mercoledì 1 aprile 2015

Jean Paul Sartre LA NAUSEA

Un giovane senza importanza collettiva è soltanto un individuo
 
M’è accaduto qualcosa non posso più dubitarne. E’ sorta in me una malattia, non come una certezza ordinaria, non come un’evidenza. S’è insinuata subdolamente, a poco a poco; mi sono sentito un po’ strano, un po’ impacciato, ecco tutto. Una volta installata non s’è più mossa, è rimasta cheta, ed io ho potuto persuader miche non avevo nulla, ch’era un falso allarme. Ma ecco che ora si espande.
 
“nel 1787, in una locanda a Moulins, moriva un vecchio, amico di Diderot,  e formato dai filosofi. I preti dei dintorni erano stremati: avevano tentato di tutto, invano; il brav’uomo non voleva i sacramenti, era un panteista. Trovandosi a passere di là, il signor Rollebon, che non credeva a niente, scommise col curato che in meno di due ore sarebbe riuscito  riportare il malato ai sentimenti cristiani. Il curato accettò e perse la scommessa: abbordato alle tre del mattino, il malato si confessò alle cinque e morì alle sette.Siete dunque, così forte nell’arte della polemica?-Disse il curato.-Voi superate i nostri!-Non ho polemizzato,-rispose Rollebon-gli ho messo paura dell’inferno.”
 
Credo che essi lo facciano per occupare il tempo, semplicemente. Ma il tempo è troppo vasto, non si lascia riempire. Tutto ciò che uno vi getta s’ammollisce e si stira.
 
Quando si vive non accade nulla. Le scene cambiano, le persone entrano ed escono, ecco tutto. Non vi è mai un inizio. I giorni di aggiungono ai giorni senza capo né coda, è un’addizione interminabile e monotona. Di tanto in tanto si fa un totale parziale: si dice: ecco , sono tre anni che viaggio, tre anni che sono a Bouville. E nemmeno vi è una fine, non si lascia mai una donna, un amico, una città tutto in una volta. E poi tutto si assomiglia: Shangai, Mosca, Algeri, in capo ad una quindicina è tutto uguale.
 
Per il momento volevano vivere col minimo della spesa, economizzare i gesti, le parole, i pensieri, fare il morto: non avevano che un solo giorno per cancellare le rughe , le zampe d’oca, le pieghe amare che fa il lavoro della settimana. Un solo giorno.  Si sentivano scorrere i minuti tra le dita, avrebbero avuto il tempo di ammassare  abbastanza giovinezza per ricominciare da capo i lunedì mattina?
 
La domenica che finisce ha lasciato loro un sapore di cenere e già il loro pensiero si volge al lunedì. Ma per me non c’è lunedì né domenica, ma soltanto giorni che si sospingono in disordine, e poi , d’ un tratto, dei lampi, come questo.
 
Hanno armadi pieni di stoffe, di vecchi vestiti, di giornali, hanno conservato tutto. Il passato è un lusso da proprietari.
 
Adesso mi racconterà i suoi guai: mi ricordo ora che c’era qualcosa che non andava, in biblioteca. Sono tutt’orecchi, non domando che di potermi commuovere dei guai degli altri, sarà sempre un cambiamento. Io non ho guai, vivo di rendita, non ho superiori, non ho moglie, né figliuoli; esito nient’altro. Ed è così vago, così metafisico questo guaio, che me ne vergogno.
 
Non li ascolto più: m’infastidiscono. Finiranno per andare a letto insieme. Lo sanno già. Ciascuno dei due sa che l’altro  lo sa. Ma poiché sono giovani, casti e decenti, poiché ciascuno dei due vuole conservare la propria stima di sé e dell’altro, poiché l’amore è una grande cosa  poetica che non bisogna sgomentare, vanno diverse volte la settimana ai balli e nelle trattorie ad offrire lo spettacolo delle loro piccole danze rituali e meccaniche…. Bisogna pur ammazzare il tempo, dopo tutto. Son giovani e ben costruiti, ne avranno ancora per una trentina d’anni. Perciò non ai affrettano, indugiano, e non hanno torto. Quando saranno andati a letto insieme dovranno trovare qualche altra cosa per velare l’enorme assurdità della loro esistenza. E tuttavia….è proprio tanto necessario mentire a se stessi?
 
Ciascuno ha la sua piccola fissazione personale che gli impedisce di accorgersi che esiste; non ce n’è uno che non si creda indispensabile a qualcuno o a qualche cosa.
 
-Concludeva,-dice l’Autodidatta in tono consolatore, -a favore dell’ottimismo volontario. La vita ha un senso se ci si sforza di dargliene uno.
 
La contingenza non è una falsa sembianza, un’apparenza che si può dissipare è l’assoluto, e per conseguenza la perfetta gratuità. Tutto è gratuito, questo giardino, questa città, io stesso. E quando vi capita di rendervene conto, vi si rivolta lo stomaco e tutto si mette a fluttuare, come l’altra sera al “ritrovo dei ferrovieri”; ecco la Nausea; ecco quello che i Porcaccioni-quelli di poggio verde e gli altri-tentano di nascondersi con il loro concetto di diritto.
 
Dormire, mangiare. Esistere, lentamente dolcemente come questi alberi, come una pozza d’acqua, come il sedile rosso del tram. La Nausea mi lascia un breve respiro. Ma so che ritornerà è il mio stato normale.
 
Le città non dispongono che d’una sola giornata che ritorna sempre uguale ogni mattina.

Nessun commento:

Posta un commento