambini non udì il richiamo. «Signorina» ripeté la donna più forte. «Guardi che
non si può entrare nella fontana. È riservata ai
bambini.» Altre donne l’approvarono con cenni. Anna si voltò sorpresa, il volto ancora ridente. «Bambini o no»
rispose «ho bisogno di rinfrescarmi un poco, se permette.» Il tono era cordiale, con un accento quasi di
cerimonia che voleva riuscire scherzoso. Poi avanzò verso il centro della fontana, dove l’acqua diventava
progressivamente più profonda. Un’altra donna dall’espressione volpina agitò in alto le mani. «Questa fontana è
dei bambini» gridò. «Ha capito? È dei bambini!» Altre ancora fecero eco: «Fuori dalla fontana! Fuori! È
riservata ai bambini!». Anche i piccoli, che da principio non vi avevano fatto caso, guardarono la ragazza entrata
nell’acqua in mezzo a loro; e interruppero i giochi, come aspettando qualcosa. «Torni indietro! È proibito!
Fuori!» Anna era già quasi sotto lo zampillo, dove i bambini erano più fitti. L’acqua le arrivava alle ginocchia. A
quelle grida si voltò nuovamente e, chissà come, non
vide che cosa erano diventate in pochi istanti le facce delle donne intorno: sudaticce, rosse, tirate dall’ira, con
una piega odiosa agli angoli delle labbra. Non vide, non ebbe paura. «Eh!» rispose, alzando una mano a
esprimere impazienza e noia. Dal bordo della fontana, in tono accomodante, Antonio cercò di evitare un litigio.
«Anna, Anna, torna adesso. Ti sei rinfrescata abbastanza.» Ma lei capì che Antonio si vergognava di lei e
giustificava in certo modo le donne. In risposta scalpitò nell’acqua come una ragazzina. «Sì, sì, ancora un
momento!» Non voleva darla vinta a quelle streghe. Ciàc. Qualcosa di grigio volò sopra l’acqua e subito si vide
una chiazza pesante di sudicio sulla schiena dell’Anna; e scolava giù per la stoffa azzurra a fiori. Chi era stato?
All’improvviso una delle popolane, bella donna alta e robusta, aveva tuffato una mano nel fondo, raccogliendo
un pugno di fango. Poi l’aveva lanciato. Risate e grida si levarono. «Fuori! Fuori della
fontana! Fuori!» Erano anche voci di uomini. La gente, poco prima intorpidita e molle, si era tutta eccitata. Gioia
di umiliare quella ragazza spavalda che dalla faccia e dall’accento si capiva ch’era forestiera. «Vigliacchi!»
gridò Anna, voltandosi d’un balzo. E con un fazzolettino cercava di togliersi di dosso la fanghiglia. Ma lo
scherzo era piaciuto. Un altro schizzo la raggiunse a una spalla, un terzo al collo, all’orlo dell’abito. Era
diventata una gara. «Fuori! Fuori!» gridavano, in una specie di giubilo. Una grande risata si allargò quando un
bel blocco di fango si spiaccicò su un’orecchia di Anna, insozzandole la faccia; gli occhiali da sole volarono via,
scomparendo sott’acqua. Sotto la tempesta, la ragazza cercava di ripararsi, ansimando, e gridava frasi
incomprensibili. Qui Antonio intervenne, facendosi largo. Ma come avviene nei momenti di eccessiva emozione,
pronunciò parole sconnesse: «Per piacere, per piacere» cominciò «lasciate stare! Che cosa vi ha fatto
male, per piacere… Vi dico che… Sentite… Vi consiglio… Anna, Anna, vieni via subito!». Antonio era
forestiero e tutti, là, parlavano in dialetto. Le sue parole ebbero un suono curioso, quasi ridicolo. Proprio al suo
fianco uno si mise a ridere. «Per piacere eh? per piacere?» E gli faceva il verso. Era un giovane sui trent’anni, in
canottiera, dal volto asciutto e furbesco da teppista. Ad Antonio tremarono le labbra. «Cosa c’è? cosa c’è?»
chiese. Nello stesso istante, con la coda dell’occhio, scorse una donna che alzava un braccio, nell’atto di lanciare
ancora fango. Con un balzo lui la afferrò al polso, fermandola; la poltiglia sfuggì dalle dita. «Con le donne eh?
Te la prendi con le donne?» fece il giovanotto in canottiera. «Tu saresti l’amico?» E si fece sotto. «No, eh!»
minacciò, passando una mano rasente alla faccia di Antonio, per provocarlo. Per respingerlo Antonio sferrò un
pugno. Ma era un pugno maldestro, e colpì solo
una spalla di striscio. Il giovane non barcollò neppure. Rideva, sembrava divertirsi moltissimo; e cominciò a
saltellare, tutto proteso in avanti, come fanno i boxeurs, molinando i pugni. «Ecco, per piacere!» Il suo braccio
sinistro si allungò. Lentamente, si sarebbe detto, senza alcun impeto. Eppure Antonio, chissà perché, non riuscì a
evitarlo. Un colpettino dalla parte del fegato, un pugno dato per scherzo, pareva. Ma subito, tirando il fiato, egli
sentì un atroce dolore propagarsi nelle viscere: profondo, cupo, maligno. Gli mancò il respiro. «Per piacere! Per
piacere!» ridacchiò l’altro, facendogli ancora il verso. E allungò l’altro braccio. Il pugno toccò appena,
sembrava. Tuttavia, dopo un attimo, Antonio si piegò in due, gemendo. Poi dal fondo gli salì un senso orrendo di
nausea. Non vide più che una confusione di ombre. Retrocedette fino all’albero più vicino, per appoggiarsi.
Come si riebbe – ed erano passati pochi secondi – alla fontana stava succedendo qualche cosa di nuovo.
Anna non si era ancora ritirata dal centro. Tutta imbrattata di fango, la faccia tesa a una smorfia di affanno, ora
cercava di ripararsi con le mani, ora tentava di schizzare getti d’acqua contro chi la bersagliava. Ma si muoveva
con fatica, come per una grande stanchezza che la avesse sorpresa. Si teneva adesso in mezzo ai bimbi
calcolando che le mamme, per non rischiare di colpirli, avrebbero risparmiato anche lei. «Antonio, Antonio!»
