mercoledì 8 gennaio 2014

Diary di Chuck Palahniuk



Il sogno di ogni ragazza all’accademia. Dove scopri che esistono le matite a cera e l’anatomia e le rughe. Come mai Grace Wilmot abbia deciso di fare le pulizie, Dio solo lo sa. Quello che loro in teoria dovrebbero fare sono le valige. Questa casa: le posate in argento sterling, le forchette e  i cucchiai grossi come attrezzi da giardino. Sopra il camino della sala da pranzo c’è il ritratto ad olio di Un Wilmot Moprto. In cantina c’è uno scintillante e velenoso museo di marmellate pietrificate e gelatine,  antichi fatti in casa, pere d’epoca coloniale fossilizzate in sciroppi color ambra. Rimasugli appiccicosi di ricchezza e tempo libero.
Tra i tanti oggetti senza prezzo accumulati nel tempo, ecco cosa salviamo. Questi manufatti. Questi innesca ricordi. Souvenir inutili. Niente da poter vendere all’asta. Le cicatrici della felicità.
Invece di prendere oggetti di valore, qualcosa che si possa vendere, Grace se ne esce con questa vecchia scatola di colori. Tabbi ha la sua scatola di scarpe piena di bigiotteria da poco, quella per quando si mette in ghingheri, spille anelli e collane.

“Fu solo quando suo marito morì”disse Peter , che Maura Kincaid dipinse il suo primo quadro. Disse:”Forse la gente deve soffrire davvero prima di arrischiarsi a fare ciò che ama”
A Misty tutto questo lo dicesti tu.
Le dicesti che Michelangelo era un maniaco depressivo che nei suoi dipinti si ritraeva come martire scorticato. Che Henri Mantisse aveva dovuto rinunciare alla carriera d’avvocato per via di un’appendicite. Che Robert Schumann cominciò a comporre solo dopo che la mano destra gli si paralizzò e dovette abbandonare pianoforte e carriera concertistica.
Ti stavi frugando in tasca, mentre dicevi tutto questo. Cercarvi qualcosa.
Le parlasti di Nietzsche e della sua sifilide terziaria. Di Mozart e della sua uremia. Di Paul Klee e della sclerodermia che gli indurì a morte muscoli e giunture. Di Frida Kahlo e della spina bifida che le ricopriva le gambe di piaghe sanguinolente. Di Lord Byron e del suo piede equino. Delle sorelle Bronte e della loro tubercolosi. Di Mark Rothko e del suo suicidio. Di Fallner O’Connor e del suo lupus. L’ispirazione ha bisogno di ferite, follia. “Secondo Thomas Mann” disse Peter “ i grandi artisti sono grandi invalidi”

Beverly Hills, l’Upper East Side, Palm Beach: di questi tempi, dice Angel Delaporte, persino i quartieri migliori delle grandi città altro non sono che una superlussuosa suite all’inferno. Fuori dai tuoi cancelli devi comunque condividere le stesse strade intasate. Tu e i barboni tossici respirate comunque la stessa aria fetida e sentite gli stessi elicotteri della polizia che per tutta la notte danno la caccia ai criminali. Con le stelle e la luna cancellate dalle luci di un milione di depositi di sfasciacarrozze. Tutti affollano gli stessi marciapiedi disseminati di spazzatura e vedono le stesse albe offuscate dallo smog.
Angel dice che i ricchi non amano tollerare. I soldi ti permettono di prendere le distanze da tutto ciò che non è bello e perfetto. Non Sei in grado di sopportare nulla  che sia meno che delizioso. Passi la vita a scappare, evitare, fuggire.

