lunedì 11 gennaio 2016

Una Vita di Massimo Fini


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Gli emigres russi quando erano al verde, cioè quasi sempre, e non avevano soldi per la vodka, si facevano versare nei bicchierini da vodka acqua ghiacciata. La cosa curiosa, come raccontava mia madre, è che finivano per ubriacarsi lo stesso.-
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Questo popolo immenso e affascinante, che è tutto e il contrario di tutto, sentimentale e crudele, generoso e avido, ospitale e infido, orgoglioso e masochista, scialacquatore, malinconico, fatalista, indolente, sognatore, melodrammatico (più dramma che melo), supremamente bugiardo, e comunque in ogni aspetto eccessivo. Ma una cosa non ha: il cinismo italico, roman-andreottiano. Che è sempre mancato anche a me.
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Politicamente il sessantotto, per prendere a prestito un’espressione di Luigi Einaiudi usata per la massoneria, fu una cosa “comica e camorristica”. Figli della borghesia che avrebbero dovuto spazzar via la borghesia. Una cosa che avrebbe fatto rivoltare nella tomba il buon Marx.
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“Noi lavoriamo per delle aziende ma siamo innanzitutto delle persone e questo non bisogna mai dimenticarlo. Vedrà che questa esperienza in Pirelli, che ora le sembra negativa, le servirà perché, col andar degli anni, ci si accorge che tutto serve nella vita e nulla è stato inutile. Sono sciuro,  e non glielo dico per dire, che lei saprà trovare la sua strada” Era il 1969. E questo era lo stile di una grande e antica azienda milanese che era rimasta in mano alla famiglia del fondatore. Lo stile dei “cummenda” e di loro collaboratori, il cui obbiettivo principale era certamente il profitto ma rimanevano degli esseri umani. Poi sarebbero arrivati i manager.
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A me interessava sempre, solo e semplicemente l’uomo. Nelle miglia glia di pagine scritte da Massimo Fini vanamente cerchereste anche un solo brano dedicato alla politica in senso stretto. Anche quando era all’Europeo mentre i suoi colleghi facevano a spallate per seguire i grandi eventi, lui preferiva raccontare storie, insolite bizzarre della cronaca italiana. Il fotografo che in Vietnam, durante la guerra, era stato il principe dei reporter, il più coraggioso, ma che tornato in Italia si trovò ad avere a che fare con un nemico molto più insidioso dei vietcong, la canea dei paparazzi romani, non resse questa concorrenza e ci impiccò in un buio e squallido scantinato.
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Penso che un pizzico di verità, se mai esiste, o comunque di umanità si trovi più facilmente nel mondo della miseria, del dolore e dell’emarginazione che nei luoghi di lusso, o più borghesemente, all’Ikea o negli outlet dove compunte famiglie vanno a consumare le loro domeniche.
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Io mi sono sempre sentito un vinto dalla vita. Anche quando l’ho avuto mi sono comunque definito un fallito di successo. C’è in me  uno spleen, una malinconia di fondo, un mal de vivre che mi accompagna da quando ho l’età della ragione e forse anche prima.
Per me la questione di fondo, irrisolta, che altri potranno giudicare puerile, è sempre stata la mancanza di senso. Il senso l’ho cercato per tutta la vita, ma non sono stato capace di trovarlo. Ho provato a riempire il vuoto con l’iperattività. Molti ricorrono alla fede. Io sono troppo razionale per aderire.
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Nel titolo la ragione aveva torto? Ho voluto conservare il punto interrogativo, com’era in origine.  Perché uno dei portati fecondi dell’illuminismo è l’esercizio sistematico del dubbio. E il dubbio si esercita innanzitutto verso se stessi. Io non pretendo di avere ragione. Pongo dei dubbi, faccio delle domande, mi chiedo e chiedo se la strada che, dopo la rivoluzione industriale abbiamo imboccato con tanta orgogliosa sicurezza possa essere ancora considerata quella giusta e, soprattutto, se non sia il caso di cogliere alcune suggestioni del passato, senza per questo tornare al medioevo né, tantomeno al buon selvaggio vagheggiato da Rousseau, che non è mai esistito. L’altro principio secondo me, irrinunciabile dell’Illuminismo è contenuto nella frase di Voltaire “ Non sono d’accordo con le tue, ma difenderò sino alla morte il tuo diritto ad esprimerle”. Ma gli eredi dell’Illuminismo sembrano aver dimenticato questi principi basilari, imponendo in modo acritico, senza ammettere obiezioni, quello che ormai non è nemmeno più un pensiero ma un meccanismo, scientifico, tecnologico, produttivo ed economico, che credono di guidare ma di cui sono solo le mosche cocchiere. Che va per conto suo e che come un treno, senza più macchinista, lanciato a una velocità crescente prima o poi, andrà fatalmente a sbattere. Insieme a tutto il suo carico.
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Sgarbi non è cattivo, è solo infantile, e che per una battuta, come Oscar Wilde sarebbe disposto a tutto, si profuse in scuse ma concluse “ comunque resto dell’idea che stronzo sia più poetico di arbusto”
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Credo che i protagonisti della cosiddetta rivoluzione italiana che abbatté la prima repubblica siano stati quattro: Di Pietro, Bossi, il Feltri dell’Indipendente e Funari con Mezzogiorno Italiano. Di Pietro è stato massacrato, Bossi inglobato, Feltri comprato, Funari emarginato.
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Considero Silvio Berlusconi deleterio nella storia del nostro paese, perché col supporto dei suoi servi liberi, ha contribuito a togliere agli italiani quel poco di senso della legalità e oserei dire anche dignità, che gli era restato.

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