chiamava «guarda come mi han ridotto! Dio come mi han ridotto!» Ripeteva meccanicamente questo grido e
pareva non sapesse dire altro. «Fuori! Fuori! Via di qui! Tieni questa!… Fuori!… Sei sporca? di’, sei sporca?
Fuori! fuori!… E tu Nini vien via… Venite via, bambini!» Così le donne. Infatti i bimbi cominciarono a ritirarsi,
lasciando l’Anna sempre più sola. Ormai, anche se l’Anna si fosse decisa a uscire, non sarebbe stata più una
cosa semplice. La avrebbero lasciata passare? Non si sarebbero accaniti
ancora? Dagli alberi intorno all’improvviso le cicale fecero uno strepito rabbioso e acuto, molto più forte di
prima; come se un terrore fosse passato tra le foglie. Quasi nello stesso istante un bambino di otto-nove anni,
eccitato dalle grida, si avvicinò all’Anna alzando una sua rudimentale barchetta di legno. Fattosi dappresso,
senza una parola, vibrò il giocattolo di forza contro uno stinco della ragazza. La chiglia, rinforzata da una striscia
di latta, urtò nell’osso con un colpo secco. Molte cose succedono in un minuto o due, molto riescono a fare gli
uomini in così piccolo spazio di tempo, anche se è caldo e i marci vapori delle risaie imputridiscono sulla grande
città, rendendo odiosa la vita. Un urlo volle uscire dalla gola della ragazza. Non ne venne fuori che il fiato senza
suono, una specie di sibilo. Nello spasimo lei abbrancò fulmineamente il bimbetto, scaraventandolo lungo
disteso nell’acqua. Per un istante la testa scomparve sotto la superficie. Dal bordo della vasca, rispose un urlo
bestiale,
orribile a udirsi. «Ammazza il mio bambino! Ammazza il mio bambino! Aiuto! aiuto!» Chi sentiva più il caldo?
Il pretesto sembrava meraviglioso. Niente ormai tratteneva il buttare fuori il fondo dell’animo: il sozzo carico di
male che si tiene dentro per anni e nessuno si accorge di avere. Un’agitazione frenetica prese le donne. Quella
dal volto volpino cominciò a saltellare, girando su se stessa, e gridava: «Boia! Boia! Boia!» senza alcun senso.
Qualche decina di metri più in là, con quel dolore al fianco che stentava a spegnersi, Antonio ansimava ancora.
Intravide soltanto la scena e non capiva. Ma ecco si accorse che la gente non parlava più come prima. Fino allora
aveva udito intorno parlare il solito dialetto della città, per lui facilmente comprensibile. Adesso,
inspiegabilmente, le bocche sembravano gonfiarsi, incespicando, e ne uscivano parole diverse, di suono rozzo ed
informe. Come se dai remoti pozzi della città fosse venuta su un’eco turpe e nera. La scellerata voce
dei bassifondi antichi all’improvviso riviveva, carica di delitti? Egli fu tra stranieri, in una terra lontana e
inspiegabile, a lui feroce. In quel mentre le grida s’accrebbero. E la gente scavalcò il bordo della fontana
irrompendo nell’acqua. Ci fu un groviglio. Poi tutti uscirono dalla vasca e per prima apparve l’Anna brutalmente
tenuta da due tre donne che la battevano. Era tutta lorda e scarmigliata, e il volto si era fatto terreo, con dentro un
mortale affanno. Piangeva? singhiozzava? gridava? Le urla coprivano la sua voce, né si poteva capire. Ogni
tanto, sotto i colpi, inciampava, ma le altre la trascinavano via, tenendole le braccia immobilizzate dietro la
schiena. Dove la conducevano? Antonio guardava sgomento. Intorno a lui solo volti imbestialiti, sguardi duri
che lo fissavano. Battendogli il cuore, corse a cercare una guardia. Lo raggiunse, mentre si allontanava, una
nuova esplosione di urla: «Alla gabbia!» gli parve che gridassero. Ma forse aveva capito male. Che cosa poteva
voler dire? Non aveva fatto duecento metri quando scorse due guardie municipali che si avvicinavano, attratte
dal baccano; ma senza fretta. Lui disse, e faticava a parlare: «Presto, per carità, ammazzano una ragazza!
L’hanno presa, la portano via!». I due lo guardarono con stupore, quasi non avessero capito; né accelerarono
minimamente il passo. La turba delle donne che trascinavano Anna veniva però incontro. La ragazza era ormai
un cencio, sembrava inebetita. «Mamma! mamma!» ripeteva senza interruzione. E quelle la sospingevano come
una bestia. Ma subito dietro veniva un altro gruppo, in maggioranza di donne, portando in trionfo un bambino.
Era il bambino che l’Anna aveva gettato nell’acqua. Sua mamma gli accarezzava le gambe. «Tonino, anima
mia!» gridava. «Tesoro! Chelle cnn che lev mmmmmm!» Dopo le prime parole tutto si disfaceva in un mugolio
incomprensibile. Le altre donne facevano di sì con la testa, approvando, battevano
le mani, poi una correva avanti, come non ci fosse un istante da perdere, e pestava i pugni sull’Anna, cercando di
farle più male possibile. Che cosa aspettavano le guardie? A passi incerti si erano affiancate al corteo, facendo
degli strani gesti con le mani. Un ometto gobbo si fece loro incontro. «L’abbiamo presa!» spiegò ansimando.
«Voleva mmegh n bemb ghh mmmm mmmm!» Anche a lui le parole si intorbidivano in quel tenebroso
mugolio. Le guardie impallidirono. Uno dei sorveglianti guardò allora Antonio, come volesse scusarsi. Ma il
volto costernato del giovane parve richiamarlo al dovere. Fece un segno al compagno per dirgli ch’era l’ora.
Quindi afferrò per un braccio una delle donne. «Un momento! Un momento!» intimò con voce malferma. La
donna non si voltò nemmeno. Una forza cupa ed enorme la trascinava via con le altre. Indecifrabili commenti si
