Il sogno di ogni ragazza all’accademia. Dove scopri che esistono
le matite a cera e l’anatomia e le rughe. Come mai Grace Wilmot abbia deciso di
fare le pulizie, Dio solo lo sa. Quello che loro in teoria dovrebbero fare sono
le valige. Questa casa: le posate in argento sterling, le forchette e i cucchiai grossi come attrezzi da giardino.
Sopra il camino della sala da pranzo c’è il ritratto ad olio di Un Wilmot
Moprto. In cantina c’è uno scintillante e velenoso museo di marmellate
pietrificate e gelatine, antichi fatti
in casa, pere d’epoca coloniale fossilizzate in sciroppi color ambra. Rimasugli
appiccicosi di ricchezza e tempo libero.
Tra i tanti oggetti senza prezzo accumulati nel tempo, ecco
cosa salviamo. Questi manufatti. Questi innesca ricordi. Souvenir inutili.
Niente da poter vendere all’asta. Le cicatrici della felicità.
Invece di prendere oggetti di valore, qualcosa che si possa
vendere, Grace se ne esce con questa vecchia scatola di colori. Tabbi ha la sua
scatola di scarpe piena di bigiotteria da poco, quella per quando si mette in
ghingheri, spille anelli e collane.
“Fu solo quando suo marito morì”disse Peter , che Maura
Kincaid dipinse il suo primo quadro. Disse:”Forse la gente deve soffrire
davvero prima di arrischiarsi a fare ciò che ama”
A Misty tutto questo lo dicesti tu.
Le dicesti che Michelangelo era un maniaco depressivo che
nei suoi dipinti si ritraeva come martire scorticato. Che Henri Mantisse aveva
dovuto rinunciare alla carriera d’avvocato per via di un’appendicite. Che
Robert Schumann cominciò a comporre solo dopo che la mano destra gli si
paralizzò e dovette abbandonare pianoforte e carriera concertistica.
Ti stavi frugando in tasca, mentre dicevi tutto questo. Cercarvi
qualcosa.
Le parlasti di Nietzsche e della sua sifilide terziaria. Di
Mozart e della sua uremia. Di Paul Klee e della sclerodermia che gli indurì a
morte muscoli e giunture. Di Frida Kahlo e della spina bifida che le ricopriva
le gambe di piaghe sanguinolente. Di Lord Byron e del suo piede equino. Delle
sorelle Bronte e della loro tubercolosi. Di Mark Rothko e del suo suicidio. Di
Fallner O’Connor e del suo lupus. L’ispirazione ha bisogno di ferite, follia. “Secondo
Thomas Mann” disse Peter “ i grandi artisti sono grandi invalidi”
Beverly Hills, l’Upper East Side, Palm Beach: di questi
tempi, dice Angel Delaporte, persino i quartieri migliori delle grandi città
altro non sono che una superlussuosa suite all’inferno. Fuori dai tuoi cancelli
devi comunque condividere le stesse strade intasate. Tu e i barboni tossici
respirate comunque la stessa aria fetida e sentite gli stessi elicotteri della polizia
che per tutta la notte danno la caccia ai criminali. Con le stelle e la luna
cancellate dalle luci di un milione di depositi di sfasciacarrozze. Tutti affollano
gli stessi marciapiedi disseminati di spazzatura e vedono le stesse albe
offuscate dallo smog.
Angel dice che i ricchi non amano tollerare. I soldi ti
permettono di prendere le distanze da tutto ciò che non è bello e perfetto. Non
Sei in grado di sopportare nulla che sia
meno che delizioso. Passi la vita a scappare, evitare, fuggire.
Quand’erano all’accademia, Peter diceva che tutto ciò che
facciamo è un autoritratto. Magari assomiglia a san Giorgio e il drago, oppure
la ratto delle sabine, ma l’angolazione, la luce, la composizione, la tecnica,
sei sempre tu. Persino il motivo che ti spinge a scegliere una particolare
scena sei tu. Ogni colore, ogni pennellata. Peter diceva sempre :” L’unica cosa
che un artista può fare è descrivere la sua faccia”
All’accademia, Peter parlava sempre del pittore James McNeil
Whisteler, e del fatto che Whistler aveva lavorato per il corpo dei
genieri dell’esercito statunitense. Il
suo compito era quello di disegnare i punti delle linee costiere dove era
prevista la costruzione di un faro. Il problema era che Whistler non riusciva a
trattenersi dal tratteggiare piccoli studi di figure umane ai margini.
