Il Nepal è dunque uno dei paesi più
vari e complessi dell’Asia: ricco di colore ma anche di dolore. Sotto la
vivacità dei vestiti e l'allegria chiassosa dei Bazar si cela come un’angoscia,
il presagio di un alfido corruccio della natura; l’avverti in ogni simbolo o
forma. Sotto il sorriso e lo splendore delle cupole dorate dei templi incupisce
la mole rossiccia delle cappelle senza finestre, impenetrabili: le porte non
aprono un mistero lo difendono. Pag.20
Non esce da questa dam questa tremenda
contraddizione che non trascenda, come fanno i maestri dell’Oriente, la persona
umana e rinunci alla disperata speranza della personale sopravvivenza e
consideri la vita individuale come onda breve suscitata dal gioco del vento
sulla superficie del mare. Appena l’attaccamento all’IO si lascia, la vita non
è più l’effimera spanna di tempo che corre, per me soltanto, fra la culla e la
bara, ma la vita cosmica di tutte le creature e le cose e i mondi che furono e
saranno e mai si arresta; perde allora il suo terrore la morte ed appare nel
suo vero significato, come necessario momento di una dialettica,attraverso la
quale si svolge e si attua l’indefinita mutazione delle cose. Non ci sarà più
morte quando alla nostra morte avremo sostituito un coraggioso sacrificio della
pietosa illusione la vita dell’Universo, questo tremendo gioco che per durare
crea e distrugge.
Cotesta convivenza dell’uomo con la
natura non è soltanto spaziale, è anzi il comune proseguimento della
primordiale unità dell’uno e dell’altra, quando l’uomo ancora non s’opponeva
alla natura e non cercava di interpretarla ma l’accettava così com’è,
partecipanto docile a tutti i suoi fascini e terrori. Non più templi, né
pagode, non più immagine di dei e riti complicati: l’albero e un sasso sono
ormai il simbolo e la dimora degli dei. I quali hanno la capricciosa
irrequietezza ed incostanza delle forze naturali: quasi caos, non ancora
intelletto, impulso, non volontà. La speculazione dell’India , che ha
conquistato la valle e giustifica l'ebbrezza sconcertante dell’arte Nepalese,
non è giunta ancora in queste campagne e non è riuscita a trasfigurare in
simboli i miti antichi e gli stupori primordiali. Sciva, o per meglio dire
alcune entità parallele ed affini che l’Induismo ha assimilato a Sciva, è nato
nell’intrico di questa giungla o all’ombra di queste montagne. Egli
conserva ancorail proprio ambiguo carattere: Dio della vita e della morte:Dio
senza pietà, come è senza pietà questo divenire che ci trae alla luce e ce ne
priva, indifferentemente. La vita è dolore: più che dolore è incubo ed insidia,
non solo per la minaccia della morte, ma perché non c’è gioia, forse soltanto
pena ed angoscia sotto il sole che brucia, fra le acque che alimentano e
travolgono insieme, nelle foreste dove la vita impazza così intensa che se
medesima soffoca e sopprime. Percorrere queste valli è come scendere alle
origini. Hai il senso impreciso, ma sempre vigile, di qualcheduno che ti spii o
segua, di un’insidia o di un rischio e non nelle serpi che strisciano sul
cammino e nelle bestie che s’intanano nella foresta o nei miasmi,ma è qualche cosa di più, come
una paura cosmica e assoluta.Pag.73.
Siamo davvero ad un confine: confine
etnico , religioso, linguistico. Qui arriva l’ultima spinta del Laismo rifluito
dal nord e ancora resiste alla penetrazione indù che lenta, accomodante, ma
implacabile s’è diffusa: come succede nelle zone dove due culture si toccano e
le due religioni stingono facilmente l’una nell’altra, la gente pavida dalla
misteriosa presenza di forze occulte preferisce mettersi al sicuro e accomuna
nelle proprie preghiere gli dei dell’una e dell’altra fede. Pag.94.
Il sentiero scivola fra dune, si
insinua in corridoi e labirinti spettrali, scende a Ghiling intirizzita sotto i
venti chiassosi e sparsa su vasti campi d’orzo. Mandrie di Yak pascolano lente;
nomadi tibetani scesi con interminabile cammino dai confini della Cina con lo
spadone infilato alla cintola, la zazzera incolta, avvolti in pesanti casacche
di lana e di pelle hanno l’aspetto di briganti; indocili ed irrequieti sono i
liberi padroni dei vasti silenzi del tetto del mondo. E’ la sola gente che
invidio: senza vincoli, sereni nella nativa essenziale semplicità, ignari delle
architetture illusorie che il tempo logora e disperde come il vento la polvere,
vaganti fra gli spazi immensi sembrano sospesi tra la terra e il cielo.
Pag.107.
Qui l’immensità degli spazi annulla:
si capisce come i Tibetani abbiano accettato con tanta adesione la metafisica
del grande veicolo che l’uomo e le cose riduce al sogno di un’ombra: che è
l’uomo in questi pianori che fuggono oltre l’orizzonte, in queste solitudini
cosmiche, fra queste vastità, dove anche le montagne sembrano piccoli poggi.
Pag.113.
Da quando siamo sul territorio del
Lamaismo troviamo spesso i segni di esorcismi contro influenze nefaste: si
chiamano Zor ( o anche mdos) e consistono di un telaio centrale a forma di
croce, sui bracci del quale sono più volte passati e ripassati fili di cinque
colori: quelli bianchi sono per gli dei, quelli degli altri colori per i zen,
le potenze malevole, dappertutto in agguato e per innata perfidia sempre pronte
a nuocere: dispensano le malattie e le epidemie, mandano a male il raccolto,
causano tutte le calamità di cui l’uomo sotto ogni cielo, soffre e si lamenta.
GLi esorcisti invocano le temute entità nella magica proiezione del mondo
rappresentata dallo zor e ivi costrettele le tengono sotto il controllo proprio
o degli dei, o le disperdono con l’esca delle offerte. Pag.119.
E’ chiaro che i due riti si
sovrappongono, quello Buddhista e quello Bonpò: la persona la cui immagine di
paglia è stata gettata nel fiume è morta ieri ed è stata tagliata a pezzi ed
esposta sulla montagna agli animali. Anche questo è un rito aborigeno che i
buddhisti non sono riusciti ad eliminare per un motivo molto pratico; perchè
nel Tibet non c’è legna da sprecare per i morti. Pag.121.
Quando si crede nel carma, ogni opera
buona compiuta è destinata fatalmente a maturare: per la qual cosa grato deve
essere non chi riceve un favore ma chi lo fa, perchè la persona che gliene ha
fornito l’occasione gli offre il destro di migliorare il proprio destino,
di gettar semi di bene che porteranno per lui immancabile futuro. Se v’ha da
essere gratitudine nel mondo è soltanto per chi ci offende o fa del male: se io
saprò rispondere con sopportazione e perdono alle sue percosse e alle sue
villanie, mentre più credeva di danneggiarmii, egli più mi gioverà, perché mi
ha aperto o reso più facile la via della liberazione. Pag.123.
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