intrecciavano. La guardia mollò la presa. I piedi sollevavano nembi di polvere misti a caldi fiati pestilenziali.
Spinsero Anna verso l’antico castello che sorgeva ai margini del giardino. Qui, appesa sopra il ponte levatoio e
sostenuta da una specie di argano, c’era una piccola gabbia in ferro, usata anticamente per mettere i delinquenti
alla gogna. Sembrava, contro il muro giallastro, un gigantesco pipistrello. Ci fu là sotto un ingorgo, entro cui
Anna sparve, poi si vide la gabbia oscillare, calando a sbalzi sulla folla. Le urla divennero trionfali. Pochi
minuti, ed ecco tendersi le funi, e la gabbia risalire con dentro una creatura umana: era vestita d’azzurro, era
inginocchiata, era scossa da singulti, le mani strette alle sbarre. E cento braccia erano tese verso di lei mentre
incomprensibili oggetti volavano per colpirla. Ma, come fu circa un metro sopra le teste, quella specie di antica
gru scricchiolò e cedette, girando l’asta di legno. E la fune, non più trattenuta, cominciò a scorrere, calando la
gabbia di là del ponte, entro il negro fossato del castello. Finché
la macchina con un cigolio, ristette, e la gabbia sbatté, fermandosi, contro la muraglia esterna, quattro metri sotto
il livello del terreno. Ululò la gente, con l’ansia di non restare defraudata. Lasciato il ponte, subito si addensava
lungo la ringhiera di ferro, e tutti si protendevano, guardando giù a picco. Qualcuno si mise a sputare. Dall’alto
si vedevano le esili spalle di Anna sussultare, la testa abbandonata in giù; sui capelli sconvolti piovevano terra,
ghiaia e sudicizia. «Guardala guardala» dicevano. «Non ha mica i cragghh craghh guaaaah!» E alzavano sopra le
spalle Tonino, il quale non capiva e si guardava intorno spaventato. Antonio finalmente riuscì a raggiungere il
parapetto del ponte. Ora poteva vedere la gabbia. «Anna! Anna!» cominciò a chiamare in mezzo a quell’inferno.
«Anna! Anna! Sono io!» Provò tre volte, poi qualcuno lo toccò a una spalla. Era un signore sulla cinquantina
dall’aria squallida e sconsolata; scuoteva il capo. «No, no»
disse, ed Antonio ebbe un moto di gratitudine nell’udire che parlava civilmente. «Per carità, non lo faccia!»
Antonio non comprese. «Che cosa? che cosa?» balbettò. L’altro scosse ancora la testa, portò l’indice alle labbra
per raccomandare silenzio. «Non lo faccia, no… È meglio che lei se ne vada, fa caldo qui, molto caldo…» «Io?
Io?…» chiese, tremando, e vide intorno sei sette facce orrende protendersi per ascoltare. Allora si ritirò dal
parapetto. Già si avvicinava il tramonto, senza fresco né consolazione. Le grida a poco a poco calavano, restò un
mormorio sordo e cupo, la folla lungo la ringhiera del fossato però non si muoveva. Poco discosto, coppie di
guardie ciondolavano su e giù nervosamente. Aspettavano che la gente se ne andasse? Così forse era stato
ordinato dalle autorità per evitare disordini. «Dio mio, che disgrazia» mormorava Antonio,
cercando
dopo parecchi minuti. Ma lontano dalla gabbia. Tentò ugualmente di chiamare: «Anna! Anna!». Lo riscosse un
colpo alla nuca. Era ancora il giovane in canottiera. «Sei qui, sei qui tu?» fece con un sorriso velenoso. «Non ti
bst bst cedìn ghaaaah!» E ruppe in un gorgoglio inarticolato. «È il complice, arrestatelo! Face guisc guisc
ellèh… mmm… mmmm!» gridarono. «Anche lui!» propose uno. Risposero: «Anche lui». Antonio tentò di
allontanarsi. Fu afferrato, lo tennero. Gli legarono i polsi, d’impeto fu rovesciato di là della balaustra, restò
appeso nel fossato, trattenuto a una corda. Così venne strascinato lungo la muraglia, fin sopra la gabbia: qui
mollarono. Cadde di schianto sul fondo, pestando un piede dell’Anna che non si mosse. Sopra di loro tuonò un
muggito selvaggio. La luce del giorno diminuiva. Slegatosi con fatica, Antonio cinse le spalle di lei, sentì sotto
le dita il viscido che la imbrattava.
Anna continuava a tenere giù la testa. «Mamma, mamma» andava ripetendo senza espressione. Poi prese a
tossire e si scuoteva tutta. In alto ancora vociavano. Ormai sazi o con un certo disgusto molti si allontanarono. I
rondoni del crepuscolo stridevano intorno al castello. Da una lontana caserma si udì anche la tromba della
ritirata. Sulla città pulverulenta era scesa infine la sera. Quand’ecco arrivare una vecchia con un grosso involto; e
rideva felice. «Tonino! Tonino!» gridò facendo segno al pacco come se annunciasse una cosa bellissima. La
calca si aprì, lasciandola passare. Come fu presso la balaustra, la vecchia dischiuse il fagotto, mostrando un
piccolo vaso; e l’abbassò affinché tutti potessero vedere dentro. «Tonino, Tonino» ripeteva, facendo cenno al
contenuto. Poi si sporse dalla ringhiera, tese un braccio col vaso sopra la gabbia, calcolò la mira. Disse: «Non se
la meriterebbe neanche!». La materia piombò, con flaccido scroscio, sulle
spalle di Anna. Ma lei non si mosse, non protestò. Si udì soltanto la sua tosse, profonda e secca, che non riusciva
a liberarsi. Nella turba ci fu un attimo di indecisione. Poi, la vecchia sghignazzando, si allargò una risata. Nel
silenzio che seguì, dal muro del fossato a cui la gabbia appoggiava, proprio in corrispondenza, giunse il tremulo
richiamo di un grillo. Cri-cri, pareva si avvicinasse. Attraverso le sbarre, Anna tese adagio verso il grillo una
piccola mano tremante, come chiedendo aiuto.

