venerdì 25 dicembre 2015

Sono cattedrali, grandiose e pure, i templi della mia religione

"Le montagne non sono stadi dove soddisfo la mia ambizione di arrivare. Sono cattedrali, grandiose e pure, i templi della mia religione" -Anatoli Boukreev

ma con te stesso, con la tua debolezza e la tua inadeguatezza.

"Le grandi montagne sono un mondo compleatamente a parte: neve, ghiaccio, roccia, cielo e aria sottile. Queste cose non puoi conquistarle, puoi solo elevarti alla loro altezza per poco tempo e in cambio esse ti chiedono molto. La tua lotta non è contro un nemico, o con un concorrente, come nello sport, ma con te stesso, con la tua debolezza e la tua inadeguatezza. Questa è una lotta che mi attrae ed è per questo che sono diventato un alpinista.
Ogni montagna è diversa dalle altre, ognuna è una vita differente che hai vissuto.
Arrivi in cima dopo aver rinunciato a tutto quello che credevi necessario alla sopravvivenza e ti trovi solo con la tua anima. In quel vuoto puoi riesaminare, in un ottica diversa, te stesso e tutti i rapporti e gli oggetti che fanno parte del mondo normale."

lunedì 14 dicembre 2015

Brani tratti dal LIBRO EVEREST 1996 di Anatolij Bukreev, Gary Weston Dewalt

Brani tratti dal LIBRO EVEREST 1996 di Anatolij Bukreev, Gary Weston Dewalt
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Anarolij Nikolaievic Bukreev prese infine una decisione che alcuni in seguito giudicarono suicida: decise di tentare comunque il soccorso, di arrischiarsi da solo nella tempesta di neve, nel buio più fitto, in mezzo a un frastuono che uno dei sopravvissuti descrive come “cento treni che ti passano sopra la testa”. Il risultato degli sforzi di Bukereev venne descritto dall’alpinista scrittore Gallen Rowell come “una delle più incredibili azioni di soccorso nella storia dell’alpinismo”
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“la fine di una strada è solo l’inizio di una nuova, ancora più lunga e più difficile” Bukreev
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In seguito Bukreev disse " Non c'é abbastanza fortuna per tutti, nel mondo. Quella notte toccò a me la fortuna di qualcun'altro"
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“Sono cresciuto alpinisticamente nella tradizione della scuola russa di alpinismo d’alta quota, dove si mettevano in primo piano lo sforzo collettivo e il lavoro di squadra, mentre le ambizioni personali erano relegate in second’ordine. L a nostra pratica di allenamento degli alpinisti consisteva nello sviluppare la loro esperienza e confidenza con la montagna in tempi lunghi, cominciando con montagne relativamente basse e promuovendoli agli ottomila quando erano pronti.”
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“Per la mia esperienza di istruttore di alpinismo e sci alpinismo sapevo quanto è importante incoraggiare il più possibile l’autosufficienza”
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Bukreev era molto attaccato alle sue formule; aveva la disciplina di un atleta  olimpionico e la concentrazione di un campione di pilotaggio che tiene sotto controllo i suoi riflessi e allo stesso tempo segue attentamente tutto quello che succede fuori dalla carlinga. La sua attenzione era concentrata soprattutto sull’esenziale, su ciò che serve per mantenere in vita.
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La furia del vento si era trasformata in un bisbilgio. Dice Burkreev “ Sembrava che la montagna,ci facesse segno col dito e sussurrasse, venite, venite!”
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“Si trovavano ormai nella “Zona della Morte” quel tratto verticale tra il campo 4 e la vetta dell’EVEREST dove l’esposizione prolungata al freddo e alla mancanza di ossigeno costituiscono un serio pericolo per qualsiasi tipo di fisico. Sostare al campo 4 è gradevole come fare pic-nic in un campo minato
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L’Hillary Step è un’impennata della cresta sud est, una torre rocciosa alta circa dieci metri che sporge abbastanza da poter essere vista da Thyangboche. Alcuni clienti do Mountain Madness l’avevano esaminata da là attraverso la lente del teleobbiettivo. Per gli alpinisti che arrivano alla base dopo dodici ore di salita è una prova fisica e psicologica molto severa. Esausti, costretti a respirare tre o quattro volte ad ogni passo, i salitori si trovano faccia a faccia con una parete ripida, minacciosa e scoraggiante. E’ questo il punto in cui molti decidono di tornare indietro.
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Era come se mi passasse sulla testa un treno da cento tonnellate: una persona  un metro e mezzo più in là non avrebbe sentito niente.
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Purtroppo Lopsnag Jangbu Sherpa non visse abbastana a lungo da rinconcialirsi con l’idea della morte di Scotti Fischer. Meno  di quattro mesi dopo la morte del suo amico, Lopsang perse la vita, travolto da una valanga durante una spedizione al Lhotse.
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“Quando poi si è su, in alto, si può bestemmiare e lamentarsi oppure bisogna affrontare le cose come sono. Le dozzine di conversazioni in cui ero stato rassicurato sull’attrezzatura di cui avrei avuto bisogno, adesso non avevano più alcun valore”
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“ Ma non posso garantire il successo a nessuno né garantire la sicurezza assoluta perché la complessità delle circostanze naturali e la debilitazione fisica possono colpire chiunque in alta quota. Io per me accetto l’idea che in montagna posso morire”

giovedì 10 dicembre 2015

Anatolij Bukreev

Anatolij Bukreev è morto in montagna, travolto da una valanga sull'Annapurna il giorno di natale 1997. Era nato a Korkino Urali, trentanove anni prima. Laureato in fisica e campione della squadra di alpinismo sportivo dell'Unione Sovietica e aveva preso la residenza ad Alma Ata, nel Kazakistan. Dopo la disgregazione dell'Unione Sovietica viveva prevalentemente negli Stati Uniti e lavorava come guida in Himalaya. Aveva al suo attivo oltre a un centinaio di scalate in Caucauso, Pamir e Tien Shan e venti salite su cime di ottomila metri, quasi tutte compiute senza ossigeno, molte, da solo e in tempi record. Sull'Everest era salito quattro volte. Per l'azione di salvataggio compiuta sull'Everest nel 1996, gli è stato conferito dall'American Alpine Club il David Sowles Award.