Il ricordo di Dino Buzzati
Dopo la morte di Ettore Zapparoli, il suo amico Dino Buzzati, pubblicò sulle pagine del Corriere della Sera questo commovente addio.
Benché io non sia mai stato là, lo vedo uscire dal rifugio Marinelli alla luce della luna e allontanarsi attraverso le rocce e poi sulla fosforescente neve, tric tric si ode il suono ritmico della sua piccozza sulle pietre, tric tric sempre più lontano e poi silenzio, soltanto la sua sottile sagoma tra i ghiacciai, dritta, viva, fin troppo romantica, con la eleganza rigorosa di chi parte per l'eternità. (...)BR Cosi lo vedo farsi via via più piccolo e vago nel pallore della notte. Ma a questo punto,per quanto io sforzi l'immaginazione, non riesco a vederlo scomparire. E' sempre là che manovra con la picca e, un passo dopo l'altro, si addentra nello sterminato labirinto con attaccata la sua sottile ombra sghemba rovesciata in giù lungo lo sdrucciolo. E' separato ormai senza remissione da noi, dalle calde stanze, dagli amici seduti in circolo la sera, dalle lampadine accese sui leggii dei principeschi pianoforti neri. (...)BR Eppure, per quanto egli si allontani spaventosamente, io continuo a vederlo là, solo, che lotta in mezzo ai ruderi fantomatici delle sue vitree cattedrali. E benché io non ci sia stato, vedo pure la grande parete est del Monte Rosa, (...) congegnata in un disordine selvaggio, scena sconvolta di sfatte rupi, tragiche macerie di ghiacci scaraventate giù, canali fradici che si intersecano tra massi pencolanti, disgregazione delle cose, dove egli tuttavia scorgeva le architetture della sua poesia, navate, cripte, pilastri, moloc (...) scalee, veneri bianche addormentate. Ma dovrebbe esserci qui lui a spiegarcelo, con i suoi stupefacenti paragoni. Un uomo di ormai cinquanta anni se ne va incontro alla sorte, senza compagni, senza che nessuno lo sappia, come un ragazzo che fugga da casa. (...)BR L'artista sfortunato e stanco torna all'unica creatura che, dopo il padre e la madre, sia stata buona con lui. (...)BR Sebbene a dirlo sembri infame, io mi domando se la grande parete non sia stata buona veramente. «Zapparoli, Zapparoli!» noi gridiamo, facendo portavoce nelle mani, ai ghiacciai che non rispondono; «Zapparoli, perché non torni?» Ma in fondo, non siamo degli ipocriti? Che avremmo da offrirgli se tornasse? Cosi invece egli è rimasto intatto, preservato nella sua sagoma di arcangelo, tratto via in una specie di trionfo, mentre il vento, le pietre, le nevi, le acque, i ghiacci suonano le sinfonie ch'egli avrebbe voluto scrivere. E io lo vedo ancora là, che manovra con la picca, tremendamente sprovveduto e solo, piccolissimo, un bambino, nell'immensità misteriosa del santuario.
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