Brani Tratti dal Libro Sessanta Racconti di Dino Buzzati

«Discendere al secondo?» fece Giuseppe Corte, pallido come un morto. «Io dovrei così scendere al secondo?»
«Ma certo. E che cosa c’è di strano? Quando torniamo, fra quindici giorni, lei ritornerà in questa stanza. Non mi
pare che ci sia da spaventarsi.» Invece Giuseppe Corte – un misterioso istinto lo avvertiva – fu invaso da una
crudele paura.

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 768
«Purtroppo però» aggiunse il medico «purtroppo il professor Dati proprio un’ora fa è partito per una breve
licenza, non tornerà che fra due giorni. Sono assolutamente desolato, ma i suoi ordini non possono essere
trasgrediti. Sarà lui il primo a rammaricarsene, glielo garantisco… un errore simile! Non capisco come possa
essere accaduto!»

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 772
risuonavano lenti e disperati per la stanza. Giunse così, per quell’esecrabile errore, all’ultima stazione. Nel
reparto dei moribondi lui, che in fondo, per la gravità del male, a giudizio anche dei medici più severi, aveva il
diritto di essere assegnato al sesto, se non al settimo piano! La situazione era talmente grottesca che in certi
istanti Giuseppe Corte sentiva quasi la voglia di sghignazzare senza ritegno.

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 781
Uscita che fu l’infermiera, passò un quarto d’ora di completo silenzio. Sei piani, sei terribili muraglie, sia pure
per un errore formale, sovrastavano adesso Giuseppe Corte con implacabile peso. In quanti anni, sì, bisognava
pensare proprio ad anni, in quanti anni egli sarebbe riuscito a risalire fino all’orlo di quel precipizio? Ma come
mai la stanza si faceva improvvisamente così buia? Era pur sempre pomeriggio pieno. Con uno sforzo supremo
Giuseppe Corte, che si sentiva paralizzato da uno strano torpore, guardò l’orologio, sul comodino, di fianco al
letto.

