Brani tratti dal LIBRO EVEREST 1996 di Anatolij Bukreev,
Gary Weston Dewalt
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Anarolij Nikolaievic Bukreev prese infine una decisione che
alcuni in seguito giudicarono suicida: decise di tentare comunque il soccorso,
di arrischiarsi da solo nella tempesta di neve, nel buio più fitto, in mezzo a
un frastuono che uno dei sopravvissuti descrive come “cento treni che ti
passano sopra la testa”. Il risultato degli sforzi di Bukereev venne descritto
dall’alpinista scrittore Gallen Rowell come “una delle più incredibili azioni di
soccorso nella storia dell’alpinismo”
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“la fine di una strada è solo l’inizio di una nuova, ancora
più lunga e più difficile” Bukreev
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In seguito Bukreev disse " Non c'é abbastanza fortuna
per tutti, nel mondo. Quella notte toccò a me la fortuna di qualcun'altro"
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“Sono cresciuto alpinisticamente nella tradizione della
scuola russa di alpinismo d’alta quota, dove si mettevano in primo piano lo
sforzo collettivo e il lavoro di squadra, mentre le ambizioni personali erano
relegate in second’ordine. L a nostra pratica di allenamento degli alpinisti
consisteva nello sviluppare la loro esperienza e confidenza con la montagna in
tempi lunghi, cominciando con montagne relativamente basse e promuovendoli agli
ottomila quando erano pronti.”
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“Per la mia esperienza di istruttore di alpinismo e sci
alpinismo sapevo quanto è importante incoraggiare il più possibile l’autosufficienza”
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Bukreev era molto attaccato alle sue formule; aveva la
disciplina di un atleta olimpionico e la
concentrazione di un campione di pilotaggio che tiene sotto controllo i suoi
riflessi e allo stesso tempo segue attentamente tutto quello che succede fuori
dalla carlinga. La sua attenzione era concentrata soprattutto sull’esenziale,
su ciò che serve per mantenere in vita.
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La furia del vento si era trasformata in un bisbilgio. Dice
Burkreev “ Sembrava che la montagna,ci facesse segno col dito e sussurrasse,
venite, venite!”
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“Si trovavano ormai nella “Zona della Morte” quel tratto
verticale tra il campo 4 e la vetta dell’EVEREST dove l’esposizione prolungata
al freddo e alla mancanza di ossigeno costituiscono un serio pericolo per qualsiasi
tipo di fisico. Sostare al campo 4 è gradevole come fare pic-nic in un campo
minato
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L’Hillary Step è un’impennata della cresta sud est, una
torre rocciosa alta circa dieci metri che sporge abbastanza da poter essere
vista da Thyangboche. Alcuni clienti do Mountain Madness l’avevano esaminata da
là attraverso la lente del teleobbiettivo. Per gli alpinisti che arrivano alla
base dopo dodici ore di salita è una prova fisica e psicologica molto severa.
Esausti, costretti a respirare tre o quattro volte ad ogni passo, i salitori si
trovano faccia a faccia con una parete ripida, minacciosa e scoraggiante. E’
questo il punto in cui molti decidono di tornare indietro.
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Era come se mi passasse sulla testa un treno da cento
tonnellate: una persona un metro e mezzo
più in là non avrebbe sentito niente.
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Purtroppo Lopsnag Jangbu Sherpa non visse abbastana a lungo
da rinconcialirsi con l’idea della morte di Scotti Fischer. Meno di quattro mesi dopo la morte del suo amico,
Lopsang perse la vita, travolto da una valanga durante una spedizione al
Lhotse.
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“Quando poi si è su, in alto, si può bestemmiare e
lamentarsi oppure bisogna affrontare le cose come sono. Le dozzine di
conversazioni in cui ero stato rassicurato sull’attrezzatura di cui avrei avuto
bisogno, adesso non avevano più alcun valore”
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“ Ma non posso garantire il successo a nessuno né garantire
la sicurezza assoluta perché la complessità delle circostanze naturali e la
debilitazione fisica possono colpire chiunque in alta quota. Io per me accetto
l’idea che in montagna posso morire”
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