martedì 13 ottobre 2015

Un anno sull’altipiano di Emilio Lussu

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-Viva il nostro glorioso re di stirpe guerrira!
Il tenente di cavalleria era il più vicino ad una grande tavola coperta di coppe di spumante. Rapidamente, ne afferrò una ancora piena, la levò in alto e gridò:
-Viva il re di coppe!
Per il colonnello fu un colpo in pieno petto. Guardò il tenente stupito, come se non credesse ai suoi occhi e alle sue orecchie. Guardò gli ufficiali, per fare appello alla loro testimonianza, e disse, più desolato che severo.
-Tenente Grisoni, anche oggi lei ha bevuto troppo.
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-A me pare che, se noi abbiamo, lassù venti battaglioni, qui, gli Austriaci non possono passare.
-E come lo impediscono i nostri venti battaglioni, da lassù? Con l’artiglieria? Ma non ve ne abbiamo un solo pezzo e non ve ne potrà essere uno solo, ché mancano le strade. Con le mitragliatrici e i fucili? Armi inutili, a tanta distanza. E Allora? Allora, niente. Perché, se noi siamo degli imbecilli, non è detto che di fronte a noi vi siano comandi più intelligenti. L’arte della guerra è la stessa per tutti. Vedrà che gli Austriaci attaccheranno Monte Fior, con quaranta battaglioni e inutilmente. E siamo pari. Questa è l’arte militare.
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-Venga qui. Si sieda un minuto. Che cosa le avevo detto io? Ecco, gli austriaci attaccano Monte Fior.
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Ho fatto due anni all’università in lettere. Sempre il primo del corso. Quella era la mia carriera. Ma mio padre aveva un chiodo nella testa. Che dico, un chiodo? Una sciabola. Mi ha obbligato  ad entrare nella scuola militare. Mio padre era colonnello, mio nonno generale, mio bisnonno generale, mio trisnonno…insomma io ho in corpo otto generazioni di ufficiali, in linea retta. Mi hanno rovinato.
Il tenente colonnello parlava lentamente. Beveva a sorsi, come si centellina, una tazza di caffè.
-Io mi difendo bevendo. Altrimenti, sarei già al manicomio. Contro le scelleratezze del mondo, un uomo onesto si difende bevendo. E’ da oltre un anno che io faccio la guerra,  un po’ su tutti  i fronti, e finora non ho visto in faccia un solo austriaco. Eppure ci uccidiamo a vicenda, tutti i giorni. Uccidersi senza conoscersi, senza neppure vedersi! E’ orribile! E’ per questo che ci ubriachiamo tutti, da una parte e dall’altra. Ha mai ucciso nessuno lei? Lei, personalmente, con le sue mani?
-Io spero di no.
-Io nessuno. Già non ho visto nessuno. Eppure se tutti, di comune accordo, lealmente, cessassi mo di bere, forse la guerra finirebbe. Ma se bevono gli altri, bevo anche io.
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Il primo motore è l’alcool. Perciò i soldati, nella loro infinita sapienza, lo chiamano la benzina.
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-Hurrà!
Il vento soffiava contro di noi. Dalla parte austriaca, ci veniva un odore di cognac, carico, condensato, come se si sprigionasse da cantine umide, rimaste chiuse per anni. Durante il canto e il grido dell’hurrà! Sembrava che le cantine spalancassero le porte e c’inondassero di cognac. Quel cognac mi arrivava a ondate alle narici, mi si infiltrava nei polmoni e vi restava con un odore misto di catrame, benzina,resina e vino acido.
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Anch’io rividi, per un attimo, Ettore, fermarsi, dopo quella fuga affrettata e non del tutto giustificata, sotto lo sguardo dei suoi concittadini, spettatori sulle mura, slacciarsi, dal cinturone di cuoio ricamato d’oro, dono di Andromoca,  un’elegante borraccia di cognac, e bere, in faccia ad Achille.
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-Queste sono le famose corazze “Farina”-ci spiegava il generale,- che solo pochi conoscono. Sono specialmente celebri perché consentono, in pieno giorno, azioni di audacia estrema. Peccato che siano così poche! In tutto il corpo d’armata non ve ne sono che diciotto. E sono nostre! Nostre!
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Il battaglione era pronto, le baionette innestate. La 9° compagnia era tutta ammassata attorno alla breccia dei guastatori. La 10° veniva subito dopo. Le altre compagnie erano serrate, nella trincea e nei camminamenti e dietro i roccioni che avevano alle spalle. Non si sentiva un bisbiglio. Si  vedevano muoversi le borracce di cognac. Dalla cintura alla bocca, dalla bocca alla cintura, dalla cintura alla bocca. Senza arresto, come le spolette d’un grande telaio, messo in movimento.