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 858
L’ho rivisto più tardi, sempre uguale, che si allontanava ancora per uno di quei budelli, non verso il mare ma
verso l’interno. Non gli sono più corso dietro. Sono rimasto fermo a guardarlo, con una vaga tristezza, finché è
sparito in un vicolo laterale. Che cosa voleva da me? Dove voleva condurmi? Non so chi tu sia, se uomo,
fantasma, o miraggio, ma temo che ti sia sbagliato. Non sono, ho paura, colui che tu cerchi. La faccenda non è
molto chiara ma mi pare di avere capito che tu vorresti condurmi più in là, ogni volta più in là, sempre più nel
centro, fino alle frontiere del tuo incognito regno.
Evidenziazione (Giallo) | Posizione 866

Ma la mia anima è deprecabilmente timida, invano la redarguisco, le sue ali tremano, i suoi dentini diafani
battono appena la si conduce verso la soglia delle grandi avventure. Così sono fatto, purtroppo, e ho davvero
paura che il tuo re sprechi il suo tempo ad aspettarmi nel palazzo bianco in mezzo al deserto, dove
probabilmente sarei felice.

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 1054
«Oh no! no!» proruppe infine la signora Maria, esasperata. «Oh, non voglio! I miei fiori, le mie belle cose, non
voglio, non voglio!» la sua bocca ebbe un tremito, la faccia si contrasse quasi scomponendosi, ella stava per
cedere. Poi con uno sforzo meraviglioso, sorrise. La sua maschera mondana era intatta, salvo il suo
raffinatissimo incanto. «Me la ricorderò, signora» incrudelì Massigher, odiandola sinceramente. «Me la
ricorderò sempre questa vostra villa. Com’era bella nelle notti di luna!» «Presto, un mantello, signora» insisteva
Martora rivolto alla padrona di casa. «E anche tu, Stefano, prendi qualcosa da coprirti. Andiamo prima che
manchi la luce.»

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 1063
«Non voglio, non voglio!» Pallida anche lei come la morte, una piega dura segnata sul volto, ella avanzò a passi
ansiosi verso il tendaggio che palpitava. E faceva di no col capo: per significare che lo proibiva, che adesso
sarebbe venuta lei in persona e l’acqua non avrebbe osato passare. La videro scostare i lembi sventolanti della
tenda con gesto d’ira, sparire al di là nel buio, quasi andasse a cacciare una turba di pezzenti molesti che la
servitù era incapace di allontanare. Col suo aristocratico sprezzo presumeva ora di opporsi alla rovina, di
intimidire l’abisso?

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 1068
Ella sparì dietro il tendaggio, e benché il rombo funesto andasse crescendo, parve farsi il silenzio. Fino a che
Massigher disse: «C’è qualcuno che batte alla porta». «Qualcuno che batte alla porta?» chiese il Martora. «Chi
volete che sia?» «Nessuno» rispose Massigher. «Non c’è nessuno, naturalmente, oramai. Pure battono alla porta,
questo è positivo. Un messaggero forse, uno spirito, un’anima, venuta ad avvertire. È una casa di signori, questa.
Ci usano dei riguardi, alle volte, quelli dell’altro mondo.»

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 1112
Si affrettò alla cucina. E Giovanni rimase coi due fratelli tanto più giovani di lui. Non si sarebbero neppure
riconosciuti se si fossero incontrati per la strada, che cambiamento nello spazio di due anni. Ora si guardavano a
vicenda in silenzio, senza trovare le parole, ma ogni tanto sorridevano insieme, tutti e tre, quasi per un antico
patto non dimenticato. Ed ecco tornare la mamma, ecco il caffè fumante con una bella fetta di torta. Lui vuotò
d’un fiato la tazza, masticò la torta con fatica. “Perché? Non ti piace più? Una volta era la tua passione!” avrebbe
voluto domandargli la mamma, ma tacque per non importunarlo.

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 1139
«No, no!» esclamò pure il soldato, accortosi del gesto del ragazzo. Ma ormai troppo tardi. I due lembi di panno
azzurro si erano dischiusi un istante. «Oh, Giovanni, creatura mia, che cosa ti han fatto?» balbettò la madre,
prendendosi il volto tra le mani. «Giovanni, ma questo è sangue!» «Devo andare, mamma» ripeté lui per la
seconda volta, con disperata fermezza. «L’ho già fatto aspettare abbastanza. Ciao Anna, ciao Pietro, addio
mamma.» Era già alla porta. Uscì come portato dal vento. Attraversò l’orto quasi di corsa, aprì il cancelletto, due
cavalli partirono al galoppo, sotto il cielo grigio, non già verso il paese, no, ma attraverso le praterie, su verso il
nord, in direzione delle montagne. Galoppavano, galoppavano. E allora la mamma finalmente capì, un vuoto
immenso, che mai e poi mai i secoli sarebbero bastati a colmare, si aprì nel suo cuore. Capì la storia del
mantello, la tristezza del figlio e soprattutto chi fosse il misterioso individuo che passeggiava su e giù per la
strada, in attesa, chi fosse quel sinistro personaggio fin troppo paziente. Così misericordioso e paziente da
accompagnare Giovanni alla vecchia casa (prima di condurselo via per sempre), affinché potesse salutare la
madre; da aspettare parecchi minuti fuori del cancello, in piedi, lui signore del mondo, in mezzo alla polvere,
come pezzente affamato.