Disegnava vecchie, bambini, mendicanti, qualunque cosa potesse vedere per
strada. Faceva il suo lavoro, documentava il territorio per il governo ma non
riusciva ad ignorare tutto il resto. Non riusciva a farsi sfuggire nulla. Uomini
che fumavano la pipa. Bambini che facevano roteare cerchi. Raccoglieva tutto
questo in schizzi posti ai margini del suo lavoro ufficiale. Per questo
naturalmente il governo lo licenziò.
“Quegli schizzi” diceva sempre Peter “oggi valgono milioni”
Peter diceva sempre che il compito di un artista è quello di
prestare attenzione, raccogliere, organizzare, archiviare, preservare e infine
stendere un resoconto. Documentare. Preparare la presentazione. Il compito di
un artista è non dimenticare.
“Gratta,gratta, sotto ogni patrimonio”diceva sempre la mamma
di Misty “trovi il sangue di una, massimo due generazioni prima.” . In teoria ,
ripeterlo doveva servire a rendere più piacevole la loro vita in roulotte.
Lavoro minorile in miniere e fabbriche, diceva. Schiavitù. Droga. Frodi
finanziarie. Scempi ecologici, disboscamento, inquinamento, coltivazioni
estreme che portano all’estinzione. Monopoli. Malattie. Guerra. I patrimoni
nascono tutti da cose sgradevoli. Malgrado suo madre Misty era convinta che il
futuro la aspettasse a braccia
aperte.
"seguendo Misty attraverso il lungo
corridoio in linoleum, Stilton dice:.Dice< proteggere
la natura, preservare la purezza razziale : il passo è più breve di quanto si
creda>" Diary di Chuck Palahniuk
Secondo Platone, l’uomo non impara
nulla. La nostra anima ha vissuto così tante volte che sappiamo ogni cosa. Gli insegnanti e l’istruzione
possono solo ricordarci ciò che sappiamo già.
A quello che non capisci puoi dare
qualunque significato.
Secondo Platone, noi viviamo incatenati
dentro una caverna buia. Essendo incatenati, di questa caverna possiamo vedere
soltanto la parte di fondo. Soltanto le ombre che vi s muovono. Potrebbero
essere le ombre di qualcosa che si muove fuori dalla caverna. Potrebbero essere
le ombre di altri individui incatenati accanto a noi.
Forse l’unica cosa che ciascuno di noi
vede è la sua stessa ombra.
Carl Jung lo definiva il gioco delle
ombre. Diceva che noi non vediamo mai gli altri. Vediamo solo quegli aspetti di
noi stessi che si riflettono su di loro. Ombre proiezioni. Le nostre
associazioni.
Come gli antichi pittori, che si chiudevano
in un luogo oscuro e ricalcavano l’immagine di ciò che stava fuori da una
minuscola finestra, alla luce del sole. La camera obscura. Non l’immagine
esatta, tutto rovesciato o capovolto. Distorto dallo specchio o dalla lente
attraverso sui ci perviene. Dalla nostra limitata percezione personale. Dal
nostro piccolo corpus di esperienze. Dalla nostra istruzione piena di buchi.
Noi vediamo ciò che vogliano vedere. Nel
modo in cui lo vogliamo vedere. Vediamo solo noi stessi. L’artista non può fare
altro che darci qualcosa da guardare.
Se sei qui , hai fallito di nuovo. Firmato Costance.
Tutto ciò che facciamo ci tradisce. La
nostra arte. I nostri figli.
Però siamo state qui. E ci siamo ancora.
Ciò che quella povera sciocca di Misty Marie Wilmot deve fare è nascondere la
sua storia in bella vista. La nasconderà in ogni parte del mondo.
Ciò che ha imparato è ciò che impara
sempre. Ha ragione Platone. Siamo tutti immortali. Nemmeno se lo volessimo
potremmo morire.
Se solo riuscisse a ricordarselo ogni
giorno della sua vita, ogni minuto.
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