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E’ sui monti di Asago che ho imparato a conoscere due fra i più caratteristici spiriti della cultura occidentale. Io li conoscevo già, ma superficialmente, come può conoscerli uno che li legge a tavolino, in città, in tempi normali. Di loro, non mi era rimasto alcun speciale ricorso. Letti in guerra, a riposo, sono un’altra cosa. Ariosto era un po’ come i nostri giornalisti di guerra, e descrisse cento combattimenti senza averne visto uno solo. Ma che grazia e che gioia nel mondo dei suoi eroi. Egli aveva, certamente un fondo scettico, ma spinto all’ottimismo. E’ il genio dell’ottimismo. Le grandi battaglie sono per lui delle piacevoli escursioni in campagne fiorite e persino la morte gli appare come una simpatica continuazione della vita. Qualcuno dei suoi capitani muore, ma continua a combattere senza accorgersi d’esser morto.
Baudelaire è l’opposto. Il sole dell’altopiano era fatto per illuminare la vita tetra. Come lo studente bolognese, egli avrebbe potuto vagare nudo sui monti e bere sole e cognac. Egli avrebbe  ben potuto fare la guerra a fianco del tenente colonnello  dell’osservatorio di Stoccaredo. Simile  a lui, simile a mille altri dei miei compagni , gli aveva bisogno di bere per stordirsi e dimenticare. La vita era per lui, ciò che era per noi la guerra.  Ma quali scintille di gioia umana sgorgano dal suo pessimismo.
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-Sai…così…un uomo solo……io non sparo. Tu, vuoi? Il caporale prese il calcio del fucile e rispose:
-Neppure io.
Rientrammo a carponi, in trincea. Il caffè era già distribuito e lo prendemmo anche noi.
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La guerra, per la fanteria, è l’assalto. Senza l’assalto, v’è lavoro duro, non guerra.
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-Un intelligenza per la quale è sufficiente una minuscola chiave per aprire una grande porta; una parola per afferrare il significato di un’ordine, un’intuizione per comprendere subito di primo acchito, un fatto sconosciuto per esempio…
…..
-Per esempio..che è quello scavo? E’ necessario averlo costruito per sapere cosa sia? No, o signori, non è necessario. Non occorre chiederlo. Basta  vederlo. Si presenta da sé. Si intuisce. Che cos’è? E’ un’apposizione di mitragliatrice.
L’aiutante maggiore del 2° battaglione, il professore di greco, era troppo scrupoloso per lasciare passare, senza un’osservazione, quella che era un’inesattezza. Il suo battaglione era riserva di brigata ed egli conosceva bene il suo settore. L’esattezza, innanzi tutto.
Egli fece un passo avanti e disse:
-Permette, signor generale?
-Dica pure-rispose il generale
-Per la verità signor Generale, per la verità, non una appostazione di mitragliatrice.
-E che cos’è?
-Una latrina da campo
Fu un brutto momento, per tutti. Il generale tossì. Anche qualcuno di noi tossì. La conferenza era finita.
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-In materia, l’esperienza non serve a un gran che.
-L’esperienza serve a valutare la vita per quello che è e non per quello che si vorrebbe che fosse. Lei, in confronto a me è un ragazzo. Quando si ha una donna, lontana mille chilometri, la sola cosa utile da farsi è quella di dimenticarla. Poche illusioni! Non resta altro da fare. E per dimenticare , non c’è che questo.
-Perché se non si dimenticasse, non ci rimarrebbe altro che spararsi un colpo di pistola
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COMANDANTE DELLA 10° Noi siamo entranti in guerra con i capi politici e militari impreparati. Ma questo non è un argomento per indurci a gettare le armi.
OTTOLENGHI i nostri generali sembra che ci siano stati mandati dal nemico per distruggerci.
UN GRUPPO DI SOTTOTENENTI E’ vero.
COMANDANTE DELLA 11° è purtroppo così.
OTTOLENGHI e attorno a loro, una banda di speculatori, protetti da Roma, fa i suoi affari sulla nostra vita. Lo avete visto l’altro giorno con le scarpe distribuite al battaglione. Che belle scarpe! Sulle suole, con bei caratteri-colori c’era scritto VIVA L’ITALIA. Dopo un giorno di fango, abbiamo scoperto che le suole erano di cartone vernciato color cuoio.
UN GRUPPO DI SOTTOTENENTI questo è vero.
COMANDANTE DELLA 11° Disgraziatamente è così!
OTTOLENGHI le scarpe non sono che un’inezia. Ma il terribile è che hanno verniciato la stessa nostra vita, vi hanno stampigliato sopra il nome della patria e ci conducono al massacro come pecore.
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-Non è la guerra di fanterie contro fanterie, di artiglierie contro artiglierie. E’ la guerra di cantine contro cantine, barili contro barili, bottiglie contro bottiglie. Per conto mio gli austriaci hanno vinto. Io mi dichiaro vinto. Mi guardi bene: io ho perduto. Non trova lei che ho l’aspetto d’un uomo disfatto?

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