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 1183
Un bel giorno non so più per che delusione d’amore si è ritirato in campagna. Poi deve essergli capitata un’altra
disgrazia ed è venuto a rintanarsi quassù. Ancora un’altra disgrazia e chissà dove andrà a finire; diventerà anche
lui una specie di drago!»

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 1222
Tacquero, tendendo le orecchie. Non si udiva che lo smisurato silenzio delle montagne, toccato da qualche
sussurro di ghiaia. Ora a destra ora a sinistra una cornice di terra si rompeva improvvisamente, e sottili rivoli di
sassolini cominciavano a colare, estinguendosi con fatica. Ciò dava al paesaggio un aspetto di perenne rovina;
montagne abbandonate da Dio, parevano, che si disfacessero a poco a poco.

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 1362
Nessuno aveva risposto al suo grido, in tutto il mondo non si era mosso nessuno. Le montagne se ne stavano
immobili, anche le piccole frane si erano come riassorbite, il cielo era limpido, neppure una minuscola nuvoletta
e il sole andava calando. Nessuno, né bestia né spirito, era accorso a vendicare la strage. Era stato l’uomo a
cancellare quella residua macchia del mondo, l’uomo astuto e potente che dovunque stabilisce sapienti leggi per
l’ordine, l’uomo incensurabile che si affatica per il progresso e non può ammettere in alcun modo la
sopravvivenza dei draghi, sia pure nelle sperdute montagne. Era stato l’uomo ad uccidere e sarebbe stato stolto
recriminare.
Evidenziazione (Giallo) | Posizione 1367

Ciò che l’uomo aveva fatto era giusto, esattamente conforme alle leggi. Eppure sembrava impossibile che
nessuno avesse risposto alla voce estrema del drago. Andronico, così come sua moglie e i cacciatori, non
desiderava altro che fuggire; persino i naturalisti rinunciarono alle pratiche dell’imbalsamazione, pur di
andarsene presto lontani.

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 2173
E con amarezza considerava come tutta la sua vita fosse stata così: niente in fondo gli era mancato ma ogni cosa
sempre inferiore al desiderio, una via di mezzo che spegneva il bisogno, mai gli aveva dato piena gioia.

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 2266
Egli abbassò la testa come per dire di sì; senza rialzarla. Lui vero uomo, finalmente, non meschino. Eroe, non
già verme, non confuso con gli altri, più in alto adesso. E solo. La testa pendeva sul petto, come si conveniva
alla morte, e le raggelate labbra continuavano a sorridere un poco, significando disprezzo, ti ho vinto miserabile
mondo, non mi hai saputo tenere.

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 2516
deserto si muoveva. Piccole frane smottavano

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 2676
Vorrei che tu venissi da me in una sera d’inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle
strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo.

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 2719
Ma tu – adesso ci penso – sei troppo lontana, centinaia e centinaia di chilometri difficili a valicare. Tu sei dentro
a una vita che ignoro, e gli altri uomini ti sono accanto, a cui probabilmente sorridi, come a me nei tempi passati.
Ed è bastato poco tempo perché ti dimenticassi di me. Probabilmente non riesci più a ricordare il mio nome. Io
sono ormai uscito da te, confuso fra le innumerevoli ombre. Eppure non so pensare che a te, e mi piace dirti
queste cose.

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 3583
Ma un altro ragno ancora più formidabile stava, in un vicino varco della siepe, al centro della sua tela.
Assomigliava a Moloc, oppure anche al dragone, il serpente antico, che porta il nome di Satana. Nel grande
splendore della vita esso regnava, sazio ed immobile, in quel pezzetto di mondo.

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 3627
In ginocchio sul prato, monsignore era chino sopra quel dolore irrimediabile. Dio, che cosa aveva fatto! Poco era
bastato, un piccolo scherzo sperimentale, a rovinare una vita. Così egli stava pensando, quando notò che il ragno
lo guardava: dai suoi occhietti inespressivi qualcosa di duro e cocente saliva fino a lui. Si accorse pure che il sole
era disceso: alberi e siepi si facevano misteriosi fra lanugini di nebbia, aspettando. E adesso chi si muoveva alle
sue spalle? Chi sussurrava piano piano il suo nome? No, pareva proprio che non ci fosse nessuno.

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 3794
«Perché era la grazia che ti sosteneva. E la grazia dell’Onnipotente non risparmia. Sei guarito ma non sei più lo
stesso di una volta. Di giorno in giorno, mentre la grazia lavorava in te, senza saperlo tu perdevi il gusto della
vita. Tu guarivi, ma le cose per cui smaniavi di guarire a poco a poco si staccavano, diventavano fantasmi, cimbe
natanti sopra il mar degli anni! Io lo sapevo. Credevi di essere tu a vincere, e invece era Dio che ti vinceva.

