mercoledì 17 aprile 2019

In pace armata con i suoi demoni di Roberto Buzzati (Rob Buzz Uzzi) (in ricordo di Roberto Iannilli)

In pace armata con i suoi demonidi Roberto Buzzati (Rob Buzz Uzzi)
(in ricordo di Roberto Iannilli)
Vorrei scegliere un ricordo, fra tanti. Una foto, un momento. Qualcosa di significativo. Ma quando penso di averla trovata e mi soffermo su di essa, cercando di distillarne qualche emozione, vengo inondato da altre immagini, altre espressioni, altre frasi e capisco una volta di più che Roberto era impossibile da riassumere.
Era un uomo complesso.
E’ un pensiero banale, lo so. Perché si potrebbe dire per tutti noi. Ma lui lo era oltre la media.
Le sue contraddizioni, nascoste con un certo pudore sotto un velo d’ironia, erano potenti, laceranti, estreme come certe sue vie.
Eppure sembrava un uomo che avesse raccolto i propri pezzi e li avesse messi insieme, in un equilibrio imperfetto ma tutto sommato funzionale. Era paradossalmente in pace con i suoi demoni, finché li avesse nutriti, regolarmente.
Nelle tante sere condivise ai Prati di Tivo, mi veniva da chiedermi il perché di questa necessità quasi ossessiva di confrontarsi, lui piccolo e schiacciato sotto il peso di zaini più grossi di lui, con il gigante di pietra. E non riuscivo a pensare ad altro che una specie di sacrificio rituale. Un Moloch da soddisfare.
Roberto in montagna mi ha sempre dato la sensazione di Sisifo, condannato a immani fatiche, senza possibilità di riscatto o appagamento. In lui il concetto di conquistatore dell’inutile prendeva un significato ancora più forte, perché lui lo rendeva evidente, non cercava di nasconderlo.
Quella era la sua “normalità”. Quella “durezza” con se stesso era l’altra faccia della sua gentilezza o meglio, della sua tenerezza. Non poteva esistere una senza l’altra. Chi fa cose “grandi” ha grandi pesi da portare. Grandi contraddizioni. Ed è difficile stargli accanto. Nella vita come in montagna.
La ricchezza emotiva e intellettuale, a volte straripanti, che lo rendevano unico erano il frutto che affondava le radici in quel “lato oscuro”, che era il suo alpinismo, fatto di durezza e abnegazione.
Luca D’Andrea e Roberto Iannilli
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Per questo, pensavo, era l’uomo delle “solitarie”. Perché a nessun altro oltre che a se stesso poteva infliggere certe sofferenze.
Perché? mi chiedevo.
Poi pensavo che io sono io, e lui era Roberto, che faceva cose incredibili. E gli uomini che fanno cose incredibili non si può pensare di capirli o di ridurli a quello che siamo tutti.
Gli uomini che fanno cose incredibili hanno qualcosa dentro, nei geni forse, che li spinge oltre. Bisogna solo accettarli e guardare le loro opere stupefatti, mentre compiono il loro “dovere”, quello per cui sono nati. Senza cercare di capire, di interpretare, di intuire. E’ così e basta. Lui è Roberto e di Roberto ne nascono pochi.
Roberto Iannilli su Tangerine Trip, El Capitan. Foto: Diego Pezzoli
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Il Roberto in montagna era diverso dal Roberto dei forum o delle serate di pizza o dei raduni. Entrava nella bolla già la sera ai Prati, a volte. Chiuso nel suo furgone, alle prese con i suoi mal di testa, sempre in dubbio con se stesso, eppure alle 4 andava, il furgone restava vuoto, ad aspettarlo. Lo vedevo lì, piccolo nella parete, lo chiamavo da lontano perché sapevo che gli faceva piacere sentirsi per un momento meno solo, che gli dava forza.
Che uno pensa, se va da solo è perché vuole stare solo, meglio non disturbarlo. E invece no. Lui andava solo perché “doveva”, ma una parte di sé avrebbe voluto tutti vicino, che lo accompagnassero e lo incoraggiassero.
Aveva bisogno degli altri, perché tutto si sentiva meno che forte e invincibile.
Il suo era l’alpinismo della volontà. Arrivava più lontano di altri perché più di altri, forse più dotati, sicuramente più forti e giovani, lui voleva arrivarci. Sapeva stringere i denti e tirare fuori da sé tutto quello che aveva e anche oltre.
Chiedeva a sé l’eccezionalità come normalità.
Non mi chiedo cosa ti abbia spinto su quest’ultima via, amico mio. Lo so. Perché era lì. E tu eri fatto così.
Qualcosa non ha funzionato. Era nelle possibilità delle cose, su quella parete.
Ti sei risparmiato l’oltraggio della vecchiaia. Del vedersi ridurre, sempre di più, quello che eri.
Il prezzo altissimo lo paga chi ti ha voluto bene. Ma così è la vita.
La parete nord del Monte Camicia
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