di David Foster Wallace
[traduzione di Roberto Natalini] Trascrizione
del discorso di David Foster Wallace per la cerimonia delle lauree al Kenyon
college, 21 maggio 2005.
Un
saluto a tutti e le mie congratulazioni alla classe 2005 dei laureati del
Kenyon college. Ci sono due giovani pesci che nuotano uno vicino all’altro e
incontrano un pesce più anziano che, nuotando in direzione opposta, fa loro un
cenno di saluto e poi dice “Buongiorno ragazzi. Com’è l’acqua?” I due giovani
pesci continuano a nuotare per un po’, e poi uno dei due guarda l’altro e gli
chiede “ma cosa diavolo è l’acqua?”
È
una caratteristica comune ai discorsi nelle cerimonie di consegna dei diplomi
negli Stati Uniti di presentare delle storielle in forma di piccoli apologhi
istruttivi. La storia è forse una delle migliori, tra le meno stupidamente
convenzionali nel genere, ma se vi state preoccupando che io pensi di
presentarmi qui come il vecchio pesce saggio, spiegando cosa sia l’acqua a voi
giovani pesci, beh, vi prego, non fatelo. Non sono il vecchio pesce saggio. Il
succo della storia dei pesci è solamente che spesso le più ovvie e importanti
realtà sono quelle più difficili da vedere e di cui parlare. Espresso in
linguaggio ordinario, naturalmente diventa subito un banale luogo comune, ma il
fatto è che nella trincea quotidiana in cui si svolge l’esistenza degli adulti,
i banali luoghi comuni possono essere questioni di vita o di morte, o meglio, è
questo ciò che vorrei cercare di farvi capire in questa piacevole mattinata di
sole.
Chiaramente, l’esigenza principale in
discorsi come questo è che si suppone vi parli del significato dell vostra
educazione umanistica, e provi a spiegarvi perché il diploma che state per
ricevere ha un effettivo valore sul piano umano e non soltanto su quello
puramente materiale. Per questo, lasciatemi esaminare il più diffuso stereotipo
nei discorsi fatti a questo tipo di cerimonie, ossia che che la vostra
educazione umanistica non consista tanto “nel fornirvi delle conoscenze”,
quanto “nell’insegnarvi a pensare”.
Se siete come me quando ero studente, non
vi sarà mai piaciuto ascoltare questo genere di cose, e avrete tendenza a
sentirvi un po’ insultati dall’affermazione che dobbiate aver bisogno di
qualcuno per insegnarvi a pensare, poiché il fatto stesso che siete stati
ammessi a frequentare un college così prestigioso vi sembra una dimostrazione
del fatto che già sapete pensare. Ma vorrei convincervi che lo stereotipo dell’educazione
umanistica in realtà non è per nulla offensivo, perché la vera educazione a
pensare, che si pensa si debba riuscire ad avere in un posto come questo, non
riguarda affatto la capacità di pensare, ma piuttosto la scelta di cosa
pensare. Se la vostra assoluta libertà di scelta su cosa pensare vi sembrasse
troppo ovvia per perdere del tempo a discuterne, allora vorrei chiedervi di
pensare al pesce e all’acqua, e a mettere tra parentesi anche solo per pochi
minuti il vostro scetticismo circa il valore di ciò che è completamente ovvio.
Ecco un’altra piccola storia istruttiva.
Ci sono due tizi che siedono insieme al bar in un posto sperduto e selvaggio in
Alaska. Uno dei due tizi è credente, l’altro è ateo, e stanno discutendo
sull’esistenza di Dio, con quell’intensità particolare che si stabilisce più o
meno dopo la quarta birra. E l’ateo dice: “Guarda, non è che non abbia ragioni
per non credere. Ho avuto anche io a che fare con quella roba di Dio e della
preghiera. Proprio un mese fa mi sono trovato lontano dal campo in una
terribile tormenta, e mi ero completamente perso e non riuscivo a vedere nulla,
e facevano 45 gradi sotto zero, e così ho provato: mi sono buttato in ginocchio
nella neve e ho urlato ‘Oh Dio, se c’è un Dio, mi sono perso nella tormenta, e
morirò tra poco se tu non mi aiuterai’.” E a questo punto, nel bar, il credente
guarda l’ateo con aria perplessa “Bene, allora adesso dovrai credere” dice,
“sei o non sei ancora vivo?” E l’ateo, alzando gli occhi al cielo “Ma no, è
successo invece che una coppia di eschimesi, che passava di lì per caso, mi ha
indicato la strada per tornare al campo.”