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 3797
Così hai perso per sempre i desideri. Sei ricco ma adesso i soldi non ti importano, sei giovane ma non ti
importano le donne. La città ti sembra un letamaio. Eri un gentiluomo, sei un santo, capisci come il conto torna?
Sei nostro, finalmente, Mseridon! L’unica felicità che ti rimane è qui tra noi, lebbrosi, a consolarci… Su,
sentinella, chiudi pure la porta, noi rientriamo.» La sentinella tirò a sé il battente. 28

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 3933
L’avrebbe poi guardata? «No, no, sta attento, don Antonio, non fidarti, non sai quel che potrà essere di te» gli
mormorò la noiosa voce che nelle ore vili sorge nel profondo di noi, rimproverando. Però egli udì anche l’altra
voce, quella indulgente, accomodante, amica, che dà ragione quando il coraggio ci abbandona. E diceva così:
«Di che hai paura, reverendo? Di una innocente nuvoletta? Se tu non la guardassi, allora sì sarebbe per te un
brutto segno, vorrebbe dire che sei sporco dentro. Una nuvola, pensa, come potrebbe essere colpevole?
Guardala, reverendo, come è bella!».

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 4034
Con le due mani alzò il giocattolo e di tutta forza lo scaraventò per terra, poi coi calcagni gli saltò sopra,
sfondandolo. Divelto il tetto, il camioncino si schiantò e le bottigliette si sparsero per terra. Qui

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 4036
Giorgio all’improvviso si arrestò, cessò di urlare, si chinò a esaminare una delle due pareti interne del veicolo,
afferrò un’estremità del clandestino spago messo dal nonno alla saracinesca. Inviperito, si guardò intorno, livido:
«Chi?» balbettò. «Chi è stato? Chi ci ha messo le mani? Chi l’ha rotto?» Si fece avanti il nonno, il vecchio
combattente, un poco chino. «O Giorgino, anima mia» supplicò la mamma. «Sii buono. Il nonno non l’ha fatto
apposta, credi. Perdonagli. Giorgino mio!» Intervenne anche la nonna: «Ah, no, creatura, hai ragione tu… Fagli
totò al brutto nonno che ti rompe tutti i giocattoli… Povero innocente. Gli rompono i giocattoli e poi ancora
vogliono che sia buono, poverino. Fagli totò al brutto nonno!». Di colpo Giorgio ritornò tranquillo. Guardò
lentamente le facce ansiose che lo circondavano. Il sorriso gli ricomparve sulle labbra. «L’ho detto io» fece la
mamma; «l’ho sempre detto che è un angelo! Ecco che Giorgio ha perdonato al nonno! Guardatelo, che stella!»
Ma il bimbo li esaminò ancora ad uno ad uno; il padre, la mamma, il nonno, la nonna, le due cameriere. «E
guardàtelo che stella… e guardàtelo che stella!…» cantarellò, facendo il verso. Diede un calcio alla carcassa del
camioncino che andò a sbattere nel muro. Poi si mise freneticamente a ridere. Rideva da spaccarsi. «E
guardàtelo che stella!» ripeté beffardo, uscendo dalla stanza. Terrificati, i grandi tacquero.
Evidenziazione (Giallo) | Posizione 4401
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Evidenziazione (Giallo) | Posizione 4651
servito?» Don Pietro non parlò. Si limitò a fare un gesto con la destra, sconsolato, come per dire: che vuoi?
siamo fatti così, peccatori siamo, poveri vermi peccatori che hanno bisogno della pietà di Dio. E qui cadde in
ginocchio, coprendosi la faccia con le mani. Quanto

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 4663
piano, quasi per miracolo, il disco si staccò dal tetto, alzandosi come fosse un palloncino: poi prese a girare su se
stesso, partì a velocità incredibile, su, su in direzione dei Gemelli.) “Oh” continuava a brontolare il prete “Dio
preferisce noi di certo! Meglio dei porci come noi, dopo tutto, avidi, turpi, mentitori, piuttosto che quei primi
della classe che mai gli rivolgon
Evidenziazione (Giallo) | Posizione 4665
la
Evidenziazione (Giallo) | Posizione 4665
parola. Che soddisfazione può avere Dio da gente simile? E che significa la vita se non c’è il male, e il rimorso,
e il pianto?” Per la gioia, imbracciò lo schioppo, mirò al disco volante che era ormai un puntolino pallido in
mezzo al firmamento, lasciò partire un colpo. E dai remoti colli rispose l’ululio dei cani.

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 4929
Di nuovo, a queste mie parole, la faccia della mamma si cambiò. Tornarono l’allegrezza ed il sorriso (il quale
però non emanava più luce come prima). «No, no, non andare a prendere i bagagli, mi sono espressa male»
supplicò. «Io scherzavo, sai. Io ti capisco. Non puoi fermarti in questo povero paese. Per me non val la pena. Per
me non devi perdere neanche un’ora. È molto meglio che tu riparta subito. Assolutamente. È il tuo dovere…
Desideravo una sola cosa: rivederti. Ti ho rivisto, adesso son contenta…»

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 4933
Chiamai: «Facchino, facchino! (un facchino spuntò immediatamente) Ci sono da scaricare tre valige!». «Macché
valige» ripeté la mamma. «Un’occasione come questa non tornerà mai più. Tu sei giovane, hai da fare la tua
strada. Presto, sali in vettura. Va, va» e sorridendo con fatica immensa mi spingeva debolmente verso il treno.
«Per carità fa presto, stanno chiudendo gli sportelli.» Non so come, con tutto il mio egoismo mi ritrovai nello
scompartimento e mi sporgevo dal finestrino aperto, gesticolando per gli ultimi saluti. Fuggendo il treno, lei ben
presto divenne ancora più piccola di quello che effettivamente era, una figurina afflitta e immobile sul deserto
marciapiedi, sotto la neve che cadeva. Poi divenne un punto nero senza volto, una minuscola formica nella
vastità dell’universo; e subito svanì nel nulla. Addio.