Quand’erano all’accademia, Peter diceva che tutto ciò che facciamo è un autoritratto. Magari assomiglia a san Giorgio e il drago, oppure la ratto delle sabine, ma l’angolazione, la luce, la composizione, la tecnica, sei sempre tu. Persino il motivo che ti spinge a scegliere una particolare scena sei tu. Ogni colore, ogni pennellata. Peter diceva sempre :” L’unica cosa che un artista può fare è descrivere la sua faccia”

All’accademia, Peter  parlava sempre del pittore James McNeil Whisteler, e del fatto che Whistler aveva lavorato per il corpo dei genieri  dell’esercito statunitense. Il suo compito era quello di disegnare i punti delle linee costiere dove era prevista la costruzione di un faro. Il problema era che Whistler non riusciva a trattenersi dal tratteggiare piccoli studi di figure umane ai margini. Disegnava vecchie, bambini, mendicanti, qualunque cosa potesse vedere per strada. Faceva il suo lavoro, documentava il territorio per il governo ma non riusciva ad ignorare tutto il resto. Non riusciva a farsi sfuggire nulla. Uomini che fumavano la pipa. Bambini che facevano roteare cerchi. Raccoglieva tutto questo in schizzi posti ai margini del suo lavoro ufficiale. Per questo naturalmente il governo lo licenziò.
“Quegli schizzi” diceva sempre Peter “oggi valgono milioni”

Peter diceva sempre che il compito di un artista è quello di prestare attenzione, raccogliere, organizzare, archiviare, preservare e infine stendere un resoconto. Documentare. Preparare la presentazione. Il compito di un artista è non dimenticare.

“Gratta,gratta, sotto ogni patrimonio”diceva sempre la mamma di Misty “trovi il sangue di una, massimo due generazioni prima.” . In teoria , ripeterlo doveva servire a rendere più piacevole la loro vita in roulotte. Lavoro minorile in miniere e fabbriche, diceva. Schiavitù. Droga. Frodi finanziarie. Scempi ecologici, disboscamento, inquinamento, coltivazioni estreme che portano all’estinzione. Monopoli. Malattie. Guerra. I patrimoni nascono tutti da cose sgradevoli. Malgrado suo madre Misty era convinta che il futuro la aspettasse a braccia aperte.

"seguendo Misty attraverso il lungo corridoio in linoleum, Stilton dice:.Dice< proteggere la natura, preservare la purezza razziale : il passo è più breve di quanto si creda>" Diary di Chuck Palahniuk

Secondo Platone, l’uomo non impara nulla. La nostra anima ha vissuto così tante volte  che sappiamo ogni cosa. Gli insegnanti e l’istruzione possono solo ricordarci ciò che sappiamo già.

A quello che non capisci puoi dare qualunque significato.

Secondo Platone, noi viviamo incatenati dentro una caverna buia. Essendo incatenati, di questa caverna possiamo vedere soltanto la parte di fondo. Soltanto le ombre che vi s muovono. Potrebbero essere le ombre di qualcosa che si muove fuori dalla caverna. Potrebbero essere le ombre di altri individui incatenati accanto a noi.
Forse l’unica cosa che ciascuno di noi vede è la sua stessa ombra.
Carl Jung lo definiva il gioco delle ombre. Diceva che noi non vediamo mai gli altri. Vediamo solo quegli aspetti di noi stessi che si riflettono su di loro. Ombre proiezioni. Le nostre associazioni.
Come gli antichi pittori, che si chiudevano in un luogo oscuro e ricalcavano l’immagine di ciò che stava fuori da una minuscola finestra, alla luce del sole. La camera obscura. Non l’immagine esatta, tutto rovesciato o capovolto. Distorto dallo specchio o dalla lente attraverso sui ci perviene. Dalla nostra limitata percezione personale. Dal nostro piccolo corpus di esperienze. Dalla nostra istruzione piena di buchi.

Noi vediamo ciò che vogliano vedere. Nel modo in cui lo vogliamo vedere. Vediamo solo noi stessi. L’artista non può fare altro che darci qualcosa da guardare.

Se sei qui , hai fallito di nuovo. Firmato Costance.

Tutto ciò che facciamo ci tradisce. La nostra arte. I nostri figli.
Però siamo state qui. E ci siamo ancora. Ciò che quella povera sciocca di Misty Marie Wilmot deve fare è nascondere la sua storia in bella vista. La nasconderà in ogni parte del mondo.
Ciò che ha imparato è ciò che impara sempre. Ha ragione Platone. Siamo tutti immortali. Nemmeno se lo volessimo potremmo morire.

Se solo riuscisse a ricordarselo ogni giorno della sua vita, ogni minuto.

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