È facile interpretare questa storiella con
gli strumenti tipici dell’analisi umanistica: la stessa precisa esperienza può
avere due significati totalmente diversi per due persone diverse, avendo queste
persone due diversi sistemi di credenze e due diversi modi di ricostruire il
significato dall’esperienza. Poiché siamo convinti del valore della tollerenza
e della varietà delle convinzioni, in nessun modo la nostra analisi umanistica
vorrà affermare che l’interpretazione di uno dei due tizi sia giusta a quella
dell’altro falsa o cattiva. E questo va anche bene, tranne per il fatto che in
questo modo non si riesce mai a discutere da dove abbiano origine questi schemi
e credenze individuali. Voglio dire, da dove essi vengano dall’INTERNO dei due
tizi. Come se l’orientamento fondamentale verso il mondo di una persona e il
significato della sua esperienza fossero in qualche modo intrinseci e
difficilmente modificabili, come l’altezza o il numero di scarpe, o
automaticamente assorbiti dal contesto culturale, come il linguaggio. Come se
il modo in cui noi costruiamo il significato non fosse in realtà un fatto
personale, frutto di una scelta intenzionale. Inoltre, c’è anche il problema
dell’arroganza. Il tizio non credente è totalmente certo nel suo rifiuto della
possibilità che il passaggio degli eschimesi abbia qualche cosa a che fare con
la sua preghiera. Certo, ci sono un sacco di credenti che appaiono arroganti e
anche alcune delle loro interpretazioni. E sono probabilmente anche peggio
degli atei, almeno per molti di noi. Ma il problema del credente dogmatico è
esattamente uguale a quello del non credente: una certezza cieca, una mentalità
chiusa che equivale a un imprigionamento così totale che il prigioniero non si
accorge nemmeno di essere rinchiuso.
Il punto che vorrei sottolineare qui è che
credo che questo sia una parte di ciò che vuole realmente significare
insegnarmi a pensare. A essere un po’ meno arrogante. Ad avere anche solo un
po’ di coscienza critica su di me e le mie certezze. Perché una larga
percentuale di cose sulle quali tendo a essere automaticamente certo risulta
essere totalmente sbagliata e deludente. Ho imparato questo da solo e a mie spese,
e così immagino sarà per voi una volta laureati.
Ecco un esempio della totale falsità di
qualche cosa su cui tendo ad essere automaticamente sicuro: nella mia
esperienza immediata, tutto tende a confermare la mia profonda convinzione che
io sia il centro assoluto dell’universo, la più reale e vivida e importante
persona che esista. Raramente pensiamo a questa specie di naturale,
fondamentale egocentrismo, perché è qualche cosa di socialmente odioso. Ma in
effetti è lo stesso per tutti noi. È la nostra configurazione di base,
codificata nei nostri circuiti fin dalla nascita. Pensateci: non c’è nessuna
esperienza che abbiate fatto di cui non ne siate il centro assoluto. Il mondo,
così come voi lo conoscete, è lì davanti a VOI o dietro di VOI, o alla VOSTRA sinistra
o alla VOSTRA destra, sulla VOSTRA TV o sul VOSTRO schermo. E così via. I
pensieri e i sentimenti delle altre persone devono esservi comunicati in
qualche modo, ma i vostri sono così immediati, urgenti, reali.
Adesso
vi prego di non pensare che io voglia farvi una lezione sulla compassione o la
sincerità o altre cosiddette “virtù”. Il problema non è la virtù. Il problema è
di scegliere di fare il lavoro di adattarsi e affrancarsi dalla configurazione
di base, naturale e codificata in noi, che ci fa essere profondamente e
letteralmente centrati su noi stessi, e ci fa vedere e interpretare ogni cosa
attraverso questa lente del sé. Le persone che riescono ad adattare la loro
configurazione di base sono spesso descritti come “ben adattati”, che credo non
sia un termine casuale.