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 4941
Qua e là, negli angoli degli scompartimenti bui, siedono degli sconosciuti dalle facce pallide e dure che hanno
freddo e non lo dicono.

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 4942
Per dove? Quanto è lontana l’ultima stazione? Ci arriveremo mai? Valeva la pena di fuggire con tanta furia dai
luoghi e dalle persone amate? Dove, dove ho messo le sigarette? ah, qui nella tasca della giacca. Certo, tornare
indietro non si può.

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 5428
Ma, non visto da alcuno, avanzava alle spalle, libero e solo, Panzer, il cane lupo del garage vicino, il fuorilegge,
che Tronk aveva fino a quella sera tenuto a bada col suo solo aspetto. Anche lui veniva in certo modo a
vendicarsi. Perché mai Tronk lo aveva provocato né gli aveva fatto male, eppure la sua semplice presenza era
stata un oltraggio quotidiano, difficile da mandare giù. Troppe volte lo aveva visto passare, dinoccolato, davanti
all’ingresso del garage, e guardare dentro con proterva grinta come per dire: “C’è mica nessuno qui, alle volte,
che abbia voglia di attaccare lite?”. Il professore se ne accorse tardi. «Ehi»

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 5478
Oggi invece, o amici, è una battaglia. La città è fatta di cemento e di ferro, tutta a spigoli duri che si innalzano a
picco e dicono: qui no, qui no. Di ferro bisogna essere anche noi, per viverci, e nell’interno del corpo non avere
viscere tènere e calde, bensì blocchi di calcestruzzo, una pietra scabra del peso di un chilogrammo virgola due al
posto del cosiddetto cuore, ridicolo strumento démodé.

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 5483
Perciò mi sveglio alle sei e mezzo, alle sette al più tardi: lavarsi, farsi la barba, la doccia, una tazza di tè bevuta a
strangolone, poi via di gran carriera, pregando Iddio che i semafori siano tutti verdi. Eccoci. Con la miserabile
ansia degli schiavi, il mio prossimo, uomini e donne, formicola già per le strade del centro, anelando a entrare il
più presto possibile nella sua prigione quotidiana. (Seduti ai tavoli e ai deschetti dattilografici, un poco curvi,
ahimè, guardateli fra poco, migliaia e migliaia, costernante uniformità di vite che dovevano essere romanzo,
azzardo, avventura, sogno, ricordate i discorsi fatti da ragazzi al parapetto dei fiumi che di sotto andavano verso
gli oceani?)

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 5560
Da quando è proibita la poesia, certamente la vita è assai più semplice da noi. Non più quella rilassatezza
d’animo, né quelle morbose eccitazioni, né l’indulgenza ai ricordi, così insidiosi per l’interesse collettivo. La
produttività, ecco la sola cosa che veramente conti, e davvero non si riesce a concepire come per millenni
l’umanità abbia ignorato questa verità fondamentale.

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 5815
Incuriosito, lesse: “Che baggianate, che ridicole idiozie. Chissà quando mai le ho scritte?” si chiese, cercando
invano nei ricordi, con un senso di fastidio e di smarrimento mai provato, e si passò una mano sui capelli oramai
grigi. “Quando ho potuto scrivere delle sciocchezze simili? E chi era questa Ornella?”

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 6331
desiderio sicuro di essere appagato ma non ancora praticamente soddisfatto, l’attesa insomma che non ha più
timori e dubbi e che rappresenta probabilmente l’unica forma di felicità concessa all’uomo), come la primavera,
che è una promessa, rallegra gli uomini più dell’estate che ne è il compimento sospirato, così il pregustare con la
fantasia lo splendore del poema ignoto, equivale, anzi supera il godimento artistico della diretta e profonda
conoscenza. Si dirà che questo è un gioco della immaginazione un po’ troppo disinvolto, che così si apre la porta
alle mistificazioni e ai bluffs. Eppure, se ci si guarda indietro, constatiamo che le più dolci e acute gioie non
hanno mai avuto un più solido costrutto.

Evidenziazione (Giallo) | Posizione 6426
questa, per un direttore d’orchestra, l’esperienza più angosciosa. La partecipazione di chi sta ascoltando per
inesplicabili ragioni viene meno. Misteriosamente, egli se ne accorge subito. Allora l’aria stessa sembra
diventare vuota, quei mille, duemila, tremila arcani fili, tesi fra gli spettatori e lui, da cui gli vengono la vita, la
forza, l’alimento, si afflosciano o dissolvono. Finché il maestro resta solo e nudo su un deserto gelido, a
trascinare faticosamente un’armata che non gli crede più