lunedì 30 luglio 2018

Il mondo affoga in 247mila miliardi di dollari di debiti pubblici e privati


il sole 24 ore di  



Ottomila miliardi di dollari. Detti così sembrano numeri irreali. Da fumetti. Ma sono numeri veri. Secondo l’ultima ricerca dell’Institute of International Finance (IIF) i debiti pubblici e privati a livello globale nel solo primo trimestre del 2018 sono aumentati proprio di questa cifra: di 8mila miliardi di dollari. Si tratta dell’incremento trimestrale maggiore dal primo trimestre del 2016, che porta i debiti globali alla cifra di 247mila miliardi di dollari. Una montagna pari al 318% del Pil del mondo intero.
Questi numeri sono l’effetto di un decennio di politiche monetarie ultra-espansive, che hanno aumentato la liquidità globale e portato a zero (o addirittura sotto zero) i tassi d’interesse in molte parti del mondo. Questo ha favorito il ricorso al debito da parte di tutti: imprese, Stati e famiglie.
Oggi però il mondo è alla svolta. Innanzitutto la liquidità sta diventando meno abbondante: secondo i calcoli di Pictet Asset Management, dopo che nel 2017 le banche centrali hanno iniettato nel sistema finanziario un totale di 2.600 miliardi di dollari di liquidità (inclusa la Banca centrale cinese), nel 2018 le iniezioni scendono a 580 miliardi e nel 2019 a 40 miliardi. Al netto della Banca cinese nel 2019 verranno drenati 80 miliardi di dollari dal sistema. Inoltre i tassi d’interesse stanno salendo, soprattutto quelli Usa.
Questo rischia dunque di pesare in un mondo iper-indebitato, che si è coperto di debiti proprio grazie a un “ecosistema” fatto di tassi a zero e di liquidità abbondante che ora non c’è più. E rischia di pesare maggiormente sui soggetti più vulnerabili: quelli indebitati a tasso variabile e quelli esposti sul dollaro.

L’IIF proprio su queste due categorie punta il dito. Secondo l’Istituto «Le aziende Usa sono particolarmente esposte al rischio di rialzo dei tassi»: non solo hanno un debito molto elevato (20mila miliardi di dollari), non solo sono molto esposte sul volubile mercato obbligazionario (il 43% del loro debito è in bond), ma hanno anche un’esposizione ai tassi variabili pari al 25%. Non tanto, ma abbastanza da pesare in un ciclo di rialzi dei tassi. L’altra categoria debole è quella di chi si è indebitato in dollari, pur vivendo fuori dagli Stati Uniti: escludendo i mercati emergenti - scrive IIF - il 30% del mercato obbligazionario non statunitense è denominato in dollari. Da oggi al primo trimestre 2019 giungeranno a scadenza ben 900 miliardi di questi debiti

Infine c’è la categoria oggi più vulnerabile: quella dei Paesi emergenti e delle loro aziende. Molti Paesi sono iper-indebitati in valuta estera sia a livello statale sia aziendale: Turchia, Ungheria, Argentina, Polonia e Cile hanno più del 50% del debito totale (pubblico e privato) in valuta estera secondo IIF. Circa 2.700 miliardi di debiti di Paesi emergenti scadranno entro la fine del 2019, e di questi circa un terzo sono denominati in dollari. Per Argentina, Colombia, Egitto e Nigeria circa il 75% del debito in scadenza nel prossimo anno e mezzo è in dollari. Questo mette un rischio aggiuntivo sul rifinanziamento di questi debiti. Non resta che sperare che i nodi di un decennio di denaro facile non vengano al pettine...

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