Considerando
la trionfale cornice accademica in cui siamo, viene spontaneo porsi il problema
di quanto di questo lavoro di autoregolazione della nostra configurazione di
base coinvolga conoscenze effettive e il nostro stesso intelletto. Questo
problema è veramente molto complicato. Probabilmente la più pericolosa
conseguenza di un’educazione accademica, almeno nel mio caso, è che ha permesso
di svilupparmi verso della roba super-intellettualizzata, di perdermi in
argomenti astratti dentro la mia testa e, invece di fare semplicemente
attenzione a ciò che mi capita sotto al naso, fare solo attenzione a ciò che
capita dentro di me.
Come saprete già da un pezzo, è molto
difficile rimanere consapevoli e attenti, invece di lasciarsi ipnotizzare dal
monologo costante all’interno della vostra testa (potrebbe anche stare
succedendo in questo momento). Vent’anni dopo essermi laureato, sono riuscito
lentamente a capire che lo stereotipo dell’educazione umanistica che vi
“insegna a pensare” è in realtà solo un modo sintentico per esprimere un’idea
molto piu significativa e profonda: “imparare a pensare” vuol dire in effetti
imparare a esercitare un qualche controllo su come e cosa pensi. Significa
anche essere abbastanza consapevoli e coscienti per scegliere a cosa prestare
attenzione e come dare un senso all’esperienza. Perché, se non potrete
esercitare questo tipo di scelta nella vostra vita adulta, allora sarete
veramente nei guai. Pensate al vecchio luogo comune della “mente come ottimo
servitore, ma pessimo padrone”. Questo, come molti luoghi comuni, così
inadeguati e poco entusiasmanti in superficie, in realtà esprime una grande e
terribile verità. Non a caso gli adulti che si suicidano con armi da fuoco
quasi sempre si sparano alla testa. Sparano al loro pessimo padrone. E la
verità è che molte di queste persone sono in effetti già morte molto prima di
aver premuto il grilletto.
E vi dico anche quale dovrebbe essere
l’obiettivo reale su cui si dovrebbe fondare la vostra educazione umanistica: come
evitare di passare la vostra confortevole, prosperosa, rispettabile vita
adulta, come dei morti, incoscienti, schiavi delle vostre teste e della vostra
solita configurazione di base per cui “in ogni momento” siete unicamente,
completamente, imperiosamente soli. Questo potrebbe suonarvi come un’iperbole o
un’astrazione senza senso. Cerchiamo di essere concreti. Il fatto puro e
semplice è che voi laureati non avete ancora nessun’idea di cosa “in ogni
momento” significhi veramente. Questo perché nessuno parla mai, in queste
cerimonie delle lauree, di una grossa parte della vita adulta americana. Questa
parte include la noia, la routine e la meschina frustrazione. I genitori e i
più anziani tra di voi sapranno anche troppo bene di cosa sto parlando.
Tanto per fare un esempio, prendiamo una
tipica giornata da adulto, e voi che vi svegliate la mattina, andate al vostro
impegnativo lavoro da colletto-bianco-laureato-all’università, e lavorate duro
per otto o dieci ore, fino a che, alla fine della giornata, siete stanchi e
anche un po’ stressati e tutto ciò che vorreste sarebbe di tornarvene casa,
godervi una bella cenetta e forse rilassarvi un po’ per un’oretta, per poi
ficcarvi presto nel vostro letto perché, evidentemente, dovrete svegliarvi
presto il giorno dopo per ricominciare tutto da capo. Ma, a questo punto, vi
ricordate che non avete nulla da mangiare a casa. Non avete avuto tempo di fare
la spesa questa settimana a causa del vostro lavoro così impegnativo, per cui,
uscendo dal lavoro, dovete mettervi in macchina e guidare fino al supermercato.
È l’ora di punta e il traffico è parecchio intenso. Per cui per arrivare al
supermercato ci mettete moltissimo tempo, e quando finalmente arrivate, lo
trovate pieno di gente, perché naturalmente è proprio il momento del giorno in
cui tutti quelli che lavorano come voi cercano di sgusciare in qualche negozio
di alimentari. E il supermercato è disgustosamente illuminato e riempito con
della musica di sottofondo abbrutente o del pop commerciale, ed è proprio
l’ultimo posto in cui vorreste essere, ma non potete entrare e uscire
rapidamente, vi tocca vagare su e giù tra le corsie caotiche di questo enorme
negozio super-illuminato per trovare la roba che volete e dovete manovrare con
il vostro carrello scassato nel mezzo delle altre persone, anche loro stanche e
di fretta come voi, con i loro carrelli (eccetera, eccetera, ci dò un taglio
poiché è una cerimonia piuttosto lunga) e alla fine riuscite a raccogliere
tutti gli ingredienti della vostra cena, e scoprite che non ci sono abbastanza
casse aperte per pagare, anche se è l’ora-di-punta-di-fine-giornata. Cosi la
fila per pagare è incredibilmente lunga, che è una cosa stupida e che vi fa
arrabbiare. Ma voi non potete sfogare la vostra frustrazione sulla povera
signorina tutta agitata alla cassa, che è superstressata da un lavoro la cui
noia quotidiana e insensatezza supera l’immaginazione di ognuno di noi qui in
questa prestigiosa Università.
Ma in ogni modo, finalmente arrivate in
fondo a questa fila, pagate per il vostro cibo, e vi viene detto “buona
giornata” con una voce che è proprio la voce dell’oltretomba. Quindi dovete
portare quelle orrende, sottili buste di plastica del supermercato nel vostro
carrello con una ruota impazzita che spinge in modo esasperante verso sinistra,
di nuovo attraverso il parcheggio affollato, pieno di buche e di rifiuti, e
guidare verso casa di nuovo attraverso il traffico dell’ora di punta, lento,
intenso, pieno di SUV, ecc.
A tutti noi questo è capitato, certamente.
Ma non è ancora diventato parte della routine della vostra vita effettiva di
laureati, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, anno dopo anno. Ma lo
sarà. E inoltre ci saranno tante altre routine apparentemente insignificanti,
noiose e fastidiose. Ma non è questo il punto. Il punto è che è proprio con
stronzate meschine e frustranti come questa che interviene la possibilità di
scelta. Perché il traffico e le corsie affollate del supermercato e la lunga
coda alla cassa mi danno il tempo di pensare, e se io non decido in modo meditato
su come pensare e a cosa prestare attenzione, sarò incazzato e infelice ogni
volta che andrò a fare la spesa. Perché la mia naturale configurazione di base
è la certezza che situazioni come questa riguardino solo me. La MIA fame e la
MIA stanchezza e il MIO desiderio di andarmene a casa, e mi sembrerà che ogni
altra persona al mondo stia lì ad ostacolarmi. E chi sono poi queste persone
che mi ostacolano? E guardate come molti di loro sono repellenti, e come
sembrano stupidi e bovini e con gli occhi spenti e non-umani nella coda alla
cassa, o anche come è fastidioso e volgare che le persone stiano tutto il tempo
a urlare nei loro cellulari mentre sono nel mezzo della fila. E guardate quanto
tutto ciò sia profondamente e personalmente ingiusto.
Oppure, se la mia configurazione di base è
più vicina alla coscienza sociale e umanistica, posso passare un bel po’ di
tempo nel traffico di fine giornata a essere disgustato da tutti quei grossi,
stupidi SUV e Hummers e furgoni con motori a 12 valvole, che bloccano la strada
e consumano il loro costoso, egoistico serbatoio da 40 galloni di benzina, e
posso anche soffermarmi sul fatto che gli adesivi patriottici e religiosi
sembrano essere sempre sui veicoli più grandi e più disgustosamente egoisti,
guidati dai più brutti, più incoscienti e aggressivi dei guidatori.
(Attenzione, questo è un esempio di come NON bisogna pensare…) E posso pensare
che i figli dei nostri figli ci disprezzeranno per aver sprecato tutto il
carburante del futuro e avere probabilmente fottuto il clima, e che noi tutti
siamo viziati e stupidi ed egoisti e ripugnanti, e che la moderna civiltà dei
consumi faccia proprio schifo, e così via.
Avete capito l’idea.
Se scelgo di pensare in questo modo in un
supermercato o sulla superstrada, va bene. Un sacco di noi lo fanno. Tranne che
il fatto di pensare in questo modo diventa nel tempo così facile e automatico
che non è più nemmeno una vera scelta. Diventa la mia configurazione di base. È
questa la modalità automatica in cui vivo le parti noiose, frustranti,
affollate della mia vita da adulto, quando sto operando all’interno della
convinzione automatica e inconscia di essere il centro del mondo, e che i miei
bisogni e i miei sentimenti prossimi sono ciò che determina le priorità del
mondo intero.
In realtà, naturalmente, ci sono molti
modi diversi di pensare in questo tipo di situazioni. Nel traffico, con tutte
queste macchine ferme e immobili davanti a me, non è impossibile che una delle
persone nei SUV abbia avuto un orribile incidente d’auto nel passato, e adesso
sia cosi terrorizzata dal guidare che il suo terapista le ha ordinato di
prendere un grosso e pesante SUV, così che possa sentirsi abbastanza sicura
quando guida. O che quell’Hummer che mi ha appena tagliato la strada sia forse
guidato da un padre il cui figlio piccolo è ferito o malato nel sedile accanto
a lui, e stia cercando di portarlo in ospedale, ed abbia quindi leggitimamente
molto più fretta di me: in effetti sono io che blocco la SUA strada.
Oppure posso sforzarmi di considerare la possibilità
che tutti gli altri nella fila alla cassa del supermercato siano stanchi e
frustrati come lo sono io, e che alcune di queste persone probabilmente abbiano
una vita molto più dura, noiosa e dolorosa della mia.
Di nuovo, vi prego di non pensare che vi
stia dando dei consigli morali, o vi stia dicendo che dovreste pensare in
questo modo, o che qualcuno si aspetta da voi che lo facciate. Perché è
difficile. Richiede volontà e fatica, e se voi siete come me, in certi giorni
non sarete capaci di farlo, o più semplicemente non ne avrete voglia.
Ma molte altre volte, se sarete abbastanza
coscienti da darvi la possibilità di scegliere, voi potrete scegliere di
guardare in un altro modo a questa grassa signora super-truccata e con gli
occhi spenti che ha appena sgridato il suo bambino nella coda alla cassa. Forse
non è sempre così. Forse è stata sveglia per tre notti di seguito tenendo la
mano del marito che sta morendo di un cancro alle ossa. O forse questa signora
è l’impiegata meno pagata della motorizzazione, che proprio ieri ha aiutato
vostra moglie a risolvere un orribile e snervante problema burocratico con
alcuni piccoli atti di gentilezza amministrativa.
Va bene, nessuno di questi casi è molto
probabile, ma non è nemmeno completamente impossibile. Dipende da cosa volete
considerare. Se siete automaticamente sicuri di sapere cos’è la realtà, e state
operando sulla base della vostra configurazione di base, allora voi, come me,
probabilmente non avrete voglia di considerare possibilità che non siano
fastidiose e deprimenti. Ma se imparate realmente a concentrarvi, allora
saprete che ci sono altre opzioni possibili. Avrete il potere di vivere una
lenta, calda, affollata esperienza da inferno del consumatore, e renderla non
soltanto significativa, ma anche sacra, ispirata dalle stesse forze che formano
le stelle: amore, amicizia, la mistica unità di tutte le cose fuse insieme. Non
che la roba mistica sia necessariamente vera. La sola cosa che è Vera con la V
maiuscola è che sta a voi decidere di vederlo o meno.
Questa,
credo, sia la libertà data da una vera educazione, di poter imparare ad essere
“ben adattati”. Voi potrete decidere con coscienza che cosa ha significato e
che cosa non lo ha. Potrete scegliere in cosa volete credere. Ed ecco un’altra
cosa che può sembrare strana, ma che è vera: nella trincea quotidiana in cui si
svolge l’esistenza degli adulti non c’è posto per una cosa come l’ateismo. Non
è possibile non adorare qualche cosa. Tutti credono. La sola scelta che abbiamo
è su che cosa adorare. E forse la più convincente ragione per scegliere qualche
sorta di dio o una cosa di tipo spirituale da adorare – sia essa Gesù Cristo o
Allah, sia che abbiate fede in Geova o nella Santa Madre Wicca, o nelle Quattro
Nobili Verità, o in qualche inviolabile insieme di principi etici – è che
praticamente qualsiasi altra cosa in cui crederete finirà per mangiarvi vivo.
Se adorerete il denaro o le cose, se a queste cose affiderete il vero
significato della vita, allora vi sembrerà di non averne mai abbastanza. È
questa la verità. Adorate il vostro corpo e la bellezza e l’attrazione sessuale
e vi sentirete sempre brutti. E quando i segni del tempo e dell’età si
cominceranno a mostrare, voi morirete un milione di volte prima che abbiano
ragione di voi. Ad un certo livello tutti sanno queste cose. Sono state
codificate in miti, proverbi, luoghi comuni, epigrammi, parabole, sono la
struttura di ogni grande racconto. Il trucco sta tutto nel tenere ben presente
questa verità nella coscienza quotidiana.
Adorate il potere, e finirete per sentirvi
deboli e impauriti, e avrete bisogno di avere sempre più potere sugli altri per
rendervi insensibili alle vostre proprie paure. Adorate il vostro intelletto,
cercate di essere considerati intelligenti, e finirete per sentirvi stupidi,
degli impostori, sempre sul punto di essere scoperti. Ma la cosa insidiosa di
queste forme di adorazione non è che siano cattive o peccaminose, è che sono
inconsce. Sono la configurazione di base.
Sono forme di adorazione in cui scivolate
lentamente, giorno dopo giorno, diventando sempre più selettivi su quello che
volete vedere e su come lo valutate, senza essere mai pienamente consci di
quello che state facendo.
E il cosiddetto “mondo reale” non vi
scoraggerà dall’operare con la configurazione di base, poiché il cosiddetto
“mondo reale” degli uomini e del denaro e del potere canticchia allegramente
sul bordo di una pozza di paura e rabbia e frustrazione e desiderio e
adorazione di sé. La cultura contemporanea ha imbrigliato queste forze in modo
da produrre una ricchezza straordinaria e comodità e libertà personale. La
libertà di essere tutti dei signori di minuscoli regni grandi come il nostro
cranio, soli al centro del creato. Questo tipo di libertà ha molti lati positivi.
Ma naturalmente vi sono molti altri tipi di libertà, e del tipo che è il più
prezioso di tutti, voi non sentirete proprio parlare nel grande mondo esterno
del volere, dell’ottenere e del mostrarsi. La libertà del tipo più importante
richiede attenzione e consapevolezza e disciplina, e di essere veramente capaci
di interessarsi ad altre persone e a sacrificarsi per loro più e più volte ogni
giorno in una miriade di modi insignificani e poco attraenti.
Questa è la vera libertà. Questo è essere
istruiti e capire come si pensa. L’alternativa è l’incoscienza, la
configurazione di base, la corsa al successo, il senso costante e lancinante di
aver avuto, e perso, qualcosa di infinito.
Lo so che questa roba probabilmente non vi
sembrerà molto divertente o ispirata, come un discorso per questo di genere di
cerimonie dovrebbe sembrare. In questo consiste però, per come la vedo io, la
Verità con la V maiuscola, scrostata da un sacco di stronzate retoriche.
Certamente, siete liberi di pensare quello che volete di tutto questo. Ma per
favore non scartatelo come se fosse una sermone ammonitorio alla Dr. Laura.
Niente di questa roba è sulla morale o la religione o il dogma o sul grande
problema della vita dopo la morte. La Verità con la V maiuscola è sulla vita
PRIMA della morte. È sul valore reale di una vera istruzione, che non ha quasi
nulla a che spartire con la conoscenza e molto a che fare con la semplice
consapevolezza, consapevolezza di cosa è reale ed essenziale, ben nascosto, ma
in piena vista davanti a noi, in ogni momento, per cui non dobbiamo smettere di
ricordarci più e più volte: “Questa è acqua, questa è acqua.”
È straordinariamente difficile da fare,
rimanere coscienti e consapevoli nel mondo adulto, in ogni momento. Questo vuol
dire che anche un altro dei grandi luoghi comuni finisce per rivelarsi vero: la
vostra educazione è realmente un lavoro che dura tutta la vita. E comincia ora.
Auguro a tutti una grossa dose di fortuna.
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